Lia Courrier ci parla delle “domande” degli allievi ballerini: “Maestro me lo può rispiegare per favore?”

di Lia Courrier
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Quando lavoro con un gruppo di studenti, soprattutto se questi fanno parte di un progetto formativo, e quindi con chiari obiettivi da conseguire entro un certo periodo di tempo, mi impegno sempre a creare  insieme a loro un clima di scambio e di collaborazione. Fin dalle primissime esperienze di scolarizzazione siamo abituati ad un solo tipo di relazione insegnante-allievo: quella frontale, in cui l’insegnante spiega e l’allievo si limita a ricevere le informazioni, con il permesso di fare qualche domanda, certamente, ma solo se questa non mette in discussione o confuta i contenuti didattici, considerati insindacabili.

La danza è una pratica esclusivamente esperienziale, non basta conoscerla con la mente: è il corpo che deve farne esperienza e poi farla propria. Ascoltare le parole del maestro di danza, senza verificare che queste siano state comprese anche a livello somatico, vuol dire non avere un metodo di studio efficace, basato sulla interiorizzazione delle indicazioni ricevute e la conseguente personale sperimentazione. Considero questo processo la base per l’apprendimento dell’arte del movimento, nonché il senso più profondo di ciò che intendo quando parlo di collaborazione tra insegnante e allievo, secondo un tacito accordo che vede le mie spiegazioni come una versione dei fatti tra le mille esistenti, e il loro lavoro come una ricerca della propria personale verità, attraverso un approccio analitico e esperienziale. La maggior parte delle volte, però, trovo dei muri difficili da abbattere, poiché emergono grandi resistenze da parte degli allievi nel prendersi le proprie responsabilità, preferendo lasciare questo carico all’insegnante. A volte mi sembra quasi di fare lezione da sola quando, alla fine di una spiegazione, anche quando riguarda gli aspetti più sottili del movimento, mi rivolgo alla classe per chiedere se è tutto chiaro, e in tutta risposta vedo solo una distesa di teste ciondolanti che annuiscono, salvo poi, osservando la loro esecuzione, rendermi conto che non c’è stata comprensione alcuna o solo una percezione superficiale dei contenuti delle mie parole, con grande dispendio di tempo ed energia da parte di tutti.

Il nucleo vivo di questa relazione è la presenza di un elemento per me indispensabile: la domanda.

Ogni volta che chiedo se ci sono domande, prima di eseguire un esercizio, un silenzio di tomba scende sulla classe, forse per una sorta di timidezza o per il semplice fatto che si pensa, sbagliando, che basti eseguire alla lettera quello che il maestro chi chiede per ottenere risultati, ma sento che quello che davvero manca è proprio la capacità di formulare delle domande utili.  Saper chiedere esattamente quello di cui si ha bisogno è cosa non facile, infatti, ma indispensabile per guidare l’insegnante nel proprio lavoro, nella qualità delle informazioni da trasmettere: la domanda mostra già quale porta l’allievo ha aperto per farmi entrare.

Una domanda, per essere ben posta, dovrebbe essere rigirata nella mente per un po’, per focalizzarla, definirne i contorni, lasciarla maturare, prima di rivolgerla verbalmente. Quando ci troviamo di fronte ad un dubbio o un problema, infatti, prima di tutto bisognerebbe cercare di osservarlo, analizzarlo, e spesso ci renderemo conto che l’insegnante ha già fornito gli strumenti necessari e le informazioni utili per risolvere la situazione. In questi casi sarà sufficiente questa elucubrazione per ottenere le risposte che cercavamo, e allo stesso tempo emanciparci dal docente, renderci indipendenti e in grado di risolvere autonomamente, senza interrompere inutilmente il ritmo della lezione per chiedere qualcosa che si conosce già.

Un altro dettaglio importante a cui prestare attenzione è non fare domande che richiedano, per risposta, l’ennesima spiegazione di qualcosa che è già stato detto e ridetto nelle lezioni precedenti. Si può affrontare più volte un argomento, chiaramente, ma la domanda da porre, in questo caso, dovrebbe portare l’analisi su un aspetto ancora non affrontato o un nuovo punto di vista sulla questione, altrimenti si tratta di una mera ripetizione utile solo a chi non è stato attento alla precedente spiegazione. Nel caso di corsi ad accesso libero, ovviamente, sono ben disposta a dare la stessa correzione anche più volte nel tempo, facendo attenzione magari a trasmetterla in modo diverso, così che sia utile per tutti, ma nel caso di programmi di formazione sono molto intransigente su questo punto, poiché mi piace che gli allievi si sentano responsabilizzati riguardo la cura delle informazioni che vengono loro affidate, senza perdersele nei meandri della memoria. Esistono poi domande che riguardano il nostro personale sentire rispetto al movimento. Questo tipo di apporto può essere molto utile a tutti, poiché più contributi si condividono più ci avviciniamo ad una comprensione tridimensionale della danza, capace di osservare il movimento nelle sue mille sfaccettature. Tuttavia, nel caso di domande che riguardino caratteristiche peculiari del nostro corpo, come ad esempio infortuni pregressi, che richiedono da parte del maestro un impegno personale con l’allievo, sarebbe meglio attendere la fine della lezione per porre privatamente la domanda, chiedendo al docente se è disponibile a rispondere al di fuori dell’orario di lezione, in modo da evitare al gruppo spiegazioni di fatto inutili per la maggior parte di loro. Allievi cari, da oggi allenatevi nel formulare domande appropriate da porre ai vostri insegnanti, stupiteci e stupitevi del valore intrinseco di questo importante elemento.

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