Vittorio Galloro: “Passione, tenacia e determinazione mi hanno guidato sempre”

di Francesco Borelli
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Una carriera iniziata piccolissimo in quel di Napoli. Che cosa accade in un bambino di soli dieci anni per capire di voler fare questo nella vita?

Tutto cominciò nel momento in cui entrai al Teatro San Carlo di Napoli. Capii immediatamente che quella sarebbe stata la mia casa. Stare sul palcoscenico, diventare un grande danzatore, regalare emozioni al pubblico che mi guardava; quella era la sfida che volevo vincere.

Hai iniziato la tua formazione presso il Teatro San Carlo di Napoli. Che istituzione era allora e com’è cambiata nel tempo?

Sono entrato alla scuola del Teatro San Carlo con la gestione Razzi; l’accademia interna al teatro viveva in quel momento una fase di ripresa seguita agli anni di buio del periodo precedente. Gli allievi erano selezionati con grandissima cura, e fu introdotta la tecnica cubana che contribuì notevolmente ad alzare il livello della scuola. Oggi, come sempre accade in Italia, ci si scontra con dinamiche politiche che in teoria non dovrebbero intaccare la qualità di un lavoro prettamente artistico. Purtroppo, però, non è così.  

Che tipo di direttrice è stata Anna Razzi? Cosa ti ha insegnato e quale impronta ha lasciato a tutti voi allievi della scuola?

La Sig.ra Razzi era una donna durissima, amante della disciplina ed estremamente colta. Credo sia stata una delle migliori danzatrici italiane e noi allievi non potevamo che ammirarla. Personalmente non ebbi un buon feeling con lei; ero un bambino determinato, ma ribelle. Amavo infrangere le regole a tal punto che ebbi con lei diversi scontri. Oggi comprendo i motivi del suo accanimento. Consapevole delle mie qualità, voleva spingermi a ottenere il meglio.

Nel 1997 ti trasferisci alla Scuola Balletto Nazionale di Cuba. Perché?

Alla fine del sesto corso –avevo solo sedici anni- completai il mio esame col massimo dei voti. Nonostante il successo conseguito, non mi sentivo per nulla appagato. In scuola si studiava poco e si danzava ancora meno. Decisi quindi, con immenso stupore della Razzi, che mi ritenne un pazzo, di trasferirmi all’accademia dell’Havana. Nonostante le difficoltà iniziali, si rivelò la scelta giusta.

Hai collezionato tantissime esperienze di lavoro all’estero. A tuo avviso esiste maggiore rispetto per la danza?

Certamente sì. Amo profondamente l’italia, ma credo che la mediocrità, l’anti professionalità e la totale mancanza di rispetto verso un’arte, fra tutte la più bella, sia sotto gli occhi di tutti. Le buone realtà sono rare e costituiscono meteore che fluttuano in un universo di mediocrità. Non è un caso che la maggior parte dei ballerini emigrino verso altri paesi.

Sei stato solista presso il Balletto nazionale di Cuba, indiscutibilmente una delle maggiori compagnie del mondo, dove la grande tecnica la fa da padrona. Ci racconti la tua esperienza?

Come raccontavo prima, dopo aver concluso il sesto corso del San Carlo, mi trasferii a Cuba, dove studiai per altri due anni e mezzo. Alla fine del mio percorso di studi entrai in compagnia e vi rimasi per circa sei mesi. Imparai tutto ciò che mi fu possibile, ma pur essendo una delle più acclamate compagnie del mondo, combatteva tutti i giorni con i problemi sociali ed economici del paese. I cittadini vivono con uno stipendio statale da fame. Le faccio un esempio: anche se avessi messo insieme gli stipendi di un intero anno, non sarei riuscito ad acquistare un biglietto aereo per tornare in Italia. Detto questo rifarei tutto ciò che ho fatto. Sono diventato il ballerino che volevo grazie alla mia formazione cubana.

Esiste una serata, nella tua lunga carriera, che non dimenticherai mai?

