Addio al Maestro Ricardo Nunez

di Fabio Paolo
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Proprio come gli esseri umani, anche le stelle nascono, vivono per un definito periodo di tempo, dopodiché cessano di esistere. Tuttavia, seppure ormai prive di vita, quelle stelle, quando l’occhio umano contempla il cielo notturno, seguitano a effondere la propria sfolgorante luminosità. Del pari, se veramente la danza è un firmamento, vi sono danzatori e coreografi che, pur spegnendosi, non smettono di brillare. Fra costoro vi è Ricardo Nu~nez, il cui sorriso e generosità sono scomparsi insieme con lui qualche giorno fa.

Originario di Cuba, dov’era nato a metà degli anni ‘40, era poco più che un bambino quando, vedendo danzare sul piccolo schermo Alicia Alonso, decise quale sarebbe stato il suo destino: divenire un ballerino. Intrapresi gli studi di danza e balletto classico, nel 1966 prese parte alla tournée del Ballet Nacional de Cuba, aprendosi, proprio sotto il magistero di quella Alicia Alonso che tanto ne aveva segnato le sorti, a una preparazione e a una maturazione artistica fra le più formidabili. Per giungere poi, giovanissimo, in Europa e calcare palcoscenici di prestigio: dal Thé^atre des Arts de Rouen allo Staatstheater di Münster, passando per l’Opera di Oslo, l’Opéra di Marsiglia e lo Stuttgart Ballet. Proprio all’Opéra di Marsiglia, nel 1970, danzò ne La Bella addormentata assieme alla coppia Nureyev-Fonteyn. Sino al passo, fortuito – come confessò nella sua ultima intervista rilasciata a E. Testa –, da ballerino a coreografo, partecipando al Primo Concorso di Coreografia di Bagnolet nel 1970. Passo da cui imboccò un cammino di costruzione e di elaborazione artistica in incessante ascesa, che negli anni successivi condusse Nu~nez a divenire, fra Francia e Germania, un affermato coreografo sì di prediletto linguaggio neoclassico, ma comunque capace di un carisma creativo sfuggente a qualsivoglia etichetta.

Forte e intimo il suo legame con l’Italia, dapprima al Teatro Massimo di Palermo, poi al San Carlo di Napoli. Per l’istituzione lirica siciliana, dove approdò alla fine degli anni ‘70 e rimase per un decennio, firmò alcune nuove creazioni in prima mondiale, come Il canto della terra, su musiche di Gustav Mahler, e All’Italiana, sulla partitura di Gioacchino Rossini. Nominato Direttore del Ballo nel 1981, grazie al vigore nuovo che seppe instillare nel Corpo di Ballo presentò in cartellone più di venti rappresentazioni coreiche all’anno. Non meno alacre fu l’opera che Nu~nez profuse presso l’ente sancarliano, nel cui repertorio egli entrò nel 1994 con la sua versione de Il lago dei cigni: un successo così fragoroso, che gli valse nello stesso anno a Venezia il premio della critica per la migliore produzione di danza.

 

Di quest’uomo, il cui primo progetto futuro era dare la classe l’indomani mattina, che predicava un danzatore intelligente, anche nei momenti di non-danza, dall’emotività vibrante, impasto di cultura personale e istinto primitivo, rimane il modo, nudo e totale, d’intendere la danza: «Una forma di vita. Mi sveglio pensando a lei, mi addormento pensando a lei».

Contributo fotografico: Alessio Buccafusca

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