Sylvie Guillem: una lunga standing ovation per salutare la dea della danza

di Giada Feraudo
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Dieci minuti di standing ovation e un teatro gremito di un pubblico entusiasta come raramente accade hanno salutato, la scorsa domenica 5 luglio, la tappa genovese dello spettacolo dal titolo Life in progress, con cui l’étoile internazionale Sylvie Guillem dà il suo addio alle scene.

Life in progress, una produzione del Sadler’s Wells London in co-produzione con Les Nuits de Fourvière di Lione, ha debuttato proprio in Italia nel mese di marzo, presso il Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena, e continuerà fino alla fine del 2015, toccando i teatri di mezzo mondo.

Questa è anche l’ultima occasione di vedere in scena ”la divina” della danza, che, all’età di cinquant’anni, ha deciso di appendere le scarpette al famigerato chiodo e di salutare il suo pubblico con un tour mondiale. Una decisione difficile e meditata, senza dubbio, ma intelligentemente presa in un momento in cui la sua stella è ancora sfavillante agli occhi di tutti e la sua forma fisica ancora perfetta. «È una decisione sofferta» afferma la Guillem «ma preferisco essere io a scegliere liberamente, prima che il mio corpo cominci a cedere. Non voglio che sia il pubblico ad accorgersene prima di me. Più in alto di così non posso salire. Tanto vale fermarsi.»[1]

Sylvie Guillem, che aveva già danzato a Genova nel 1999, in occasione della 31° edizione del Festival di Nervi, e nel 2004 per la 34° ed ultima edizione del Festival presso il Teatro Carlo Felice, ritorna ora con un programma estremamente interessante, che ben rappresenta il percorso intrapreso e seguito assiduamente dall’artista nel corso dell’ultimo decennio: Life in progress, appunto.

La serata si è aperta con una coreografia di Akram Khan, dal titolo Technê, che, in greco, indica l’abilità, il saper fare qualcosa. In questo assolo Sylvie Guillem si pone in dialogo con l’elemento tecnologico, rappresentato da una sorta di albero semovente che proietta luci, e lo fa con un utilizzo del corpo e della gestualità che passa dapprima attraverso movimenti isolati per poi diventare una danza piena di energia ed estremamente complessa, costruita sul suo corpo. La musica, di Alies Sluiter, è qui eseguita dal vivo sul palcoscenico.

La coreografia successiva è Duo, di William Forsythe, in cui i due interpreti maschili, dotati di un movimento  straordinariamente fluido, danzano un continuo intreccio senza soluzione di continuità ma che evidenzia un perpetuo scambio e una costante interazione fra i loro corpi. 

Il terzo pezzo è ancora un duetto, Here and after, questa volta al femminile, fra l’étoile Sylvie Guillem e la solista scaligera Emanuela Montanari. Il pezzo porta la firma di Russell Maliphant, che da anni ha creato con la Guillem un importante sodalizio artistico, e rappresenta una sorta di compendio della cifra tecnica e stilistica che caratterizza il coreografo, all’interno di cui è possibile riconoscere ispirazioni molto diverse fra di loro, mutuate dal Tai Chi Chuan, dalla Capoeira, dallo Yoga, fino alle danze indiane. È la prima volta che vediamo la Guillem affrontare un passo a due tutto al femminile, dimensione in cui si trova perfettamente a suo agio, così come la sua partner, la quale alle difficoltà tecniche e interpretative della coreografia deve aggiungere il peso della responsabilità, tutt’altro che trascurabile, di danzare al fianco di una ballerina della portata di Sylvie Guillem.

La serata, nel complesso piuttosto breve e per nulla facile anche per un pubblico esperto, non poteva che chiudersi con Bye, di Mats Ek. Il coreografo svedese, con la chiarezza espressiva che gli è sempre stata propria, rappresenta qui una donna comune (Guillem in prima persona, in questo caso) che, vestita semplicemente di una gonnellina e di un golfino, si ritrova da sola in una stanza con la porta chiusa. La porta di questa stanza, con la quale interagisce e su cui si proiettano delle immagini, riflettenti talvolta la realtà all’interno della camera, altre quella esterna, è una sorta di specchio in cui questa donna ricerca qualcosa. Liberandosi dagli abiti anonimi con cui è vestita si lascia quindi andare alla danza, che la trasporta in un vortice di energia sempre crescente e che si conclude con uno sguardo sul mondo al di là della porta: rivestitasi dei suoi semplici abiti quotidiani la donna/Sylvie si sofferma sulla soglia, al di là della quale si è raccolta una piccola folla di persone altrettanto comuni, e la oltrepassa, uscendo definitivamente di scena.

Il pubblico della serata, fra cui erano presenti personalità del mondo della danza ma anche, e soprattutto, semplici appassionati che non hanno voluto, a ragione, perdersi questa occasione unica, ha dimostrato un grande calore nei confronti della Guillem, dedicandole quasi dieci minuti di applausi ininterrotti e richiamandola in scena diverse volte al suono di “Bravo”.

La “divina” della danza ha detto addio alle scene ma di sicuro il suo nome, così come la sua eredità, non mancherà, come già ha fatto e sta facendo, di illuminare la strada della danza del futuro.

[1] Cit. in V. Crippa, «A 50 anni tolgo le scarpette». Abdica la regina della danza, Corriere della Sera – La 27Ora, 22 dicembre 2014.

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