La tua, Angelo, è la tipica storia del ragazzo di provincia che parte dalla piccola cittadina e in poco tempo “conquista il mondo”. Ci racconti i tuoi inizi?
Sono sempre stato un bambino cui piaceva fare qualsiasi tipo di sport fino a che, all’età di tredici anni, cominciai per gioco in una scuola di danza nel mio paese.
Le mie insegnate di allora, Emanuela Mussini, mi trasmise subito l’amore per la danza e a quattordici anni lasciai la mia casa e la mia famiglia per frequentare la scuola “Il Balletto di Castelfranco Veneto ” diretta da Susanna Plaino. Lì ho avuto la fortuna di incontrare un grande maestro: Elias Garcia Herrera.
Grazie a lui imparai non solo la tecnica ma i tanti valori che accompagnano lo studio della danza; dedizione, rispetto e impegno prima di tutti. All’età di diciassette anni, quindi, entrai a far parte della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala diretta da Frédéric Olivieri.
Ci racconti gli anni trascorsi al Teatro alla Scala?
Furono anni impegnativi, e grazie al maestro Maurizio Vanadia, ho capito che nella vita bisogna sempre avere pazienza e che le cose arrivano al momento giusto. Olivieri mi diede da subito grandi possibilità. Danzai non solo alla Scala ma anche al Kremlino di Mosca e all’Opéra di Parigi. Gli anni in teatro sono stati intensi da molti punti di vista. Appresi tanto, in primis il non aver paura. Solo affrontando i propri timori possiamo crescere e migliorarci.
Da Nuoro al tempio della danza mondiale. Ti diplomi al Teatro alla Scala ed entri subito nel corpo di ballo. Ricordi il tuo primo giorno in teatro?
Ricordo solo una grande agitazione e tanta voglia di fare.
Che cosa ha rappresentato per te la danza?
La danza, arte sublime, è stata ed è tuttora uno strumento attraverso cui chiunque di noi può conoscersi meglio. È come rimanere nudi davanti allo specchio cogliendo ogni aspetto di sé. La danza è respiro, calore, energia, passione. Attraverso essa, io costruisco la mia vita.
Nel tuo cv ricorre un balletto in particolare “Don Chisciotte”. Perché?
È un balletto che ho interpretato in moltissime occasioni. Tra l’altro il primo che ho danzato appena entrato a far parte del corpo di ballo e l’ultimo prima di partire per la mia avventura americana. La versione di Nureyev è quella che amo di più. Dai video e dai racconti che di lui mi sono stati fatti, cerco di apprendere ogni dettaglio e di cogliere la sua immensa personalità.
Ogni danzatore ha delle carte vincenti, che nel tempo, ne favoriscono il successo e la realizzazione. Quali sono state le tue?
Non so quali siano le mie carte vincenti e non so cosa sia il successo. Mi limito a fare ciò che amo: ballare. La danza è un’arte e una disciplina che richiede molte energie, sacrifici, e tanto lavoro. Solo così un danzatore può raggiungere dei traguardi e soprattutto cogliere la magia unica di questo meraviglioso lavoro. Bisogna crederci e non demordere mai.
E pensi invece di avere dei limiti? E se sì, quali sono?
I limiti li abbiamo tutti. Fanno parte, come i pregi e difetti, della vita di ognuno di noi. Sta a noi accettarli e comprenderli.
Dalla compagnia della Scala al San Francisco Ballet. Hai motivato la scelta di “emigrare verso altri lidi” dicendo che sentivi di “aver voglia di avere un po’ di paura”. Ci spieghi perché?
Semplicemente perché l’America mi spaventa un po’. Non so bene per quale motivo, forse perché è un mondo lontano ed enorme. La paura però non è cosa di cui vergognarsi, anzi può rappresentare una fonte di energia importante. Affrontare le nostre paure può indurci a superarle e pian piano salire un gradino che ci permetta di salire verso la cima.
Tecnica e interpretazione. Come unisci i due aspetti?
La danza non è ginnastica, è pura arte. Danzare, per me, è come fare l’amore. Passione, contatto corporeo, sogno, interpretazione. Noi danzatori raccontiamo delle storie, siamo come le parole scritte all’interno di un libro. Il nostro corpo parla e la nostra anima emoziona. Questo per me è la danza.
La danza in Italia e all’estero. Quali sono le differenze?
La danza è ovunque, per me non ha né data né luogo.
Qualche giorno fa sei stato il vincitore di un importante concorso internazionale, il “Bruhn Prize”. Ce ne parli?
Il concorso, fondato dal grande Erik Bruhn, è giunto alla sua dodicesima edizione e si è svolto lo scorso 15 Novembre a Toronto. Ho vinto insieme alla mia partner Natasha Sheehan dopo aver eseguito il pas de deux di “Giselle” e una prima mondiale, “Foragers” coreografia firmata da Myles Thatcher anche lui membro del San Francisco Ballet. Quando ho sentito il mio nome e son salito sulla scena per ritirare il premio stentavo a crederci. Ho guardato Natasha e solo in quel momento ho compreso di aver vinto uno dei premi più importanti del mondo e l’avevo vinto insieme a lei. Mi sento immensamente felice e sono grato al San Francisco Ballet per avermi accolto nella loro grande famiglia e al mio direttore Helgi Tomasson per credere in me e darmi ogni giorno nuove possibilità.
C’è qualcuno a cui senti di dover dire grazie?
Ci sono sempre persone, nella vita di ciascuno di noi, cui essere grati. Oltre ai maestri già nominati il mio grazie più grande e sentito è per i miei genitori.
Oggi chi è Angelo Greco?
È una domanda troppo difficile. Semplicemente un ragazzo. A cui piace divertirsi, piangere se sento di farlo, stare in mezzo alla natura e osservarla. Un ragazzo che ama suonare, cantare e che ha ancora la forza di sognare.
Crediti fotografici: Chris Hardy, Erik Tomasson, Karolina Kuras