Kristian Cellini: “l’odore della sala prove, il profumo del palco, i ballerini…per me sono linfa”

di Francesco Borelli
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Incontro Kristian Cellini subito dopo uno stage. Lo sguardo del maestro è soddisfatto e appagato. E i ragazzi, dal canto loro, sono felici di aver potuto seguire lezioni di qualità. Kristian è gentile e disponibile con tutti. E la stessa intervista – nel corso del suo svolgimento – assume le connotazioni di una chiacchierata tra amici in cui si rivela una persona umile, consapevole del proprio valore ma pronta a mettersi in discussione e “farsi assalire dai dubbi”. Una persona colma d’amore e rispetto per quello che definisce “il lavoro più bello del mondo”.

Sei uno dei pochi danzatori che è passato dall’essere un ballerino affermato all’attività di coreografo con grande successo. Che cosa ha fatto la differenza secondo te?

Questa affermazione mi lusinga molto. E forse non la merito. Sono ancora un coreografo che ricerca, sperimenta e ha mille dubbi riguardo al proprio lavoro. Ciò che mi ha permesso di raggiungere sino ad ora dei buoni risultati è di certo la costanza, la dedizione. E l’amore. Tante volte ho pensato di mollare, ma fortunatamente non l’ho mai fatto. Oggi avere la stima di alcuni personaggi affermati nel mondo della coreografia e sapere di aver seminato bene nel tempo mi rende felice.

Credi che sia solo la dedizione ad aver reso possibile una tua affermazione in quest’ambiente?

Dedizione e passione. Chi guarda i miei balletti o composizioni coreografiche, sostiene che io sia molto talentuoso. Ma non spetta a me dirlo. Ogni volta che mi dedico a una coreografia, sono assalito da dubbi, mi faccio mille domande e mi chiedo se tutto funzionerà e se il mio lavoro sarà gradito. Da parte mia so che amo stare in sala prove con i ballerini e a loro dò tutto ciò che nella mia piccola carriera ho imparato, ricevendo in cambio ancora di più. Tutto questo, per me, è linfa vitale.

Hai parlato di “piccola carriera”. Non credi di essere troppo modesto? Tu, Silvio Oddi, Fabrizio Mainini, avete letteralmente dominato la scena della danza televisiva divenendo, per tanti, dei veri punti di riferimento.

Non mi definirei modesto. Io sono molto contento di ciò che ho fatto, ma tendo sempre a guardare chi ha fatto più di me. Da queste persone, poi, cerco di imparare.

Chi sono le persone che, artisticamente, ti hanno dato di più?

Sono davvero tanti. Da Gino Landi fino a Renato Greco, da Franco Miseria a Micha Van HoecKe. E poi amici con i quali ho condiviso parte della mia carriera e che mi hanno insegnato moltissimo. Fra tutti Roberto Campanella che da ventiquattro anni vive e lavora in Canada. Ho la grande fortuna di avere tantissimi ricordi belli e pochissimi spiacevoli. Facciamo il lavoro più bello del mondo.

Il più bello in assoluto?

Davvero non saprei dire. Penso alla prima esperienza di lavoro con la signora Carla Fracci o il primo passo a due con Heather Parisi. Ricordo che appena entrò in sala rimasi immobilizzato. O la “Buona Domenica” con Lorella Cuccarini. Professionista impeccabile e persona dolcissima. E ancora Micha Van Hoecke con cui feci la danza delle spade nel “Macbeth” durante il Ravenna Festival di Cristina Muti. Tra le tante poi, non posso non citare il lavoro di coreografo che dal 2008 mi vede a fianco di Andrea Bocelli al Teatro del Silenzio. Non dimenticherò mai “Cavalleria Rusticana” diretta da Placido Domingo.  Grazie ad Andrea, persona straordinaria e di grande professionalità, ho girato il mondo.

