Vito, ci racconti il tuo percorso artistico e come ti sei avvicinato alla danza?
È stata mia sorella a trasmettermi la voglia di danzare. Ricordo che per gioco ballavamo sul lettone dei nostri genitori con le canzoni di Michael Jackson. Ho cominciato con la danza moderna, a otto anni sono diventato campione italiano di danza latino americana. A nove ho partecipato alla trasmissione televisiva “Bravo Bravissimo” di Mike Bongiorno, lì il coreografo propose ai miei genitori di farmi studiare al Teatro alla Scala, fu allora che cominciai a pensare e volere che la danza fosse la mia vita.
Come descriveresti la tua esperienza alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano e il diploma?
La scuola di ballo del Teatro alla Scala impone sicuramente disciplina e dedizione verso quest’arte e per questo, nonostante il forte impegno richiesto, posso dire con certezza che è stata l’esperienza più importante e formativa del mio percorso artistico. Di quel giorno riesco ancora ad avvertire la gioia provata, nel veder la mia famiglia seduta in prima fila e la consapevolezza di non aver raggiunto un semplice traguardo ma di aver dato inizio ad una nuova fase della mia vita.
Chi ricordi maggiormente tra i tuoi maestri di quell’epoca?
In verità porto con me un ricordo di ciascuno di loro, maestri di danza, ma anche di vita. Colgo questa occasione per salutarli nuovamente e in particolar modo Leonid Nikonov che mi ha accompagnato al diploma.
Degli anni passati al Balletto di Torino cosa conservi? E cosa hai maggiormente tratto da quell’esperienza?
Di questi anni trascorsi al balletto teatro di Torino ricorderò sempre il momento della creazione dello spettacolo “Primo toccare”, portato in scena alla biennale di Lione. Da quest’esperienza ho compreso maggiormente quanto sia importante lo scambio artistico e creativo tra coreografo e danzatore. Credo che questo sia fondamentale per una buona riuscita dello spettacolo.
Un tuo ricordo personale del coreografo Matteo Levaggi, con il quale hai condiviso splendidi lavori?
Matteo è un coreografo di fama internazionale; le sue creazioni cambiano, sono in continua evoluzione, per cui nonostante abbia lavorato con lui per sei anni, era difficile ogni volta entravi velocemente, ma questo era l’aspetto interessante del lavoro. Matteo crea non solo passi di danza, ma anche un rapporto con i danzatori, cercando di tirar fuori il meglio da tutti.
Da sempre il mondo della danza fa sognare intere generazioni. Potresti descriverlo per i nostri lettori dal tuo punto di vista?
Assolutamente vero, da sempre il mondo della danza fa sognare intere generazioni, ma dal mio punto di vista posso dire che per riuscire a far sì che quel sogno si mantenga vivo nel tempo, un danzatore deve necessariamente sviluppare tenacia, caparbietà e determinazione per riuscire a confrontarsi con la realtà che lo circonda, affinché quel sogno non si tramuti in una mera illusione.
Lo spettacolo di danza che ricordi come il più emozionante al quale hai assistito?
Sono tantissimi gli spettacoli a cui ho assistito e che mi hanno emozionato molto. Crescendo e acquisendo maggior senso critico l’emozione è differente. L’emozione più forte l’ho sentita quando ho visto il mio primo spettacolo in uno dei teatri più importanti al mondo. Era il periodo di Natale, ero entrato da poco a far parte della scuola di ballo, la compagnia del teatro alla Scala stava provando lo Schiaccianoci e noi allievi avevamo l’opportunità di andare a vedere le prove.
E quello che hai interpretato?
Indicarti uno spettacolo in particolare è quasi impossibile perché in tutto ciò che ho fatto l’emozione è sempre stata al centro di ogni lavoro portato in scena.
Cosa pensi della tanto discussa questione dell’età di un ballerino, della necessità o meno di dover ad un certo punto lasciare?
La danza è arte. Credo che tutti abbiano il diritto di esprimere la propria arte nel miglior modo possibile. Credo sia giusto fino a quando la danza non diventa sofferenza e frustrazione per via dei nulli risultati.
Ora fai parte di una delle compagnie più famose al mondo, Béjart Ballet Lausanne. Com’è avvenuto questo tuo ingresso?
Il mio ingresso al Béjart Ballet Lausanne è avvenuto mediante un audizione privata. In quel periodo sentivo forte la necessità di vivere una nuova esperienza, credo che per un danzatore sia fondamentale mettersi costantemente alla prova. Una volta qualcuno mi disse: “Sali, guarda sempre dalle spalle dei giganti”.
Che aria si respira nella scuola del grande maestro Béjart?
Dal primo momento che entri in sala prove del Béjart, ti rendi conto della loro grande professionalità e allo stesso tempo si respira comunque un aria distesa e amichevole. Difatti con il resto dei danzatori si è creato un bel rapporto perché si sono mostrati fin da subito accoglienti.
Quali sono i nuovi progetti e i prossimi appuntamenti con la Compagnia?
Siamo in prossimità della partenza per Giappone e Cina, fine ottobre e novembre, mentre i prossimi spettacoli prima delle vacenze di Natale, saranno in giro per la Svizzera, dove saremo impegnati con “Presbytèr”.
Come è la tua giornata tipo? Quante ore provi?
La mia giornata tipo? Alle dieci del mattino sono in teatro, verso le 19 di rientro. Preparo una cena e poi mi rilasso con un romanzo o un film horror!
È difficile conciliare una carriera professionale in giro per il mondo con la vita privata?
Abbastanza, soprattutto a causa delle tantissime tournée in giro per il mondo, ma non impossibile. La tecnologia sotto questo punto di vista aiuta a sentirsi meno soli e distanti dai propri cari.
Dei ruoli solistici che hai interpretato, in quale ti sei rispecchiato di più?
Levaggi è solito creare i suoi spettacoli partendo, sempre, dalle qualità artistiche del danzatore. Ho avuto, così, la fortuna e la possibilità di esprimere al meglio il mio mondo, la mia personalità e sensibilità. Difficile indicarti un ruolo ben preciso, nel quale mi son maggiormente riconosciuto. In scena mi son sempre messo a nudo, offrendo al pubblico tutto me stesso.
Mi piacerebbe poter lavorare e sperimentare nuovi stili di danza contemporanea. Ad esempio mi piacerebbe poter collaborare con Jiri Kylian
Secondo te, quali sono le qualità che un giovane danzatore dovrebbe possedere per diventare degno di questo nome?
Secondo me, bisogna avere tanta disciplina, talento, creatività. Ho visto un sacco di danzatori fisicamente talentuosi, quindi bei danzatori, bei corpi, ma che si esprimono in modo quasi ginnico, senza un’anima creativa.
Hai dei rituali che segui fedelmente il giorno dello spettacolo?
A dire il vero non ho un rituale ben preciso… son solito indossare la stessa felpa durante la fase di riscaldamento e pronunciare la parola ‘merda’ (sottovoce) prima di entrare in scena.
Un’ultima domanda: quale forma d’arte non hai ancora sperimentato ma nella quale vorresti cimentarti?
Da sempre il cinema mi affascina, mi piacerebbe prender parte ad un set cinematografico per un film.
Crediti fotografici: Silvia Pastore – teeshare