Questi mesi trascorsi a parlare e scrivere di danza, nelle pagine di questa rubrica, sono volati con la velocità tipica con cui scorre il tempo quando lo si impiega per fare qualcosa di estremamente piacevole. Adesso siamo all’ultimo numero di setteotto prima della pausa estiva e quindi, come in ogni commiato che si rispetti, mi sembra doveroso fare un ringraziamento.
A chi potrei esprimere la mia più sincera gratitudine se non a quel codice, ereditato dai primi ballerini e maestri di danza della storia, che lo hanno formulato attraverso una stratificazione di competenze e di creatività, cioè il meraviglioso sillabario di movimenti che costituisce la tecnica del balletto?
Ogni volta che lo contemplo, rimango rapita dalla bellezza e dalla purezza di questo strumento straordinario che abbiamo il privilegio di poter utilizzare e manipolare ogni giorno nel nostro lavoro di insegnanti: si tratta di un catalogo ordinato in cui ogni movimento ha un nome, delle varianti e delle eccezioni, esattamente come un idioma nel quale i passi rappresentano le singole parole e la musicalità ne è la punteggiatura. Quando preparo le combinazioni da assegnare durante le classi, ho a disposizione questi vocaboli in movimento per poter comporre frasi sempre diverse e nuove. Posso lasciarmi trasportare dall’estro del momento, osando accostare termini dai colori contrastanti tra loro, per poi alternare questo tipo ricerca, in direzione dell’insolito, con una proposta più abituale, consueta, che permetta di focalizzarmi più sugli aspetti tecnici dell’esecuzione.
Nel corso di questi anni trascorsi insegnando danza classica ho dato migliaia di lezioni, ma raramente mi è capitato di ripetere la stessa identica combinazione di passi per più di una volta, perché anche quando cerco di ripescare qualche vecchia combinazione che mi sembrava aver funzionato bene, mi rendo conto che posso renderla ancora più interessante modificando piccoli dettagli che riguardano il ritmo oppure gli elementi stessi che la compongono. La perfezione di questo codice, che è finito, mi ha consentito di creare una infinità di combinazioni diverse, con l’obiettivo di stimolare differenti aspetti del movimento o della musicalità dei danzatori. Il modo in cui queste singole unità si legano e convivono, la possibilità di poter usare liberamente un pas de basque in un adagio, in una combinazione di salti o in una diagonale di pirouettes, lasciando che la sua indole si adatti al contesto in cui è inserito, è solo uno degli esempi per comprendere il dualismo intrinseco di questo codice: rigoroso ma non rigido. Molte volte mi sono ritrovata a spiegare esercizi estremamente elaborati e non convenzionali, almeno rispetto a tutto ciò che viene considerato ‘accademico’, questo perché la mia indole da ricercatrice mi spinge sempre a cercare soluzioni nuove, che allontanino i danzatori da abitudini e routine, ma nel momento in cui la creatività viene meno o quando sento che sto nuotando troppo al largo, è la purezza del codice che mi riporta a casa: ogni volta che mi perdo e non so più dove andare, quello che faccio sempre è ritornare all’origine. Riparto da quelle parole danzate che costituiscono gli elementi base di questa lingua internazionale, condivisa e compresa da tutti noi ballerini, a prescindere dal nostro luogo di nascita. Il codice ci mostra il modo corretto di eseguire i movimenti, ha in sé tutte le risposte di cui abbiamo bisogno, ci protegge e ci rassicura dandoci dei limiti entro cui stare, che però sono elastici e permeabili, per non soffocare mai la nostra esigenza espressiva. Il codice è racchiuso in ogni istante della lezione, in ogni gesto ci accompagna e ci mostra la sua logica, è proprio in questo aspetto che si racchiude tutta la bellezza di questo compagno di lavoro ideale, che è anche, allo stesso tempo, un Maestro.
Non ricordo più neanche quando ho imparato questo linguaggio. Queste informazioni sono entrate nella mia mente e nel mio corpo in tempi così remoti che ho quasi la sensazione, a volte, di essere nata con queste conoscenze. Mi accorgo della sublime complessità di questo materiale vivente, celata dietro ad una apparenza di rigidità lapidaria, soltanto quando insegno a coloro che vi si approcciano per la prima volta, quando osservo la difficoltà ad entrare in relazione con un sistema che io ho metabolizzato da anni. Allora provo a ritrovare in me quei momenti degli esordi, ma è molto difficile arrivare così lontano nel tempo, così mi rendo conto che è proprio il codice a chiedermi, in qualità di insegnante, di tornare indietro per approfondire e svelare aspetti profondi di sé che ora sono pronta a comprendere e trasmettere agli altri.
Nello schermo della mia mente viene proiettato sempre lo stesso film: degli omini danzanti stanno creando per me le sequenze che farò a lezione l’indomani. Eseguono gli esercizi alla sbarra e poi al centro, ripetendoli più volte fino a che non sono soddisfatta del risultato. Ogni tanto mi sorprendono mostrandomi lampi di novità, che poi io inseguo avidamente, alla ricerca di qualcosa che metta alla prova i danzatori.
Il codice sempre al mio fianco ad indicarmi la strada.