Soprannaturale e poetico, romantico e gotico. Finalmente il genio di Matthew Bourne torna in Italia con il suo nuovo capolavoro.
“Sleeping Beauty – A gothic romance” ha debuttato lo scorso giovedì agli Arcimboldi di Milano, conquistando il pubblico presente. La versione rimaneggiata da Bourne è un’armoniosa commistione di ciò che abbiamo visto in precedenza e che già conosciamo con il personalissimo e visionario universo, tenebroso e decadente, proprio del coreografo.
La storia si svolge in quattro atti: nel primo quadro siamo nel 1890 e viene raccontata l’infanzia di Aurora, a seguire si passa al 1911, quando Aurora raggiunge la maggiore età e, come tradizione vuole, si addormenta e con lei tutta la “corte” per 100 lunghi anni. Il terzo atto infatti si svolge nel 2011 quando la Bella si sveglia grazie al bacio del suo innamorato e, infine, l’ultimo atto celebra il matrimonio.
Fino a qui, non c’è molto di nuovo se non la collocazione temporale della vicenda. Ma lo stupore arriva quando a vegliare su Aurora giungono sei creature incantate, molto lontane dalle tradizionali fate, guidate inaspettatamente dal Conte dei Lillà. Le note di Tchiakovsky accompagnano le fate, fortemente caratterizzate e credibili nel loro essere di un altro mondo. Il lavoro di Bourne qui è sublime, l’esecuzione impeccabile.
Non poteva mancare la presenza delle forze oscure: prima è la fata Carabosse, grottesca e implacabile nel lanciare la sua maledizione, a portare scompiglio, mentre in seguito sarà il figlio Caradoc a proseguire quanto iniziato dalla madre, compiendo il maleficio.
Di infinita grazia è invece Aurora; Bourne pensa la sua principessa quale incarnazione di dolcezza e purezza, dotata di soave lievità di movimento, radiosa e innamorata. Il suo “principe”, tutt’altro che di nobile origine, è Leo, il giardiniere di Corte; quanto sublime tanto inaspettato il loro passo a due, sognante e intimo, danzato sulla melodia dell’Adagio della Rosa, al termine del quale il destino fatale di Aurora si compie.
Solo grazie all’intervento del conte dei Lillà, Leo potrà superare i limiti del tempo diventando anche lui una creatura fantastica; ecco che da giardiniere si trasforma in vampiro e solo 100 anni più tardi risveglierà Aurora. L’epilogo vede il trionfo del bene contro le forze del male; Caradoc soccombe e Aurora si unisce a Leo nella vita eterna.
Nonostante la rimarcata componente soprannaturale, la versione di Bourne colpisce perché fortemente realistica; nulla è eccessivo, né ridicolmente finto, ogni dettaglio è preciso, ogni personaggio credibile e l’allestimento scenografico coinvolgente e totalizzante. Una meravigliosa favola gotica che conferma il già acclamato talento creativo di Matthew Bourne.