Matita: Il Balletto Teatro di Torino in scena al Castello di Rivoli con danza, musica elettronica e matite da disegno

di Giada Feraudo
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Il prossimo 4 febbraio alle ore 21, presso le sale del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, andrà in scena lo spettacolo dal titolo Matita, una creazione in coproduzione fra il Balletto Teatro di Torino e Rivolimusica, all’insegna di una sperimentazione che insegue e sottolinea le molteplici possibilità dell’Arte spingendosi fino alla completa commistione tra le discipline.

Matita è “uno spettacolo multimediale con musica elettronica, danza e matite da disegno”; la musica è eseguita dal vivo dall’omonimo complesso, che dà anche il nome alla performance.

La formazione è un quintetto attivo come collettivo artistico a partire dal 2009, composto da piano elettrico e quattro disegnatori ritmici: un tavolo microfonato, amplificando il suono prodotto dallo sfregare sulla carta di matite, penne e pennarelli, restituirà al pubblico un momento sonoro oltre che visivo, ove protagonista assoluto diventa il gesto ritmico custodito nell’atto stesso del creare colto nella sua immediata realizzazione.

La coreografia, eseguita dai danzatori del Balletto Teatro di Torino, è firmata da Renata Sheppard, artista multimediale riconosciuta a livello internazionale per le sue metodologie innovative che uniscono la danza a diverse discipline, invitata appositamente dal Balletto Teatro di Torino per la realizzazione del progetto.

Con Matita Renata Sheppard esplora la geometria del corpo, la meditazione fisica e il rituale, conducendo i danzatori ad autentici momenti di scambio e coinvolgimento. Attraverso le sue parole possiamo cogliere l’elaborata poetica che risiede dietro la performance.

Renata, cos’è per te Matita?

Considero Matita un esperimento, un primo incontro, una ricerca; è un inizio, uno studio preparatorio che per me ha già uno sviluppo e diventerà un lavoro che avrà come titolo Perfect Broken. Per adesso il bozzetto si chiama Matita, dal nome dell’ensemble musicale. Spero di avere l’opportunità di continuare a lavorare con il Balletto Teatro di Torino per sviluppare questo studio.

Come hai lavorato con i danzatori della compagnia in questo breve tempo di creazione?

Ho cominciato spiegando loro il concetto che c’è dietro. Questo è un lavoro molto dettagliato basato sulla geometria del corpo e per me è molto importante che i danzatori capiscano esattamente l’idea che ne costituisce la base. Abbiamo parlato della sequenza di Fibonacci, della geometria corporea, di algoritmi, delle regole matematiche con cui sono state costruite le piramidi e del fatto che con il corpo riusciamo davvero a creare un cerchio perfetto, come dimostra l’uomo vitruviano di Leonardo. Se ci riflettiamo non è un caso: quel cerchio non è una semplice cornice ma nasconde una geometria corporea di cui spesso non ci rendiamo conto. Abbiamo lavorato molto sull’improvvisazione, sempre tenendo presente la geometria del corpo, e su moduli coreografici, partendo dall’idea che ripetendo dei moduli, potenzialmente anche all’infinito, si arriva a un macroconcetto, a una macrocomposizione, composta da parti più piccole (i moduli stessi), che combinate insieme creano qualcosa di più grande non visibile dall’interno ma che si percepisce dall’esterno, con un punto di vista più ampio, e viceversa.

Hai dunque costruito questo lavoro insieme ai danzatori. Qual è stato il loro contributo e come l’hai integrato nella creazione?

Sarebbe stato un pezzo totalmente diverso se fatto con persone diverse. Per me in questo caso è stato fondamentale dare ai danzatori dei punti di riferimento, dei concetti, e poi vedere lo sviluppo della loro ricerca personale, che naturalmente è stata poi concretizzata e in un certo senso formalizzata. Si parte dall’improvvisazione ma poi in qualche modo la si codifica, cercando sempre, pur lavorando sulla pulizia e fissando dei punti, di ritrovare quella spontaneità e autenticità date, appunto, dall’improvvisazione. Io non ho detto loro cosa fare con precisione, ho dato delle indicazioni, pertanto questo lavoro è stato davvero fatto in collaborazione con i danzatori. Per me la creatività e la coreografia nascono dall’osservazione: vedo un movimento e decido se inserirlo o no, e poi collego insieme i vari elementi. Ritengo inoltre che il processo creativo avvenga passo dopo passo: il prodotto finale è ottenuto dopo diversi passaggi, difficilmente corrisponde esattamente in tutto e per tutto all’idea iniziale, per quanto la pianificazione possa essere dettagliata a priori in tutti i suoi aspetti. È un po’ quello che avviene in natura: tutto ciò che esiste è il risultato di una serie di passaggi graduali concatenati tra di loro.

