Il 2016 del Teatro alla Scala: il valzer dei direttori mentre torna in scena la Giulietta di Alessandra Ferri

di Massimiliano Craus
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Purtroppo il 2016 è stato un annus horribilis per le faccende coreutiche del Teatro Alla Scala di Milano, soprattutto quelle vissute dietro le quinte del Piermarini e nelle stanze dei bottoni. Un anno solare che ha visto l’avvicendarsi di ben tre direttori della compagine del balletto e, soprattutto, di una situazione di stallo che ha fatto capolino fino ai primi mesi di questo 2017. La prima mazzata è stata la decisione del direttore del Ballo Makhar Vaziev di abbandonare anzitempo l’ensemble scaligero per i lidi moscoviti del Teatro Bolshoi, assecondando una propria scelta di vita personale ed artistica di primissimo piano. Come poteva rinunciare alle sirene del Bolshoi il cinquantacinquenne direttore russo di Alagir? Non avrebbe potuto e non ha battuto ciglio, annunciando con qualche mesetto di anticipo la propria decisione al soprintendente Alexander Pereira così da metterlo in condizioni di potersi guardare intorno per una degna sostituzione in corso.

Evidentemente i tempi non erano maturi per il soprintendente o, ancor peggio, non ha saputo ottimizzare tempi e risorse per scegliere il migliore direttore possibile per il suo Corpo di Ballo orfano di uno dei migliori uomini di danza in circolazione. E così si è sviluppato un toto-direttori di dubbia credibilità con nomi e cognomi che rimbalzavano da un giornale all’altro ma che non trovavano conferme ufficiali fin quando, con un colpo ad effetto imprevedibile, il soprintendente scaligero ha calato l’asso di Mauro Bigonzetti, coreografo e direttore di lungo corso all’Aterballetto. Un pedigree molto contemporaneo, dunque, sia per l’attitudine in sala che in ufficio a dirigere le sorti di un ensemble giovane, di formazione eterogenea e, soprattutto, di vedute molto differenti in termini di repertorio da quelle tradizionaliste e classiche del Teatro Alla Scala di Milano.

La scelta di Alexander Pereira, oggi come ieri, ci paiono molto simili a quelle del collega del Teatro dell’Opéra di Parigi Stephane Lissner che aveva destinato il nuovo corso di Palais Garnier a Benjamin Millepied, indiscusso talento della coreografia contemporanea ma che, nell’arco di qualche mesetto, ha ceduto volentieri lo scranno all’étoile Aurelie Dupont. Corsi parigini e ricorsi scaligeri! Verrebbe da rimodulare proprio così le parole di Giambattista Vico a proposito dei corsi e ricorsi storici, con tentativi audaci rispediti al mittente dagli stessi protagonisti. Ed infatti, dopo qualche rappresentazione in scena e diverse contestazioni a bassa voce lungo i corridoi scaligeri, ecco che anche Mauro Bigonzetti ha gettato la spugna, anche per via di un mal di schiena che lo ha costretto ad un lungo periodo di inattività fisica. Ma tutte le piastrelle ed i gradini del Piermarini sapevano che il rapporto tra il coreografo-direttore ed il comparto-danza era logoro ancor prima di logorarsi, con una contestazione latente che ha attraversato i pochi mesi di direzione con un Corpo di Ballo che non ha mai digerito la sua nomina. Soprattutto perché il coreografo romano è soprattutto un coreografo, per l’appunto! E che nel suo mandato triennale avrebbe dovuto proporre tre sue produzioni inedite, così da svecchiare il repertorio scaligero così classico ed ossequioso al balletto classico. Insomma, in parole povere, il soprintendente aveva deciso per tutti: per il pubblico tradizionalista della culla italiana del repertorio classico di balletto, per la compagnia scaligera così fortificata dalla precedente direzione russa di Makhar Vaziev e per il cinquantasettenne romano che ha forse subito il fascino della proposta irrinunciabile ma che non ne ha saputo gestire i tempi, la forma e soprattutto la sostanza.

Una bella gatta da pelare sarà stata la seconda defezione in un così breve lasso di tempo per Alexander Pereira. Ma del resto se l’è un po’ cercata lui, superficiale nel non sondare affatto i cosiddetti senatori e lo zoccolo duro del Corpo di Ballo per le scelte audaci in cantiere. Con un Makhar Vaziev che salpava vero il Teatro Bolshoi non si doveva correre il rischio “parigino” del collega Stephane Lessner! La storia insegna ma il soprintendente scaligero ha fatto orecchie da mercante e ha proseguito per la sua strada, dimostratasi da subito impervia con il primo titolo già discusso di “Cinderella”, griffato proprio da Mauro Bigonzetti e programmato in tempi non sospetti. La novità del principio del 2016 non è piaciuta ai più e, soprattutto, ha indebolito ulteriormente la posizione dello stesso neo-direttore romano di quei mesi che, dicono i rumors, pare non abbia mai legato più di tanto con i suoi ballerini.

