Virgilio Ranzato II Parte: in viaggio verso “Il Paese Dei Campanelli”

di Elena D'Angelo
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Carissimi amici, riprendiamo il discorso a puntate sul grande Maestro Virgilio Ranzato che tanto ha contribuito con la sua arte alla storia dell’operetta in Italia.

Avevamo parlato, nel precedente articolo, delle sue prime composizioni: Il Velivolo e Ivonne. Nel 1913 gli viene proposta La leggenda delle Arancie [sic], un libretto scritto da Carlo Caretta e Percivallo Lampugnani, che gli permette di sfoggiare la sua vena melodico-sentimentale, dimenticando forse che, in un’operetta di successo, non possono mancare brani travolgenti e toni accattivanti. Tra un ritocco e l’altro al testo, La Leggenda delle Arancie, procede fino al 12 febbraio 1916; questa è la data posta dal Maestro in calce all’ultima pagina della partitura. Va in scena a Milano, al Teatro Diana, nel marzo di quello stesso anno. Ottiene un buon successo, ma manca ancora qualcosa, anche se Ranzato ama molto questa operetta, tanto da dedicarla alla moglie (“Alla mia Lucilla” si legge sul frontespizio). E qualcosa di buono c’è davvero: un duetto giapponese che, con pochissimi ritocchi nella strumentazione, entrerà ne Il Paese dei campanelli, e la strofa di un duetto comico dell’ultimo atto che offrirà la musica a quella del “Fox dei bibelottes” di Luna Park. Un’altra curiosità riguarda alcune battute che saranno poi reinserite anch’esse in Luna Park, diventando il tema del ritornello del “Tango della gelosia” di Vittorio Mascheroni scritto nel 1930.

Il successo della Leggenda è superato dal lavoro successivo Quel che Manca a sua Altezza o Ciò che Manca a sua Altezza. Il testo è di Giovacchino Forzano ed è tratto dalla commedia omonima del Soldani del 1912. Il copione definitivo porta la data del 1 aprile 1919 e la prima rappresentazione si tiene a Roma, al Teatro Quirino l’8 maggio successivo. “Casa Musicale Sonzogno-Milano” si legge sulla copertina dell’operetta; ormai la casa editrice è tornata ad essere una sola anche se il manoscritto è vergato su fogli recanti il logo di Lorenzo Sonzogno che si era a suo tempo staccato da Edoardo, scegliendo di editare lavori di nuovi autori quali il Wolf-Ferrari e le operette già citate del Leoncavallo. Proprio a Lorenzo, forse, si deve la commissione del lavoro al Ranzato. A prescindere dalle vicissitudini editoriali, si tratta di una buona operetta, con tante belle trovate musicali e sceniche, e, senza dubbio meriterebbe di essere riportata alla ribalta in grande stile. Una curiosità: la gavotta che fa da leit-motiv al preludio ritornerà ne “La canzone del latte” de Il Paese dei Campanelli.

In quel di Sala Comacina, il nostro autore scrive, tra il luglio e l’agosto del 1921, la musica de I Gigli del Redentore, su testo di Giovanni Maria Sala. L’operetta è ambientata a Venezia e, per quel poco che c’è dato di conoscere, consta di una ventina di numeri musicali tra i quali si segnalano il fox-trot nel finale “Dalla laguna verrà”, la “Serenata del Maestrino”, una Furlana, il “Duetto d’amore” tra Nene e Mirate, e… chissà che altre perle si potrebbero trovare recuperando la partitura che pare sia andata smarrita! Ma questo non è il solo mistero che circonda quest’ultima operetta, perché non siamo riusciti a reperire notizie né sulla data né sul luogo di rappresentazione e neppure sulla casa editrice di questo lavoro. Cari amici, se qualcuno di voi avesse qualche preziosa informazione in merito, gliene saremmo grati e saremmo felicissimi di ascriverlo nel “Libro d’Oro” degli amanti dell’operetta.

Elena D’Angelo

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