L’idea di disegnare con il corpo è  di per sé è un’idea astratta in quanto danzare è, in un certo senso, proprio disegnare con il corpo, ma tu l’hai resa concreta rendendo visibile il segno grafico.

La danza è un tipo di disegno ma è qualcosa che esiste nell’attimo, che succede e immediatamente sparisce, un po’ come la musica, anche se la differenza sta nel fatto che, mentre per la musica esiste una codificazione universale, tale per cui si può scrivere una partitura e chiunque la legga può avere un’idea di come “suona” il pezzo musicale, per la danza non funziona nello stesso modo, anche se c’è una codificazione che è quella di Laban.

In Matita il carboncino è un’estensione della coreografia e del corpo, lascia un segno, una traccia, una memoria. Mi piace usare la parola “patina” perché esprime il concetto che più si calca il segno, più questo diventa bello. Dopo aver ripassato più volte il segno, la patina tracciata sulla carta e anche sul corpo diventa la vera bellezza, che pertanto non è da intendersi come una cosa distruttiva poiché il segno nero sembra rovinare il bianco della carta o la pelle, ma da considerare quasi come una protezione, che permane sulle superfici su cui si posa. Dietro quest’idea della patina che resta sul corpo c’è un concetto: dopo il passaggio del carboncino la pelle sembra sporca, mentre per me l’idea alla base è che il corpo diventa, in questo caso, un canovaccio, una tela su cui scrivere. Il movimento si estende letteralmente sulla carta ma anche sul corpo dei danzatori. Non sono la prima ad avere avuto quest’intuizione, altri prima di me hanno proposto una cosa simile, ma non considerando la pelle come superficie su cui disegnare, rendendola così parte integrante  della coreografia e del segno, che resta diversamente solo esterno.

C’è un messaggio particolare che vorresti comunicare agli spettatori con questo spettacolo?

Vorrei suggerire loro di concentrare l’attenzione sull’osservazione, con calma. Questa è danza, certo, ma è concepita nell’ottica di trasmettere l’idea di una scultura vivente in quanto la si può immaginare come un quadro vivente. Normalmente un quadro non si muove, lo si può osservare per ore scoprendo ogni volta cose diverse: la mia idea è, al contrario, quella di osservare un quadro che si muove. Ci sono diversi modi in cui ci si può avvicinare a questo lavoro. Non si deve pensare che questo sarà un balletto fatto sul palco perché non lo è: c’è musica live, il carboncino, una gonna che è una scultura di carta, una nuvola sempre fatta di carta, ingredienti che rendono questa un’esperienza multimediale, un incrocio, un’interazione fra movimento e arte visiva. Io vorrei chiedere al pubblico di fare un respiro e di osservare lasciando spazio e apertura per vedere i piccoli momenti che emergono, in certi momenti con una sincronia perfetta, per percepire questi corpi che pian piano diventano una tela su cui scrivere.

In questa versione non ci sono video. Perfect Broken diventerà sicuramente più multimediale e più strutturato a livello drammaturgico. Per il momento chiamo questo studio preliminare che è Matita “dance and visual art installation” perché la drammaturgia, che è fondamentale per la coreografia, non è ancora sviluppata. In un primo stadio di ricerca si indaga principalmente sul concetto e sul rapporto fra i vari elementi, e questo permette di forgiare veramente una creazione, di darle forma concreta e definita: questo sarà il prossimo passo.

Sono molto curiosa di avere un feedback da parte del pubblico su questo spettacolo.

Informazioni

Ingresso: Intero 10 euro, ridotto 7 euro
venerdì 3 febbraio ore 17:30 Istituto Musicale: GAP (incontro con gli artisti)
sabato 4 febbraio ore 18:00 Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea: prove aperte al pubblico
[email protected]

Crediti fotografici: Dario Armao

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