Accennare i movimenti, contare la musica a voce alta, guardare dallo specchio cosa succede dietro di te e nel frattempo, tra un canto e un conto, dare le correzioni a tutti. Lo sguardo viaggia veloce dalla singolarità dell’individuo all’insieme del gruppo, continuamente, come un osservatore attento che abbraccia corpi e spazio.
Fare tutto questo contemporaneamente.
Così funziona la mente di un insegnante di danza mentre sta lavorando.
Ci vogliono anni di esperienza per riuscire a controllare queste azioni fluidamente, mantenendo anche la giusta presenza e il ritmo del lavoro. Bisogna saper essere propositivi quando è il momento e ascoltare poi la risposta della classe, adeguandosi continuamente ad essa, per condurre proprio la lezione di cui quel gruppo, quel giorno, ha bisogno.
La domanda che mi sono posta più spesso negli ultimi quindici anni, cioè dal momento in cui mi sono ritrovata, terrorizzata, per la prima volta di fronte ad una classe è: cosa fa di un insegnante un bravo insegnante? La risposta diventa sempre più lunga e complessa man mano che la mia esperienza aumenta, perché si tratta di insegnare una disciplina artistica e non qualcosa di definito e lapidario, che può essere trasmesso per schemi o rigidi teoremi. La danza cambia e si evolve continuamente, allo stesso modo cambiano i corpi dei giovani aspiranti danzatori, nonché le richieste provenienti dal lavoro stesso: più velocità, elasticità, malleabilità, eclettismo.
Un insegnante ha il difficile compito di preparare i danzatori per tutto questo, ma allo stesso tempo anche infondergli l’amore, riaccendere la motivazione, aprire gli orizzonti del cuore e della mente, nutrire la curiosità. Deve credere in loro quando loro stessi non riescono a farlo, essere il loro sostegno quando ne hanno bisogno, ma sapersi mettere da parte quando è giunta l’ora di lasciarli volare via con le proprie ali.
Sì, decisamente ci sarebbe molto da dire in merito all’insegnamento della danza, per questo siamo qui a comporre una raccolta di pensieri e di riflessioni.
Non resta che darci l’avvio che ci piace di più: sette, otto e vai!