Finché c’è tango c’è vita è una rubrica che, come ormai i nostri lettori affezionati sanno, segue poco un andamento lineare, temporale, storico o tematico. Come il tango, è connotata da una forte nota di improvvisazione nei suoi appuntamenti settimanali e da una buona dose di attenzione alla realtà circostante dimostrando come il tango sia profondamente attuale.
Questa settimana arriva a Milano il musical Evita che sarà in scena al Teatro della Luna dal 9 al 27 novembre e Finché c’è tango c’è vita prende spunto dai richiami politici della vicenda narrata, per mettere in luce alcuni aspetti meno noti del famoso ballo argentino.
Se Evita ballasse davvero il tango, questo non lo sappiamo con certezza: quel che è probabile è che la giovane e ambiziosa Eva Duarte, povera e senza padre, sia fuggita a 16 anni dalle campagne argentine verso Buenos Aires con Agustin Magaldi, un cantante di tango che la aiutò a entrare nel mondo dello spettacolo.
Diventata attrice famosa in meno di un decennio, sposa il generale Juan Domingo Peron e diventa first lady argentina, agghindata con preziosi gioielli e abiti alla moda, ma sempre legata profondamente al popolo dal quale veniva e attenta ai suoi bisogni. Il fatto che grazie a lei il governo Peron negli anni tra il 1946 e il 1952 sia stato molto amato dal popolo, rende possibile e credibile il sottofondo di tango messo in scena nei film e nei musical a lei dedicati.
Il tango nella storia politica dell’Argentina, dopo gli anni tutto sommato buoni e non particolarmente impositivi del primo governo di Peron, diventa un capitolo a tratti molto dolorosi.
Il 23 settembre 1955 scoppia quella che viene nominata la Revolucion Libertadora e l’insurrezione depone Peron.
Iniziano gli anni drammatici della storia politica dell’Argentina che culminano nella seconda metà degli anni ’70 in quel terribile periodo di persecuzione che ha segnato la vita e la memoria di una nazione e non solo.
Come capita spesso sotto i regimi dittatoriali, l’arte può risultare scomoda o addirittura una forma di comunicazione da perseguitare e proibire o ancor meglio da asservire agli scopi propagandistici del potere.
Così è stato anche per il tango o meglio per chi dell’ambiente del tango era giudicato scomodo e anti regime.
Esisteva una lista di proscrizione in cui, fra molto nomi anche europei, figurava quello del noto e amato compositore di tango Osvaldo Pugliese di cui fu proibita la radiodiffusione delle esecuzioni della sua orchestra per le sue idee anti regime.
Esiste un elenco di tanghi proibiti e banditi come il famoso El Cambalache, scritto nel 1934 da Enrique Santos Discepolo: il testo è un’arguta critica della corruzione del ventesimo secolo, e diventa manifesto della cultura argentina come espressione popolare del dissenso al clima repressivo delle varie dittature.
Nulla è più attuale di queste strofe del Cambalache che tradotto in italiano significa baratto, rigattiere:
“Que el mundo fue y será una porquería ya lo sé…
(¡En el quinientos seis y en el dos mil también!)
Que siempre ha habido chorros, maquiavelos y estafaos,
contentos y amargaos,valores y dublé.
Hoy resulta que es lo mismo
ser derecho que traidor!…Ignorante, sabio o chorro
generoso o estafador. Todo es igual!
Nada es mejor¡Lo mismo un burro que un gran profesor!”
“Che il mondo fu e sarà una porcheria lo so bene, (nel cinquecentosei e nel duemila anche!). Che sempre ci son stati ladri machiavelli e buggerati, contenti e amareggiati, valori e imitazioni… Però che il secolo venti sia un dispiegamento di malvagità insolente, non c’è chi lo neghi. Viviamo rotolati in un paciugo e in una stessa melma tutti pasticciati.
Oggi risulta che è lo stesso essere onesto o traditore! Ignorante, savio, ladro, generoso o truffatore! È tutto uguale! Niente è migliore! Lo stesso un asino che un gran professore! “
Le dittature hanno proibito anche le canzoni del grande cantante e attore Carlos Gardel, nonostante fosse morto da anni; hanno chiuso molte milonghe, per il rischio che diventassero luogo di cospirazione, e hanno proibito il linguaggio lunfardo, tipico del tango, poiché considerato equivoco.
Altri artisti profondamente legati al tango furono invece manipolati e asserviti al potere: il grande scrittore Jorge Luis Borges salutò il governo militare argentino con apprezzamenti nel 1976, definendo la nuova giunta come “un governo di caballeros e di galantuomini”. Borges rimase però poi sconvolto quando scoprì successivamente il comportamento tenuto dai militari argentini contro i dissidenti al punto di definire i generali come “banditi”, “folli” e “criminali”.
Anche il famoso compositore Astor Piazzolla pare essere stato uno strumento consapevole della giunta militare che governava il Paese “per ambizione personale, per incultura politica, per codardia, o chissà per quale altra ragione” come ricordano le parole di un suo chitarrista dell’epoca. Piazzolla mostrò di essere a proprio agio col potere quando nel ‘78 pubblicò un disco con brani di pura propaganda, quando tenne un grande concerto di appoggio alle truppe argentine in guerra, e quando rilasciò dichiarazioni poco trasparenti durante la sua attività artistica.
Il tango fu inoltre utilizzato dagli aguzzini della tortura: i suoi dischi erano suonati ad alto volume per coprire le urla di dolore dei prigionieri, affinché dall’esterno dei campi di prigionia non si percepissero gli scempi compiuti. O ancora il tango fu cantato sottovoce dagli stessi prigionieri per aiutarsi a dimenticare la realtà che stavano vivendo o cantato a squarciagola per rivendicare e ribadire la loro libertà di pensiero contro ogni paura e atrocità.
Il periodo buio della storia argentina finì a metà degli anni ’80 e il tango finalmente ricominciò a cantare e a “propagandare” la sua missione di libertà!
Il tango è sempre molto di più di quello che si può pensare.
Come sempre buon Tango a tutti, a chi lo balla, a chi inizierà a ballarlo, a chi lo ascolterà oppure lo guarderà, a chi lo ama e a chi lo rifiuterà e male ne parlerà … A chi vive insomma perché Finché c’è tango c’è vita!
Un abbraccio!