Ritorniamo per un attimo all’Italia, dove abbiamo lasciato la storia di Ranzato nell’anno 1926. Dobbiamo sapere che il Maestro, oltre ad aver composto operette e musica seria, si cimentò con successo anche nella composizione di canzoni. Proprio nel 1926 diede alle stampe per Lombardo la canzone La Madonnina Dorata, un omaggio fatto alla Madonnina del Duomo di Milano con un riferimento finale alla situazione politica del momento. Il canto termina con le parole: “La Madonnina dorata / sorride beata / dall’alto del tempio / baciata dal sol / E dice a chi trema: / L’Italia non tema /Io veglio e proteggo / il Suo Condottier”. Non ci meravigli questo omaggio al Fascismo, poiché nessun musicista in quegli anni si era mai sottratto dal celebrarlo.
Ranzato si era stabilito a Moltrasio ormai da alcuni anni, dove, quasi inevitabilmente, incontrò i colleghi comaschi, da Giuseppe Rampoldi, a Giacomo Maria Somalvico (come lui ottimo violinista), all’immancabile Angelo Ramiro Borella, musicista “a orecchio” ed abilissimo approntatore di testi per canzoni che per oltre un ventennio collaborò con tutti i maggiori compositori italiani.
Il sodalizio Ranzato-Borella darà dei piccoli capolavori alla canzone italiana di quegli anni. Il primo lavoro noto risale appunto al 1927 e s’intitola Quando c’erano le Fate. Non sappiamo se fu dato alle stampe ed eseguito, ma ne esiste un manoscritto, non autografo, presso il Fondo Ranzato e, da una rapida scorsa, lo si ritrova inserito nel terzo atto de La Duchessa di Holliwood, scritta col Lombardo tre anni più tardi. Ancora nello stesso anno il Ranzato scrisse, su testo di Enrico Frati, la canzone Zio Sam, una pungente satira sul presunto predominio culturale americano sul mondo e, nella fattispecie, sull’Italia; a questa ne seguì un’altra, piuttosto piccante nei sottointesi, intitolata Scusi!. Nel 1928 scrisse con Lombardo e Ravasio, l’operetta in tre atti Cri Cri, di soggetto surreale, che tratta di un viaggio nel tempo per scoprire le nobili origini della protagonista. L’azione si svolge per il primo atto a Parigi in epoca presente, poi si va dapprima nel passato, ancora a Parigi, ma nel 1791, con tanto di Napoleone, Andrea Cheniér, Cambronne e Paisiello e poi nel futuro, precisamente nel 2078, anno in cui furoreggerà (almeno secondo gli autori) la nuova danza: il Bu-Blek. Il mezzo utilizzato per spostarsi nel tempo è un velocissimo aeroplano e con questo anche la “Teoria della relatività” entra a far parte del mondo dell’operetta. Il brano di ispirazione più classica è certamente il trio violino, arpa e pianoforte a cui, su tempo di gavotta, si uniscono le voci del soprano Bianca, della soubrette Cri Cri e del coro delle donne nel secondo atto. L’atmosfera tardo settecentesca si presta alla ripresa di formule classiche, come il Madrigale di Raoul, opportunamente contaminate con le novità dei ruggenti anni venti. Emblematico il duetto comico dal titolo Danze Vecchie e Nomi Nuovi, in cui Cri Cri ed il comico Jolì passano con estrema naturalezza dal minuetto alla giava e dalla pavana allo shimmy. L’allestimento è con maggiore evidenza rivolto allo sfarzo ed a stupire lo spettatore, ma anche qui troviamo un ripescaggio: la gavottina I Topolini dell’Operà è la poco nota Gavotta delle Lucciole, dal terzo atto di Cin Ci Là, qui opportunamente trasformata, da brano puramente strumentale ad un godibilissimo concertato.
Lasciamo la prima di Cri Cri il 28 marzo al Dal Verme di Milano e passiamo al Politeama Genovese la sera del 30 ottobre. Il Ranzato scrisse per l’editore Forlivesi di Firenze la Fantasia Revue-Trepidante su libretto di Stilos, La Danza del Globo. Tersicore (soubrette) ne fu la protagonista, accompagnata dal comico Beniamino, segretario dell’educandato “La casa del Galateo”. La bella Musa se lo porta in giro per il mondo in ben undici quadri divisi in tre atti: dall’Olimpo di Apollo all’Olanda, dalla Russia fino alla Cina per terminare trionfalmente con la Danza del Globo e la ripresa generale di un brano più che trascinante, lo Shimmy dei Burattini. Moltissimi i numeri musicali, e tutti interessanti: la Serenata Maliarda, quella Burlesca si presta a far finalmente cantare dal comico un brano a solo, il Fox del Tennis è un notevole brano orchestrale ed il Duetto di Cavallini è tenero e cullante per poi esplodere nella ripresa d’orchestra a ritmo di Black Bottom. Chiuse trionfalmente l’anno, il 22 dicembre, la prima al Lirico di Milano de I Merletti di Burano, scritta su soggetto di Carlo Lombardo ancora con l’adattamento ritmico dell’immancabile Ravasio. La messa in scena venne affidata alla compagnia che vantava nel cast la stella Ines Lidelba. Si presentò come l’omaggio del Ranzato alla sua Venezia e, anche qui, come nei meno noti Gigli del Redentore, si succedono gustose melodie che descrivono la bella città lagunare, non tralasciando mai le nuove tendenze in ambito di musica da ballo. Da segnalare nel corso del finale primo atto il contrappunto che l’autore realizzò sovrapponendo a sue melodie il celebre “Silenzio” tutt’ora in uso tra i nostri militari.
Elena D’Angelo