Parlare con Noemi Briganti è come essere travolti da un fiume in piena. L’energia è palpabile, l’entusiasmo per una carriera felice e ricca si evince da ogni singola parola pronunciata, da ciascun sorriso. Occhi che parlano, gesti che danzano e incantano. Abbracci pieni di umanità e racconti di una vita piena e vissuta sopra un palcoscenico fatto di sacrifici e talento infinito.
Tutti i danzatori hanno iniziato a studiare per una qualche ragione. Qual è stata la tua?
Da piccolina vidi in TV Giselle interpretata da Carla Fracci. E m’innamorai della danza. Dai cinque ai sette anni piansi tutti i giorni affinché i miei genitori m’iscrivessero ai tanti sospirati corsi di ballo, ma sembravano non voler sentire. Solo più tardi, quando una brava insegnante di Ravenna aprì una scuola nella mia città, cedettero. E iniziò il mio sogno. Vissi anni di studio intenso tra Forlì e mille stage in giro per l’Italia fino al diploma presso l’Accademia Nazionale di Roma sotto l’allora direttrice Giuliana Pensi. Fu però in Russia che cambiai. Sia fisicamente sia artisticamente.
Quando ti sei recata in Russia? E per quanto tempo sei rimasta lì?
Dopo il diploma in Accademia mi ci recai moltissime volte e in alcuni casi per lunghi periodi. E per studio e per lavoro. Il mattino studiavo con i primi ballerini del Teatro Mariinsky e la sera ballavo al Teatro del Conservatorio sulle coreografie di Valentina Ganibalova, celebre prima ballerina del Mariinsky e direttrice di una meravigliosa compagnia di balletto classico.
Quando è stato il tuo debutto ufficiale?
Fu in Traviata, non il balletto ma l’opera diretta da Beppe De Tommasi presso l’arena Sferisterio di Macerata. La stessa estate feci l’audizione presso il Teatro Verdi di Trieste e fui presa come solista con l’obbligo di prima ballerina. Rimasi lì un lunghissimo anno e danzai tutti i primi ruoli. Ma, poiché non amo molto la realtà degli enti lirici, dopo un anno andai via. Da quel momento si susseguirono mille esperienze. Divenni prima ballerina al Balletto di Cagliari e poi al Roma Astra Ballet di Diana Ferrara, cui subentrai nei primi ruoli da lei stessa interpretati.
La tua è stata una carriera da prima interprete divisa fra le capitali della danza europea.
Sì, è vero. Sono stata una viaggiatrice incallita, ma credo sia uno degli aspetti più belli di questo lavoro magico. Intanto passavano gli anni e diventai prima ballerina del Balletto di Mosca e del Balletto di Milano.
Tra i tanti ruoli interpretati nel corso della tua lunghissima carriera, qual è quello che hai amato di più?
È una domanda davvero difficile. Non essendomi mai legata a un teatro, che normalmente ti attribuisce un cliché legando la tua artisticità a ruoli sempre uguali, mi è capitato di essere mille persone, di vivere la vita di donne straordinarie ma sempre diverse tra loro. Ho danzato il grande repertorio ma anche il classico e il contemporaneo. Non sono mai stata una ballerina unilaterale. Ho molte cose da raccontare. Mille facce. Forse però i ruoli che amato di più sono stati Violetta e Carmen.
Due donne che rappresentano sentimenti e temperamenti totalmente opposti.
Rappresentano le due metà di me. Passionale, d’indole forte e coraggiosa ma anche lirica e drammatica. Di certo personaggi come Coppelia, per esempio, non mi appartengono, anche se li ho interpretati con successo.
Molti dei danzatori intervistati fino a questo momento mi hanno parlato della danza come di una storia d’amore. Nata quando si è piccoli e che è senza fine. Come vivi il tuo rapporto con la danza?
Per me è sempre stata una sfida con me stessa. Un mezzo attraverso cui mettermi alla prova e capire dove sarei riuscita ad arrivare. Devo dire di averla vissuta sempre in maniera positiva. Mi ha sempre regalato gioia e positività. Poi il fine della danza è riuscire a trasmettere un’emozione ed io ho sempre pensato di avere tante cose da dire. Ecco, attraverso la danza posso dire di avere raccontato me stessa.
Oggi la danza è cambiata moltissimo. Molto più atletica rispetto al passato. E la critica che è spesso rivolta agli attuali grandi danzatori è di essere ottimi atleti ma con poco cuore. Che cosa ne pensi?
