“Rocky Horror Show”: effetto travolgente anche dopo 40 anni

di Alessandra Colpo
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Che fosse un successo garantito non c’erano dubbi, ma quello che colpisce è ancora il suo stupefa­cente effetto. Il Rocky Horror Show continua a fare conquiste a distanza di 40 anni e il pubblico milanese non può astenersi dall’”abbandonare se stesso al piacere assoluto”.

La storia di Brad e Janet anzi, l’esperienza vissuta dalla giovane coppia in una notte di tempesta presso il castello del Dr. Frank-N-Furter, è esattamente quella che vive il pubblico del Rocky (so­prattutto i “vergini”) ogni volta che vi partecipa. Questa è la sua magia: ogni spettacolo dà sempre qualcosa in più, invitando a “non sognare ma essere”.

Più di un semplice musical: il Rocky Horror Show può essere davvero considerato un’esperienza da vivere fino in fondo e che non termina alla chiusura del sipario ma che deve continuare anche nella vita reale.

Il capolavoro di Richard O’Brian, in questa versione, è prodotto da BB Promotion GmbH con la regia di Sam Buntrock, le cui ottime scelte, come ad esempio la proiezione di b-movies prima dello spettacolo, hanno introdotto lo spettatore nel pieno clima science fiction ancora prima di sedersi in poltrona.

Minimale e underground rispetto a quella cinematografica è la scenografia, ma sicuramente di forte impatto scenico e ricca di citazioni come l’opening Science Fiction Double Feature.

In scena un cast straordinario fatto di attori le cui voci e personalità sono perfettamente coerenti con tutti personaggi, nonostante qualche piccola differenza non fondamentale, ma tra tutti a spiccare è stato sicuramente Rob Fowler. Degno erede di Tim Curry, Fowler ha saputo ricreare un suo perso­nale Frank, ancora più irrefrenabile dell’originale (e per molti forse anche un po’ troppo etero e biondo). Grintosa la band live di 6 elementi che ha presentato nuovi arrangiamenti di alcuni brani.

I fan non avranno condiviso a pieno la scelta di dare una voce italiana al narratore, ma i neofiti hanno sicuramente apprezzato.

L’elemento che contraddistingue e rende questo spettacolo unico ed eterno è però il coinvolgimento del pubblico, sia novello sia fan storico. Oltre ai sosia, con tanto di trucco e accessori, si notavano già nel foyer del Teatro della Luna altre presenze transilvane con tanto di fan bag contenente il riso, il giornale e tutti gli altri oggetti di scena. Forse non tutti lo sanno ma per partecipare attivamente al Rocky Horror Show sono necessari alcuni accorgimenti e regole.

Ad ogni scena corrisponde una determinata reazione del pubblico, che può essere sia una battuta di risposta a un personaggio sia un vero gesto. Tra i rituali il primo fra tutti è il lancio del riso alle nozze, durante il temporale il pubblico è invitato a ripararsi la testa con il giornale. Durante la can­zone Over at the Frankenstein place, il verso «There’s a light» dà il via all’accensione delle luci (torce o accendini), che vanno poi spente quando la canzone arriva a «… in the darkness».

Party makers, trombette, fischietti, maracas o quant’altro si possa usare per fare rumore alle feste e/o a Capodanno devono essere usati dopo che Frank finisce il discorso che presenta la sua crea­zione. I coriandoli, al pari del riso, vanno tirati per festeggiare gli sposi, questa volta quando Frank sposa Rocky. Quando durante I’m going home Frank arriva al verso «…cards for sorrow, cards for pain» il pubblico lancia le carte in aria.

Non è lo stesso Rocky Horror Show che la vecchia guardia conosce e ama, ma sicuramente una straordinaria produzione che ha colto in pieno l’essenza del capolavoro di Richard O’Brian e sa come conquistare anche il pubblico più frigido.

Siate ciò che volete, fate quello che sentite senza avere timore dei giudizi. Il Rocky Horror insegna che non c’è nulla di sbagliato nell’essere ciò che si vuole: per tutta la durata dello show ognuno può vivere in un mondo parallelo dove non esistono regole, un mondo che esilia la realtà mentre il so­gno può dominare. La morale è di alzarsi e fare ciò che si vuole. Let’s do the timewarp -once- again!

Crediti fotografici: Thommy Mardo, Nilz Boehme

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