Sergej Diaghilev: la vera rivoluzione russa è passata per i Ballets Russes

di Massimiliano Craus
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Centoquarantacinque anni fa nacque a Cudovskij Sergej Diaghilev, un appassionato d’arte che ha costruito la sua fama di critico e curatore fino a stabilirne le regole planetarie, sconfinando definitivamente nel mondo della danza nel 1909. L’impresario per eccellenza ha davvero fatto il buono ed il cattivo gioco della cultura russa per l’intero ventennio tra il 1909 fino all’anno della sua morte a Venezia nel 1929. Venti lunghi anni in cui il suo monopolio è stato scritto e detto ad altissima voce all’insegna dell’arte per l’arte, ovvero in un totem culturale capace di accogliere i più svariati contributi con la nascita e la crescita a dismisura dei “Ballets Russes”. In quei vent’anni Sergej Diaghilev ha rivoluzionato il mondo della danza, capovolgendolo con l’obiettivo di assecondare le esigenze del nuovo pubblico perlopiù europeo e, soprattutto, di esportare la cultura e l’arte russa in giro per il mondo.

In molti hanno assunto per convenzione la nascita della leggendaria storia dei “Ballets Russes” con “Les Sylphides” di Michail Fokine su musiche di Fryderyk Chopin del 1909 che, in realtà, fu la trasposizione della “Chopiniana” di due anni addietro. In questo titolo si voleva congedare il Novecento con un ultimo omaggio all’arte coreutica romantica ed a tutti contenuti e forme tipiche del secolo passato in soffitta, appannaggio di un tempo nuovo che correva alla velocità della luce. Almeno erano questi gli obiettivi di Sergej Diaghilev, ovvero rivoluzionare il mondo della danza con titoli, musiche, scene e costumi capaci di sconvolgere le consuetudini del pubblico e della critica. Eppure a quella velocità non tutti riuscivano ad andare, anzi! I titoli successivi a “Les Sylphides” non ebbero la stessa percezione e cominciarono i primi scossoni accompagnati ai primi problemi per sé e per i suoi illustri compagni di viaggio.

Nel 1910 “Uccello di fuoco” fu il secondo titolo significativo del repertorio di Michail Fokine, stavolta sullo spartito di Igor Stravinskij. I due artisti erano le stelle del primo firmamento diaghileviano. Soprattutto il compositore di Lomonosov era un pupillo dell’impresario, tanto da considerarlo una sua scoperta lanciata nel mondo della musica contemporanea. Ed in effetti Sergej Diaghilev lavorò da raffinato talent scout, individuando nel musicista e compositore un talento indiscutibile che avrebbe scritto pagine importanti della musica in tutto il mondo. Ed insieme i due protagonisti allestirono un altro titolo della cultura russa quale “Petruska”, definitivo vessillo da esportare in giro come sempre voluto fortemente dal direttore dei “Ballets Russes”. “Lo spectre de la rose” del 1911 fu ancora di Michail Fokine ma con le musiche di Carl Maria von Weber, così come “Dafni e Cloe” sulle musiche di Maurice Ravel, apripista del nuovissimo pupillo della compagine: Vaslav Nijinskij. Qui il dio della danza dettò legge in breve tempo, amato ed odiato dal suo impresario, in scena e dietro le quinte.

Il sodalizio tra Sergej Diaghilev e Vaslav Nijinskij fu fortissimo eppure travagliato come i grandi amori. Sorsero in un breve lasso di tempo prima “Il pomeriggio di un fauno” nel 1912 e poi “Jeux” l’anno successivo con le musiche di Claude Debussy, prima della famigerata “Sagra della primavera” con lo spartito di Igor Stravinskij. Qui la coreografia parigina fu attaccata duramente da pubblico e critica e ripresa solo nel 1959 da Maurice Bejart che, per nostra fortuna, riuscì a ridare la giusta dignità artistica e culturale al titolo dimenticato colpevolmente per così tanti anni. Quei frenetici primi anni del Novecento riscrissero sinteticamente la rivoluzione inferta dal suo impresario: musiche strumentali, atti unici, titoli inediti con contenuti attualissimi e riconoscibili dal pubblico. E soprattutto un cast di primissimo ordine in tutte le caselle con nomi e cognomi che avrebbero poi davvero sconvolto il mondo della danza e dell’arte. Eh sì, perché l’impresario Sergej Diaghilev era innanzitutto un critico d’arte e viveva con l’assillo dell’arte per l’arte.

Rotto il ghiaccio con Michail Fokine e Vaslav Nijinskij, i “Ballets Russes” si arricchirono man mano dei nuovi artisti scovati qua e là per la Russia, a cominciare dagli ensemble dei teatri Mariinskij di San Pietroburgo e Bolshoi di Mosca. Fino ad offrire l’ars coreografica a Leonide Massine che con la “Bottega fantastica” del 1919, sullo spartito di Ottorino Respighi, riprese il tema degli automi avviato addirittura nel 1870 da Arthur Saint-Leon con la “Coppelia” di Leo Delibes. Quegli automi furono peraltro ripresi dagli stessi diaghileviani Michail Fokine ed Igor Stravinskij nella recente “Petruska” di fortissima caratterizzazione russa. Gli anni Venti non mutarono affatto, dunque, né per i “Ballets Russes” sempre più in giro per il mondo, né per il direttore artistico ed impresario Sergej Diaghilev che partoriva e disfaceva senza sosta personaggi, titoli, tournèe, artisti e contenuti di cui ancora oggi scriviamo quasi ogni giorno!

Negli anni Venti si alternarono infine Bronislava Nijinska e George Balanchine, rispettivamente la sorella del folle dio della danza Vaslav ed il coreografo russo che poi fonderà l’American Ballet Theatre ed il New York City Ballet. Cominciando con un altro vessillo della cultura russa “Les noces” del 1924, creato a quattro mani dalla Nijinska ed ancora Igor Stravinskij, e “Les biches” dell’anno successivo, stavolta sullo spartito di Francis Poulenc. Antipasto variegato dell’avvento di George Balanchine, chiamato poi inevitabilmente mister B., che nel 1925 propone un “Enfant et les sortileges” sulle musiche di Maurice Ravel e nel 1928 bissa il successo con “Apollo Musagete” con l’immancabile compositore diaghileviano Igor Stravinskij. Il cerchio si chiuse nel 1929, anno della morte del nostro impresario, con una delle colonne sonore dell’intero secolo e dell’umanità: il “Bolero” di Maurice Ravel per le coreografie di Bronislava Nijinska. Una chiusura in grande stile prima della sepoltura veneziana di Sergey Diaghilev, l’autore indiscusso della vera rivoluzione russa della danza.

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