La frenetica e ipertecnologizzata società occidentale rimuove da sempre, più che può, il concetto della morte, relegandola ai margini dei propri pensieri, delle proprie vite come se, così facendo, si potesse cancellarla dalle esistenze di tutti noi. Ma quando accadono fatti estremamente sanguinosi ed efferati, come quelli di Parigi, che scuotono le coscienze di tutti, siamo costretti inevitabilmente a misurarci con essa.
Non è cosi per tutti i popoli: quello albanese, per esempio, avendo vissuto ben due guerre civili in poco tempo, ha convissuto con la morte quotidianamente e l'ha via via accettata come una tragica normalità, quasi rassegnandosi ad essa.
Da questo humus, prende ispirazione Hektor Budlla, albanese, uno dei danzatori veterani della compagnia Aterballetto che con Nord Est 41°19”, (che sono proprio le coordinate dell'Albania), sua seconda creazione coreografica dopo “Revolution”, porta in scena (con i bravissimi danzatori della compagnia : Alessandro Calvani, Noemi Arcangeli, Lucia Vergnano, Ivano Mastroviti, Daniele Ardillo,Roberto Tedesco) proprio il tema della morte.
Scioccante già l'ouverture: sul palco c'é una bara, illuminata di rosso, dove giace un ragazzo morto, attorniato da donne e uomini vestiti di lunghe tuniche nere che, disperati, lo vegliano e che, poco alla volta, iniziano una danza rituale, di motivo circolare, sempre più vorticosa, quasi ossessiva, un modo, secondo la loro religione, per avvicinarsi a Dio.
Tra questi, una donna, madre del ragazzo morto, vestita a lutto, il cui struggente assolo incarna la disperazione del suo cuore affranto, la cui drammaticità è però contenuta, misurata, come se in fondo accettasse la morte come un destino ineluttabile.
Il cambio di scena, ci fa capire che Nord Est 41°19” è però anche il racconto della vita e delle sue bellezze come l'amore o l'amicizia che sono i temi ispiratori dei brani della seconda parte del balletto dove gli uomini e le donne diventano simboli di un'umanità unita anche dalle cose belle, le uniche che, secondo Budlla, giustificano e alleggeriscono la tragicità della fine che spetta a tutti.
L'amore rappresentato, è quello puro, giocoso ed adolescenziale, dove tutto è scoperta, anche e soprattutto il corpo dell'altro e che prende forma in un passo a due delicatissimo e sensuale, dove i corpi dei due danzatori diventano a tratti, uno solo, una vera e propria poesia in danza .
L'amore, ma anche l'amicizia sono una consolazione per tutti, un legame che va al di là della finitezza del tempo e la limitatezza della nostra vita, il tutto molto ben evidenziato dalla parte coreografica in cui i ballerini, seduti di schiena al pubblico, iniziano a danzare tenendosi sempre per mano, sempre legati, quasi incastrati, un modo forse per sentirsi fratelli, per sostenersi uno con l'altro per condividere una sorte comune fatta di gioia, ma anche di dolore.
E' la gioia a pervadere il finale del balletto che Budlla ha creato come un racconto al contrario partendo dalla fine di tutte le cose, cioè dalla morte, per finire con la vita, e con i suoi preziosi momenti, gli unici per cui vale la pena esistere.
Penso che le parole dello stesso coreografo rendano al meglio l'idea del messaggio di questo balletto poetico e profondo, che segna sicuramente una svolta di maturità nell'ispirazione artistica di Hektor Budlla; “Rivive la vita fremente, finita e proprio per questo,magnifica e preziosa. Rivive l'umanità che è in noi, capace di guardare con tenerezza al giovanile perfetto fantasma di un ragazzo morto. Che è, in fondo, la morte mia, la nostra, di tutti, cui vivendo, impieghiamo una vita a dare un senso”.