Hai cominciato a studiare danza in un periodo in cui i maschi ballerini non erano ben visti. Vittime di pregiudizi di ogni genere e tipo. Come hai vissuto la tua adolescenza?

Sono nato e vissuto i primi anni in un piccolo paese abruzzese di duemila abitanti. Ma non ho subito alcun tipo di pregiudizio. I miei genitori mi hanno sempre appoggiato. Da bambino facevo arti marziali, mentre mia sorella studiava danza. Fu lei a sfidarmi e feci una lezione di prova sostenendo che non sarebbe stato difficile. Tornai a casa e dissi che nella mia vita avrei fatto il ballerino.

Cosa scatta in un bambino così piccolo per avere una consapevolezza da adulto?

Non so esattamente, ma ho fortissima la sensazione di cosa provai. Fui certo, dopo solo la prima lezione, cosa sarei voluto diventare. Avevo dodici anni. A quindici vinsi due borse di studio e mi trasferii a Roma per studiare nella scuola di Renato Greco e lì mi diplomai nel 1988/89. Studiai con i più grandi maestri da Victor Litinov fino a Margarita Trayanova, da Matt Mattox fino allo stesso Renato Greco.

Spesso parlare con gli artisti mi riporta con la memoria ad anni bellissimi per la danza che oggi non esistono più.

È proprio così. La scuola di Renato Greco si trovava in Piazza Repubblica a Roma che si trovava vicino al Teatro dell’Opera. Da lì passavano i più grandi danzatori. Mi è capitato di fare la sbarra con Nureyev davanti, o con la Ferri. Si respirava l’aria della danza, sentivi l’odore dei ballerini. Riesco a provare quelle sensazioni, oggi, solo all’estero.

Che cosa faresti per migliorare la situazione della danza in Italia?

Bisognerebbe studiare la danza in senso enciclopedico. Tornare sui libri e conoscere il mondo che esiste dietro quest’arte meravigliosa. E poi avere maggiore professionalità. A volte ho come la sensazione che si faccia il ballerino per moda. Non c’è consapevolezza di quanto lavoro o sacrificio ci sia dietro. Ancora oggi, appena posso torno alla sbarra e studio. C’è sempre da imparare.

Qual è la tua poetica coreografica?

Ci sono coreografie che ti sono commissionate, e in quel caso devi sottostare alle direttive di un regista o di un musicista. Ne consegue che la libertà di espressione sia limitata. Quando invece hai piena libertà, è diverso. Puoi raccontare la tua storia, il tuo punto di vista sulle cose, scegliere le musiche e i costumi. Ho le mie idee di partenza che poi prendono forma in sala prova con i ballerini.

Prima dicevi che hai vissuto tante esperienze bellissime. Quella che ricordi con maggiore affetto?

Di certo il primo lavoro. Ballavo durante la premiazione del Leone d’oro su Rai Uno in mondovisione. Mio padre mi vide in aereo di ritorno dal sud dell’America. Fu talmente orgoglioso di me da indicarmi a tutti i viaggiatori vantandosi di suo figlio. Io interpretavo un passo a due ispirato al film “Sciuscià” con Tania Piattella.

Gli anni 80 e l’inizio degli anni 90 sono stati gli anni d’oro per il balletto in TV. Che ricordi hai di quel periodo?

La televisione di quegli anni era un vero e proprio punto d’arrivo. I danzatori erano tutti bravi e con una grande tecnica classica. Ho avuto la fortuna di cavalcare il momento clou del balletto televisivo. Bravissimi ballerini, grandi coreografi e numeri indimenticabili.

Quali sono le caratteristiche che ti hanno reso vincente?

Non lo so…Ho sempre studiato tanto. Non mi sono mai risparmiato. Poi ero un bel ragazzo. Capelli biondi, occhi azzurri. Questo in TV mi ha sicuramente aiutato.

Hai lavorato moltissimo all’estero. Quali differenze hai constatato tra il mondo della danza in Italia e il mondo della danza negli altri paesi?