Passata la sua “Cinderella”, ecco spuntare una versione contemporanea de “Lo Schiaccianoci” di Nacho Duato, tanto per restare nel tema innovativo. Tanto caro a Mauro Bigonzetti ma così poco al loggione scaligero ed alla compagine che ha diretto e che ha scoperto così diversa dalla più familiare ed obbediente dell’Aterballetto. Due universi a confronto che, evidentemente, hanno cozzato con il pedigree del coreografo romano che voleva sentirsi anche a Milano più autore che manager! E l’appuntamento con “Il giardino degli amanti” del coreografo di casa Massimiliano Volpini, sugli spartiti salienti di Wolfgang Amadeus Mozart, ha dato forse il colpo di grazia all’ormai risicata fiducia artistica e popolare nei confronti del proprio direttore. La coreografia di Max Volpini attingeva sì dal repertorio magnifico di Wolfgang Amadeus Mozart ma, inevitabilmente, con un armamentario contemporaneo messo a disposizione del “nuovo” quarantunenne Roberto Bolle. Evidentemente gli anni passano per tutti ed il divo di Casale Monferrato si è fatto cucire addosso un titolo fresco ed innovativo, proprio nelle corde di Mauro Bigonzetti e dello stesso soprintendente. Ma la strada intrapresa era ormai troppo invisa a tutti e se ne percepiva la sensazione fin fuori le quattro mura del Piermarini.

Fino alla seconda parte della stagione solare, quella per intenderci legata ai titoli più cari ai ballettomani del “Don Chisciotte” di Rudolf Nureyev. Qui il noi dei classici ed il voi dell’innovazione a tutti i costi si sono riavvicinati nel nome del tartaro volante. Quasi che Rudolf Nureyev fosse stato il deus ex machina scaligero buono per tutte le stagioni. Ivi compresa quella discussa del Teatro Alla Scala di Milano dove si sono rimosse le acque stagnanti con un altro titolo fortissimo quale “Il lago dei cigni” di Piotr Ilich Ciaikovskij, con le coreografie di Alexei Ratmansky. Un colpo di coda significativo per riavvicinare il grande pubblico meneghino al suo teatro ed ai suoi ballerini, almeno rifocillati dal repertorio lacustre del secondo semestre di un 2016 davvero difficile per il presente di quei giorni ed il futuro prossimo e remoto di queste settimane, ovvero fino alla scadenza naturale del mandato ad interim conferito a Frédéric Olivieri alla guida dell’ensemble scaligero di fine febbraio.

E poi la “Giselle” di Yvette Chauviré ha rimesso definitivamente le cose al loro posto. Qui il titolo del primo Romanticismo è stato riproposto nella versione addirittura di Yvette Chauviré, giusto per chiarire i termini del repertorio amato e da cui voler attingere con appassionato rispetto della tradizione. Un canovaccio antitetico rispetto al credo di Mauro Bigonzetti che ha deciso di gettare la spugna. Era in programma una sua “Coppelia”, titolo che ha spesso prestato il fianco alle rivisitazioni contemporanee per cui le paure scaligero erano fondate e crescenti a dismisura. Si temeva un nuovo capitolo della saga innovativa impartita con l’inaugurale “Cinderella” e così il mal di schiena del direttore romano l’ha fatta da protagonista, calando repentinamente il sipario sulla coreografia e sulla direzione di Mauro Bigonzetti. Separazione indotta e sperata, invocata e rinviata, cert’é che il logoro rapporto tra il coreografo e la danza scaligera non ha faticato minimamente ad interrompersi. Con l’incarico ad interim assegnato al fedele Frédéric Olivieri, peraltro già direttore dell’ensemble in passato, nel doppio ruolo con le direzioni della Scuola di Ballo e della Compagnia di Balletto fino a fine febbraio.

E la “Coppelia” di Mauro Bigonzetti? Sparita nel dimenticatoio e sostituita prontamente con un titolo buono per tutte le stagioni, peraltro spendibile anche per le celebrazioni shakespeariane di questo 2016, ed interpretato da personaggi di spicco: scriviamo naturalmente del “Romeo e Giulietta” di Kenneth MacMillan con Roberto Bolle, la chiacchieratissima Misty Copeland dell’American Ballet Theatre ed il ritorno della cinquantatreenne Alessandra Ferri in coppia con Herman Cornejo per la rappresentazione del 31 dicembre scorso. Nomi e cognomi che hanno annullato il brutto ricordo del valzer di direttori del 2016 e delle precarie faccende scaligere in attesa di essere risolte una volta per tutte da Alexander Pereira.

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