Torna Lia Courrier con SetteOtto: “i sogni ambiziosi, il successo e la fama”

di Lia Courrier
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Durante l'ultimo seminario con un gruppo di giovani danzatori, è nata spontaneamente una discussione sulla vera identità del successo per un danzatore. Come si può immaginare, questa domanda si apre alle risposte più disparate, poiché molto dipende dall'età, dal tipo di linguaggio coreutico a cui ci si sente più affini, dalla grandezza delle proprie ambizioni e del proprio ego.

Quando cominciamo a pensare al nostro futuro, partiamo spesso dal sogno, dal desiderio di una realizzazione speciale e appagante che ci valorizzi e ci renda persone importanti, in special modo in un ambito come quello artistico, in cui il riconoscimento da parte del pubblico e della critica è sempre un elemento decisivo. Quando nello schermo della nostra mente osiamo proiettare ciò che arriva dal profondo del cuore, sognando la realizzazione, alimentiamo positivamente  in qualche modo la nostra autostima e le possibilità di concretizzare ciò che ancora è solo nella nostra mente. Sono i sogni che ci danno il coraggio di intraprendere anche le più irte strade della vita, spesso sottili come crinali.

La mia esperienza nella danza è cominciata proprio così. Nei sogni di bambina non ero mai nel corpo di ballo, ma sempre al centro della scena, e quando guardavo rapita i video delle grandi compagnie, mi riconoscevo in quei ruoli, li sentivo nel profondo del mio essere e non avevo dubbi circa la mia capacità di interpretarli. Questo ha alimentato la mia fiamma per molto tempo, e io non mi facevo domande, semplicemente danzavo con tutta l'energia e la concentrazione possibili. Solo dopo molti anni mi sono resa conto che non danzavo per gli altri, ma che lo facevo solo per un bisogno personale di comunicare, di emanciparmi, di scoprire chi ero. È stato allora che ho sentito la necessità di cominciare un percorso introspettivo per capire le origini del mio bisogno danzare, così potente al punto da rinunciare a tutto il resto.

Cos'è il successo? Molto difficile rispondere a questa domanda di fronte a giovani danzatori in formazione, le cui vite sono popolate da idoli e riferimenti totalmente diversi da quelli che avevo io. Le sollecitazioni per loro arrivano principalmente dalla televisione e da trasmissioni come i talent show, che si occupano anche di danza, proponendo una visione aberrata e mortificata del mestiere del danzatore, poiché tutto ruota attorno alla competizione, al piacere, alla conquista, con l'obiettivo di vincere l'avversario, elementi avulsi all'arte del movimento, poiché il concetto di bellezza è talmente soggettivo che la possibilità di poter dare un punteggio è totalmente fuori luogo. Non possiamo applicare all'arte le modalità delle gare sportive. L'arte è libera, lo dice anche la nostra Costituzione, ognuno dovrebbe potersi esprimere come sente e non per piacere ad un pubblico o per accaparrarsi voti. Non ci sarebbe stata evoluzione nella danza, e nell'arte in generale, se non fosse stato per quei pionieri che hanno creato qualcosa che non era mai stato fatto prima, sconvolgendo tutti e spesso senza raccogliere alcun successo. Narrano le cronache che alla prima de 'Le Sacre du Printemps' il pubblico fischiava e urlava talmente forte che Nijinsky dovette stare tutto il tempo dietro alle quinte a contare la musica per i danzatori, che non sentivano l'orchestra. Oggi la ricostruzione di quel balletto, fatta dal Joffrey Ballet, è apprezzata da tutti e ricordata come l'opera di un genio. Se Nijinsky si fosse preoccupato di piacere al pubblico non avremmo avuto nulla di tutto questo.

Cos'è il successo? Lasciar emergere quello che siamo attraverso il corpo in movimento, donando un contributo alla Danza, un piccolo tassello che rimarrà lì a disposizione di chiunque voglia utilizzarlo, renderlo proprio o semplicemente goderne da spettatore. Il successo è sentire quella sospensione del tempo, una specie di bolla che abbraccia tutti i presenti nella sala teatrale: il pubblico seduto che assiste e anche i performer nello spazio scenico. Forse, più semplicemente, il successo è riuscire a danzare per sé stessi, esprimendosi con onestà intellettuale e sincerità del gesto, senza sovrastrutture destinate all'appagamento di chi assiste. ESSERE nel movimento e nella drammaturgia del corpo. Questo è un successo raggiungibile potenzialmente da tutti, da chiunque danzi con dedizione, integrità ed etica.

La fama, invece, in particolare quella che può dare la televisione, rappresenta un successo di plastica, qualcosa che non si è costruito nel tempo, che non è l'apice di un lungo percorso nello studio e  nel lavoro, ma qualcosa che lascia il tempo che trova, che ti porta su tutte le copertine delle riviste per poi abbandonarti a te stesso nel momento stesso in cui sulla scena comparirà qualcun altro. Alla televisione non interessa nulla delle persone, che vengono sfruttate per fare audience, e quindi profitto. La danza è cascata in pieno nella trappola televisiva, così come tutti i giovani danzatori che seguono questa esibizione falsata e superficiale. Rudolf Nureyev, uno dei più grandi di tutti i tempi, aveva cominciato spinto da un bisogno di danzare del tutto simile a quello di respirare. Il successo è arrivato per la sua grandezza di artista, e lui non lo ha mai disdegnato, ma di sicuro questo piccolo grande uomo di origini mongole, mentre undicenne era alla sbarra a sudare, non aveva neanche idea di cosa volesse dire essere famoso a livello planetario.

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