La tua è una famiglia d’artisti. Sei nata e cresciuta in un contesto in cui era inevitabile respirare l’aria del ballo e del palcoscenico. Che ricordi hai della tua infanzia?
Ero, fin da piccolissima, una predestinata. I miei genitori insegnavano balli latino americani e danze standard e mia sorella era una ballerina con la passione, però, per il calcio. Ho imparato a camminare ballando e nel tempo, allo studio delle discipline insegnate dai miei, ho associato la danza classica, il tango argentino e perfino l’hip hop.
Quando eri bambina, pensavi a una carriera da ballerina?
Da piccina lo facevo inevitabilmente di riflesso ma crescendo ho capito che quella era la mia strada. Presa consapevolezza di ciò che sarei voluta diventare mi sono impegnata, con tante rinunce e moltissimi sacrifici. Ho interrotto gli studi e mi sono trasferita in Inghilterra all’età di quindici anni. Gli insegnanti migliori, per quanto riguarda il mio ambiente, si trovavano e tuttora si trovano, a Londra così mi ci recai per far lezione e approfondire ciò che avevo imparato fino a quel momento.
Che anni sono stati?
Bellissimi ma difficili. Devo dire grazie soprattutto ai miei genitori. Mi hanno supportato sempre e hanno riposto, in me, un’immensa fiducia. Oggi ho un figlio di quasi sedici anni e l’idea di lasciarlo andare a vivere in un altro stato mi terrorizzerebbe.
Poi ti sei trasferita negli Stati Uniti. Che cosa ti ha indotto a farlo? Una scelta o un’occasione di lavoro?
Si trattò di un’occasione. A Londra incontrai il ragazzo che divenne il mio partner ufficiale. Era di origini russe ma viveva in America. Scelsi di seguirlo e diventammo la seconda coppia a rappresentare gli Stati Uniti d’America nelle gare internazionali. Che paradosso, un russo e un’italiana a rappresentare gli States.
Come spiegheresti al grande pubblico la danza di cui sei eccellente protagonista?
I balli di coppia sono, letteralmente, un gioco di squadra. Dico sempre che è un matrimonio senza amore. La persona con cui balli diviene quella con cui condividi tutto: emozioni, fatica, paure e anche qualche litigata. Hai la responsabilità del tuo corpo in relazione ad un altro e deve esserci un grande feeling e moltissimo rispetto. Bisogna lasciare spazio all’altro, capirsi con un semplice sguardo, percepire le difficoltà; oserei dire quasi un riflesso della vita stessa.
Nei balli di coppia, quindi, non esiste la figura della prima ballerina?
No, esistono due ruoli, quello dell’uomo e quello della donna. Il senso galante, ormai perduto, è fondamentale. L’uomo mette in risalto la bellezza della donna intesa come movimento e armonia. Più si è in sintonia più si esaltano le caratteristiche dei due rappresentanti della coppia.
Ricordi la tua prima esperienza di lavoro?
No, ma ricordo la mia primissima esibizione. Avevo tre anni e mezzo. Indossavo un vestitino verde e salii sul palco totalmente inconsapevole. Durante l’esibizione caddi. Mi rialzai, misi a posto il vestito e continuai. In quell’azione c’è, secondo me, tutto il senso della vita dei ballerini.
E le prime competizioni?
Ho cominciato piccolissima. Già intorno ai dodici anni. Non saprei dire quando ho iniziato a lavorare. Tutto si è susseguito in maniera totalmente naturale.
Com’ è cominciata l’esperienza di “Ballando con le stelle”?
Terminata l’esperienza negli Stati Uniti, tornai in Italia ed ebbi mio figlio. Mi fermai per qualche tempo e poi, pian piano, ripresi ad allenarmi e fare gare. La nostra federazione chiamò i professionisti italiani perché c’era nell’aria la possibilità di fare un provino per un nuovo format inglese che si sarebbe dovuto realizzare anche in Italia. L’audizione nazionale fu fatta a Roma e fui scelta fra le otto insegnanti. Oggi siamo arrivati alla dodicesima edizione. Ho saltato solo la seconda per potermi dedicare a Edoardo e poi la quarta per partecipare al musical di Piparo “La febbre del sabato sera”.
Qual è, secondo te, il merito di un programma come “Ballando con le stelle”?
Ė un programma pulito. Un po’ come i vecchi varietà che mettevano d’accordo l’intera famiglia. Poi vedere dei personaggi noti alle prese con un ambito che non gli appartiene, è sicuramente divertente. Al di là di tutto, di settimana in settimana, puoi verificare i miglioramenti, lo studio e anche i cambiamenti delle persone. Il ballo mette in discussione e ci permette di scoprire dei lati di noi stessi che non conoscevamo, paure e fragilità comprese.