Per mia grande fortuna le serate da ricordare sono tante; dalla prima medaglia vinta in un famoso concorso a Cuba fino al primo ruolo da solista che interpretai. Di recente invece nel 2011, ricordo con infinito piacere la prima del Don Chisciotte all’Opera di Bucarest. Fui invitato a interpretare il ruolo di Basilio. Alla fine della rappresentazione il pubblico si alzò in piedi tributandomi lunghi minuti di applausi. Non lo dimenticherò mai. 

Hai danzato in oltre cento teatri in tutto il mondo, lavorato come solista e primo ballerino in tantissime compagnie prestigiose in Italia e all’estero. A che punto della tua carriera ti senti?

Sono una persona ambiziosa e non mi pongo alcun limite. Ovviamente faccio i conti con gli anni che passano, ma a oggi mi ritengo davvero soddisfatto. E non solo per ciò che ho fatto, ma anche per quello che verrà. Nel 2016 presenterò in Russia il mio primo balletto: “Coppelia”. Danzerò il ruolo del protagonista e al contempo mi occuperò della coreografia, delle scene e dei costumi. Poi sarà la volta di “Don Chisciotte” in Australia. Le nuove sfide mi entusiasmano.

Quest’anno ricorre il ventitreesimo anniversario della morte di Rudolf Nureyev. Che cosa ha rappresentato per te?

Quando si parla di Nureyev, si parla di un genio. Colui che ha cambiato le regole pur non avendole. Ho potuto rendere omaggio al grande danzatore russo in molte occasioni, avendo ballato in Italia numerosi Gala in suo onore. Per me, e per tutti, ha rappresentato l’evoluzione e l’affermazione della figura maschile nella danza. Non più comprimario, ma protagonista accanto alla partner femminile.

Da qualche tempo sei testimonial di “Non Posso Ho Danza”. Com’è nata questa collaborazione?

La proposta arrivò dopo aver visionato i loro prodotti e ovviamente mi ha fatto immenso piacere. Il marchio “Non Posso Ho Danza” unisce l’eleganza e la praticità. Carlotta Pia insieme al padre Roberto ha creato una linea giovanile e bellissima.

Attualmente sei primo ballerino ospite presso l’Hong Kong Ballet e presso molti Teatri e Opere di Stato d’Europa. A cosa è dovuta la scelta di non legarti in maniera esclusiva a una sola realtà ballettistica?

Alla consapevolezza che il balletto è diventato più business che arte. I direttori sono diventati le vere star del teatro. Accettano compromessi per il proprio rendiconto spesso non curandosi delle esigenze del proprio corpo di ballo. Un tempo le scelte artistiche dei direttori erano estremamente accurate. Ciascuna produzione era scelta in base a una considerazione profonda dei danzatori di cui il direttore seguiva il percorso di studio, l’aspetto tecnico e psicologico. La meritocrazia era la condicio sine qua non. Tutto questo, almeno per me, in Italia non esiste più.

Cosa ti ha reso vincente nella tua carriera?

La mia passione. La tenacia e la determinazione mi hanno guidato sempre. 

Esistono aspetti legati alla tecnica accademica su cui hai dovuto insistere particolarmente?

Personalmente non sono mai soddisfatto e credo si possa fare sempre meglio. Il mondo della danza e lo studio della tecnica scorrono velocemente; bisogna aggiornarsi quotidianamente senza mai ritenersi arrivati. Sono nato con un fisico non particolarmente predisposto per il balletto classico. Ho lavorato davvero tanto dimostrando che la testa e l’intelligenza in un danzatore sono caratteristiche fondamentali per raggiungere un risultato. Forse più dell’attitudine fisica.

Se dovessi definirti come danzatore, quali parole utilizzeresti?

Passione, temperamento, caparbietà.

Se avessi la possibilità di parlare con ciascuna delle persone che leggeranno questa intervista, cosa vorresti dirgli?

Vi ringrazio per il tempo che mi avete dedicato. Ai danzatori: non mollate mai, lavorate tutti i giorni con spirito e abnegazione. I sacrifici ripagheranno sempre, anche nel momento meno atteso. Nelle vostre scelte, infine, seguite sempre il cuore. Solo attraverso esso si può alimentare la nostra passione.

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