L’operetta al tempo della Grande Guerra

di Elena D'Angelo
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È doveroso a questo punto approfondire il discorso sull’operetta al tempo della prima guerra mondiale, un triste capitolo della nostra storia di cui ricorre quest’anno il centenario.

Muti passaron quella notte i fanti, ma l’operetta doveva andare avanti..e se si udiva dalle amate sponde sommesso e triste il mormorio dell’onde, in un presagio dolce e lusinghiero un uom contrabbandò motivi allo straniero.

Così, parafrasando la famosissima Leggenda del Piave di E.A. Mario, avrebbe potuto felicemente cantare Carlo Lombardo; come vi ricorderete infatti, durante il conflitto, tutto ciò che era di provenienza austro-tedesca, non era visto di buon occhio nel nostro paese, anzi, ne venne del tutto estromesso. Tutto, anche l’operetta, e fu così che il nostro caro Lombardo iniziò il suo lavoro di riscrittura e riadattamento di opere e motivi d’oltralpe, dando vita a piccoli capolavori dell’operetta italiana. 

Così, dopo la già citata Signorina del Cinematografo di Weinberger, entrata nei nostri teatri dopo un abile cambio di autore, fu la volta della Majestad Mimì di Granichstaedten, completamente rivista da Lombardo e trasformata nella celebre Duchessa del Bal Tabarin, la prima vera operetta all’italiana.

Grande popolarità ottenne La Duchessa, tanto che se ne parlava al fronte, tra i soldati i quali, anche se lontani dai teatri e dalle frivolezze dell’operetta, ne parlavano trovando un poco di conforto. Così recita un appunto ritrovato nell’agenda di un soldato sul Carso, nell’agosto del 1917:

arrivano i miei mitraglieri e si gettano a terra stanchi dopo di aver posato delicatamente il materiale. Sono da ammirare.[…] in ultimo quel matto del Confalonieri. Agita il suo bastone  e declama “canteranno le belle mitragliatrici! E canta coi colleghi: Frou Frou del tabarin.

Ma torniamo a teatro; col passare del tempo si assistette alla definizione dei ruoli in coppia, oggi ormai di rito, all’interno delle operette italiane; le note più candide della soprano si abbinarono quasi naturalmente a quelle piene del tenore. Mentre per le produzioni più sbarazzine, ecco in scena una sgambettante soubrette accompagnata dalle battute del comico più irriverente.

In Italia gli anni della guerra divennero quindi anni di grandi rielaborazioni, vere e proprie opere di riscrittura, portate avanti in primis dal nostro Lombardo, impegnato a scovare le opere meno note del repertorio straniero. Uno dei rimaneggiamenti meglio riusciti che si ricordino è certamente la Madama di Tebe, nata sì dalla penna di Lombardo ma con non pochi riferimenti a Flup, operetta francese del compositore polacco Szulc, che ebbe un buon successo intorno al 1913. Poco importa infatti se al travolgente tango di Flup venne aggiunto un piacevolissimo refrain di origine sudamericana, inscenando in una casa di moda parigina un’ipotetica e fantomatica notte peruviana.

Più modestamente, ma con eccellenti risultati, Giuseppe Pietri rivestiva di nostalgiche note la commedia di Camasio e Oxilia, Addio Giovinezza, molto più vicina all’opera lirica che all’operetta che si stava affermando in Italia. Per il pubblico ciò che contava era il divertimento più che la coerenza della trama.

Sempre in quegli anni, Lombardo fornì il libretto di Changez la Dame a Ernesto Coop, mentre La Principessa della Czarda datata in origine 1915, dovette attendere la fine del conflitto per giungere in Italia, raccogliendo il successo che meritava. Il primo dopoguerra fu costellato da operette “alla Lombardo”; tra queste, spiccarono di Mascagni e Il Re di Chex Maxime di Costa, interessante esempio di zibaldone dovuto sempre all’intervento del maestro napoletano. Stessa sorte toccherà anche a La Casa delle Tre Ragazze, su melodie di Schubert, riadattate da Bertè, importata nel nostro paese sempre dal Lombardo.

Prima di chiudere, bisogna sottolineare che nessuna affinità si ha tra l’operetta del Pietri, Addio Giovinezza e l’inno Giovinezza di Giuseppe Blanc. Quest’ultima composizione, del 1909, nata con il titolo di Commiato, è un saluto degli studenti universitari torinesi, che venne poi cantata al fronte con altro testo, durante la prima guerra mondiale. Dopo il conflitto, l’editore Manni se ne appropriò indebitamente, mettendo in vendita l’edizione “prefascista-socialista”, intitolata Il Canto dei Fascisti, con l’incipit  “su compagni, forti schiere marciam verso l’avvenire”. Dopo una lunga battaglia legale, il Blanc si vide restituire i propri diritti e nel 1927 ne fece un’edizione definitiva, su testo di Salvator Gotta, con il sottotitolo Inno Trionfale del P.N.F.

Come sempre, riprenderemo la nostra storia con un nuovo ed emozionante capitolo.

Elena D’Angelo

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