C’è un allievo in particolare che ti è rimasto nel cuore?
Indubbiamente Fabrizio Frizzi. Un vero signore, un uomo integro da ogni punto di vista. Forse non lo ricordiamo come il miglior ballerino passato per il programma, ma personalmente non potevo essere più fortunata.
Quello col quale ti sei trovata peggio?
Noi non scegliamo le persone che ci sono affidate. Quindi è normale che in alcuni casi ci sia grande sintonia e in altri meno. I nomi però non li posso fare.
Una persona che è stata una grande scoperta?
Di certo Andrew Howe, uno sportivo che ha dimostrato una coordinazione naturale e una grande capacità di movimento. Quest’anno ha vinto Oney Tapia, il paraolimpico non vedente che ha rivelato una bravura disarmante. Tra le donne Hoara Borselli che vinse la prima edizione e poi Sara Santostasi e altre.
Esiste ancora la danza in televisione?
A parte “Ballando” e “Amici” dove la danza è protagonista, in tv non c’è più spazio per il balletto. Oggi è sufficiente mettere in mostra belle forme o per gli uomini un fisico prestante e il gioco è fatto. Una volta dietro ciascun ballerino c’era grande lavoro, grande studio e tantissima preparazione.
Quando tu crescevi avevi dei modelli di riferimento?
Sono cresciuta, come tutti i ragazzi della mia generazione, guardando in TV i balletti di Heather Parisi e Lorella Cuccarini. Loro hanno avuto il merito di portare il balletto in televisione rendendolo un momento importante di grande bellezza e professionalità. Ecco, quei programmi oggi mi mancano un po’. Nel mio ambiente i modelli son stati tanti ma sarebbe inutile fare dei nomi.
Oggi che ballerina sei?
Ancora oggi continuo a studiare. Sempre. Cimentandomi spesso anche con discipline che non mi appartengono. La danza è unica. Certo, è normale che poi ciascuno si specializzi in una disciplina piuttosto che in un’altra, ma tutto torna utile e lo studio si deve affrontare sempre con infinita umiltà.
Sei indubbiamente una donna bellissima. Quanto ha contato l’aspetto nella tua carriera?
L’aspetto ha contato moltissimo, soprattutto se si considera che per un ballerino il corpo è il principale strumento di lavoro. Un bel corpo ti rappresenta meglio. A volte però i ballerini, proprio in virtù di quel corpo avvenente, sono consideranti non pensanti e non parlanti. E questo mi spiace moltissimo.
C’è un momento in cui ti sei sentita assolutamente felice?
Quando ero bimba mi mettevo davanti allo specchio e sognavo di partecipare alle gare internazionali rappresentando proprio gli Stati Uniti. Immaginavo di sentire la fatidica frase: “From United States Samanta Togni”. Non so perché, ma da piccola sognavo questo. Negli anni successivi, quando rappresentavo l’America durante una gara a Miami e vinsi, mi capitò di sentire quella frase tanto sognata da piccina. Ricordo l’emozione che provai, i brividi lungo la schiena, la pelle d’oca. Avevo realizzato il mio sogno.
E quali sono stati i momenti difficili?
Di momenti difficili ce ne sono stati tanti. Quando decisi si lasciare l’America e di tornare in Italia ebbi un profondo senso di smarrimento. Non sapevo, realmente, che cosa ne sarebbe stato della mia vita. In un’altra occasione decisi di non fare un lavoro in teatro che mi era stato proposto e anche lì mi sentii persa e non fui convinta della mia decisione. Ma ci si rimbocca le maniche e si va avanti con un approccio positivo alla vita e tanta voglia di fare.
Che cosa ti aspetti dal tuo futuro?
Grazie all’esperienza di “Ballando” ho intrapreso un modo diverso di approcciarmi al mezzo televisivo. Ho cominciato a fare l’inviata e a cimentarmi con la conduzione. Chissà che non possano giungere, in futuro, altre opportunità. Magari un programma che racconti la danza, i suoi benefici e la sua bellezza.
Come ti vedi fra vent’anni?
Tendenzialmente evito di pensare al futuro vivendo la mia vita ogni giorno con intensità ed entusiasmo. Se devo proprio immaginare qualcosa, mi vedo una donna realizzata, felice di ciò che ho fatto, a godermi i nipotini, se ne avrò, e viaggiando per il mondo. Ecco, forse mi vedo proprio così. Infine, serena.