Il corpo secondo Lia Courrier: “uno strumento da lavoro”

di Lia Courrier
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Subisco il fascino dell’anatomia umana fin dall’infanzia, una passione che ha sempre sollevato la preoccupazione di tutti: doveva apparire quantomeno macabro il mio rapimento nel contemplare la forma delle ossa, in particolare il complesso sistema del cranio, che oggi è diventato a tutti gli effetti un mio talismano. Il corpo umano è un territorio sconfinato di ricerca del quale non potrei mai stancarmi. Avete presente la matrioska, la bambola russa che contiene tante copie di sé, sempre più piccole e intime? Ecco, è così che la mia indagine è continuata senza sosta, sempre più in profondità anno dopo anno. In questo caso, però, credo si possa parlare di una bambola che contiene INFINITE copie di sé e tra queste, le più minute sono sorprendentemente anche le più preziose e ricche di dettagli.

Esiste l’ultima bambola, la più piccola?

Non lo so. Non è importante saperlo.

Ciò che bisogna sapere è che lo strumento di chi danza è il corpo, per cui conoscerlo in modo approfondito è importante per raggiungere una buona consapevolezza nel movimento, ma questa competenza diventa indispensabile, a mio parere, qualora si lavori in ambito formativo. 

L’insegnamento della danza classica prevede condizioni, posizioni e movimenti che non sempre comportano un’azione dolce su articolazioni e muscoli, soprattutto in contesti diversi da quelli accademici, diciamo istituzionali, ambiti in cui gli allievi vengono rigorosamente selezionati in base ad una particolare qualità delle articolazioni, che questa tecnica esige. Io credo fermamente, però, che la danza sia per tutti e non per pochi, per questo sostengo che l’anatomia e la fisiologia possono rivelarsi validi alleati nel fornire indicazioni utili per la formazione coreutica in generale, ma specialmente quando lavoriamo su corpi non proprio predisposti oppure in via di sviluppo, quindi più suscettibili a sollecitazioni estreme e reiterate.

Spesso si dà per scontato che chi pratica balletto sia soggetto a patologie quali: rettilizzazione delle curve della colonna vertebrale, tendinite, fratture da stress, alluce valgo, usura a legamenti, lesioni ai menischi, giusto per citarne alcune. Nella mia ricerca, ho potuto verificare che queste problematiche possono diventare meno invalidanti, se non totalmente assenti, quando la base della trasmissione dei principi legati al movimento è la conoscenza del corpo e dei principi biomeccanici che ne regolano il movimento. Non ho alcun merito in questo, non ho inventato nulla,  mi limito ad osservare e mettere in pratica quello che per molto tempo ho avuto davanti agli occhi senza essere stata capace di vedere, perché troppo focalizzata solo sulle richieste estetiche della tecnica classica. Certo, i corpi dei danzatori professionisti sono sottoposti a molte ore di lavoro al giorno, quindi qualche problema potrebbe manifestarsi col tempo, ma proprio per questo, qualunque sia il pubblico delle nostre classi, amatoriale o professionale, giovanissimi o adulti, dovremmo davvero tutti impegnarci per garantire sicurezza e consapevolezza ai nostri allievi, affinché non si facciano male o non peggiorino le situazioni traumatiche pregresse.

Il nostro desiderio è quello di FORMARE con la danza, non di DEFORMARE.

Osservo spesso, nello studio, questa tendenza ad inseguire un ideale estetico senza preoccuparsi delle ricadute che quello sforzo avrà sulla salute del corpo, forzandosi dentro alle posizioni giorno dopo giorno. Davanti a questo atteggiamento, spesso dettato da un eccesso di zelo, cerco di aiutare quella persona a spostare il focus dal risultato finale alla strada che bisogna percorrere per raggiungerlo, mentre io mi occupo di osservare attentamente quello specifico corpo, individuando le sue potenzialità peculiari e le limitazioni, con il supporto delle conoscenze anatomiche e fisiologiche accumulate negli anni. In questo modo potremo creare insieme l’opportunità di conquistare quell’obiettivo, che sia un movimento o una posizione, con un risultato tecnicamente efficace e artisticamente significativo, senza mai  perdere il rispetto dello strumento corpo. Un lavoro di squadra.

È molto importante per me che nessuno si faccia male durante le mie lezioni, quando capita mi sento responsabile e cerco di capirne le cause: non sono riuscita a vedere il punto debole nel lavoro di quel danzatore? Ho fatto in modo che spingesse troppo oltre la fatica o oltre le sue possibilità? Non ho dato un adeguato riscaldamento? Sono domande che mi pongo continuamente, queste, perché sento che il mio ruolo non è solo quello di far sudare i danzatori, di dare loro un allenamento o di trasmettere qualche trucchetto del mestiere, quanto piuttosto di aiutarli a sviluppare un profondo rispetto ed una solida conoscenza del loro proprio strumento, che è l’unico mezzo di cui dispongono per permettere a tutta la danza che hanno dentro di esprimersi.

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