Hanno ragione. Oggi la tecnica si è certamente evoluta, le linee si sono alzate. Ma il lato artistico, il cuore, come dici tu, è trascurato. Spesso non c’è la maturità giusta per interpretare determinati ruoli, né l’attenzione al personaggio. Ricordo quando in Russia montai Giselle. La Ganibalova perse con me intere giornate non a spiegarmi i passi, che si presume tu sappia eseguire correttamente, ma a spiegarmi le intenzioni che muovevano ogni singolo gesto. Si lavorava sul personaggio. Sul mondo che esiste dietro ogni singolo gesto. Perché la variazione di Odette si svolge in diagonale? Che cosa rappresentano i gesti di Bayadera nella danza del fuoco? Tutto questo non esiste più. Si è persa l’intenzione. C’è la tecnica, ma non il significato.
Esiste un ruolo che ti sarebbe piaciuto interpretare e cui invece non hai mai potuto dare vita?
Direi di no. Credo di vere interpretato tutti i ruoli più interessanti. A questo proposito, non ho mai amato ballare all’interno dei Galà. Certo, c’era la gratificazione di avere eseguito tutto in maniera tecnicamente corretta ma, in dieci minuti di passo a due, variazione e coda, si perde ogni magia.
Esiste una serata che ti ricorderai per tutta la vita, una serata cui ti sei sentita la ballerina più felice del mondo?
La prima volta che ho danzato in Russia. Interpretavo Coppelia alla Sala Ottobre davanti a cinquemila presone. Il pubblico russo è veramente competente. E ti giudica. Per tutto il balletto non si sentii neppure un applauso. Ero consapevole di avere eseguito bene i passi ma dato il silenzio temevo di non essere piaciuta. Alla fine venne giù il teatro. E mi sono sentita amata, realizzata e compresa. Quella notte non dormii. Mi sembrava di avere conquistato il mondo.
In Russia esistono un’immensa cultura del balletto e un grande rispetto verso questa forma d’arte. La gente è competente in materia, conosce la danza. E in Italia?
In Italia siamo molto critici. Ma spesso non abbiamo gli strumenti necessari per critiche costruttive. La critica si fa spesso in maniera fine a se stessa. In Russia tutti conoscono il repertorio. Se cambi una variazione è sotto l’occhio di tutti. In Italia ognuno fa spesso ciò che vuole. E nessuno inventa qualcosa di nuovo.
Che cosa desideri che ti rimanga dopo aver assistito a uno spettacolo?
Un’emozione. Qualunque essa sia.
Tu sei in assoluto una danzatrice classica. Come ti poni nei confronti degli altri stili di danza?
Quando la danza è fatta bene ed è bella, non c’è alcuna differenza. Può trattarsi di jazz, musical contemporaneo, hip hop, non importa. Purché sia di qualità.
Che tipo d’insegnante sei?
Innanzitutto molto umana. Credo che ciò che maggiormente avvertono i ragazzi durante le mie lezioni sia l’amore infinito per questo mestiere. Il rispetto per quest’arte unica. Il mio obiettivo è regalare loro la tecnica, ma anche gli strumenti per assistere a uno spettacolo, valutarlo e, se bello, goderne. Certo, bisognerebbe chiedere ai diretti interessati.
Che cosa sarebbe stata Noemi Briganti se non fosse stata una ballerina?
Non lo so. Non è una domanda che mi sono mai posta. Di certo avrei fatto un lavoro che avrebbe avuto a che fare con la creatività e la fantasia.
Vulcanica, positiva piena di energia. Tra le tante persone che conosco tu, sei l’unica che credo di non aver mai vista arrabbiata o giù di morale. Prima ti ho chiesto qual è stato il momento più bello della tua carriera. Qual è stata invece la serata da dimenticare? Quella in cui ti sei sentita triste?
Era l’ultimo giorno di tournée di Traviata a Napoli. Si trattava di un momento difficile perché erano giunte brutte notizie da parte di un carissimo amico. E poi ero entrata talmente tanto nel personaggio di Violetta da non riuscire a staccarmene. Una donna che rinuncia all’amore. Che si mette da parte. Un’eroina consapevole del proprio destino. Quella sera piansi in scena. Avevo confuso la vita reale con quella del personaggio.
Esiste un confine tra l’attrice e la ballerina?
Per me no. Da sempre arrivo per prima in camerino. E nel momento in cui inizio a truccarmi e infilo il costume di scena, non sono più Noemi. Sono Carmen, Mimì, Violetta. Comincia una magia.
E di magia è avvolta Noemi Briganti. Danzatrice e attrice grande. Persona umana e gentile. La sua risata coinvolge, il suo entusiasmo contagia. Tra presunti artisti e danzatori spesso “senza cuore”, la Briganti rappresenta, per me, una rarità. La sua Mimì ti strazia l’anima, la sua Violetta commuove, la sua Carmen affascina e smuove anche gli animi più forti. Credo proprio che da artiste di tal fatta ci sia solo tanto da imparare.