C’è un abisso. Fuori dal nostro paese ci sono cultura e rispetto. In Germania ogni paese ha il proprio teatro con la propria compagnia stabile di balletto, in Canada i bambini crescono conoscendo la danza e la storia del balletto. In Italia invece i teatri chiudono e i corpi di ballo sono smantellati. Ed è un grande peccato, considerando che siamo un popolo di artisti, capaci, forse più di altri.

Ti piacerebbe, un giorno, dirigere un teatro?

Assolutamente no. Per svolgere questo tipo di mansione devi essere innanzitutto un ottimo politico. Un manager che sia in grado di far quadrare i conti. Dov’è l’arte in tutto questo? Non mi appartiene.

Cosa pensi della nomina di Bigonzetti a direttore del corpo di ballo del Teatro alla Scala?

È una persona che ammiro molto. Ovunque vada nel mondo, il suo nome è annoverato nell’olimpo dei grandi coreografi con William Forsythe e Kylian. Ha creato un bellissimo stile, unico e inimitabile. Trattasi di persona intelligente per la quale provo una stima infinita. Mi auguro che la nomina non mini la sua creatività.

Cosa sogni per il futuro?

Sogno che questo lavoro mi permetta di vivere bene. Non in senso economico, per fortuna non mi è mancato nulla. Intendo a un livello più profondo. Vorrei vivere i miei giorni, felice di ciò che faccio e soddisfatto delle cose che riuscirò a realizzare.

Adesso sei felice?

Si, lo sono. La danza mi regala sempre una grande energia positiva. Tanto lavorare in una grande compagnia, quanto insegnare mi fa sentire bene, appagato. E quindi, felice.

Cosa cerchi nei danzatori durante le tue audizioni?

La personalità, la qualità di movimento, la dinamica. Oltre alla tecnica ovviamente. Avessi una mia compagnia, cercherei danzatori tutti differenti con i quali poter creare qualcosa di unico che solo grazia alla diversità di ciascuno può venir fuori.

Come definiresti il tuo stile coreografico?

Non riesco a dare una definizione esatta. Unisco la dinamica alla velocità e alla tecnica. Oltre alla bellezza dell’immagine. Devo leggere ogni singolo movimento.

Se ti dovessi dare un voto come ballerino?

Ero un bel ballerino. Mi darei otto.

Come insegnante?

Forse otto e mezzo. Crescendo si capiscono tante cose. Quando si è troppo giovani alcuni aspetti della danza non li cogli.

Come coreografo?

Non lo so. Ogni volta che concludo una creazione, mi faccio assalire dai dubbi. In alcuni casi sono contento, in altri avrei fatto diversamente. Lascio agli altri il compito di giudicare il mio lavoro.

Lorella Cuccarini o Heather Parisi?

Lorella per professionalità. Oltre a essere una bravissima ballerina. Heather come danzatrice.

Carla Fracci o Alessandra Ferri?

Non me ne voglia la Ferri che amo, ma Carla rimane un mito ineguagliato.

Kristian Cellini, Silvio Oddi o Fabrizio Mainini?

Silvio indubbiamente. Fabrizio è un grandissimo danzatore, ma con Silvio ho condiviso un bellissimo periodo di lavoro e gli devo molto. Ci ha lasciati troppo presto.

Mille cose ci sarebbero state da raccontare ma, come sempre, il tempo è tiranno. Ciò che colpisce di Kristian Cellini è lo stupore che accompagna ogni suo racconto. Spesso ho avuto la sensazione che guardasse alla sua intera vita come fosse quella di un altro. Come se tutte le cose meravigliose che gli sono accadute, meritatamente, appartenessero a un’esistenza che non è la sua. Kristian è persona grata, piena di amore per quel palcoscenico di cui assapora gli odori e i profumi. Umile e sereno con ancora mille sogni bellissimi cui dar forma.

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