Lia Courrier e il suo Vademecum per danzatori

di Lia Courrier
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Il compendio di questa settimana voglio dedicarlo con tanto affetto a quella grande famiglia di cui ho fatto parte per molti anni e con cui ho condiviso gioie e dolori, prove, spettacoli, audizioni e tante, tantissime lezioni: i danzatori. Odio i danzatori con quel sentimento viscerale e profondo che si può provare solo quando si è amato in modo altrettanto potente, perché i sentimenti che vengono messi in gioco quando si lavora sulla scena sono così netti, forti e decisi, che non ci sono concesse molte vie di mezzo, per questo posso dire con sincerità di odiare i danzatori almeno quanto li amo. Ecco il mio dono per voi:

1.Ricordiamoci sempre che stare sulla scena non fa di noi degli ‘Artisti’. Ci sono molti modi di fare questo lavoro, e la maggior parte lo fa come onesto e competente lavoratore dello spettacolo dal vivo. Non c’è bisogno di farsi scrivere ‘ARTISTA’ sulla carta d’identità, o definirsi tale ad ogni occasione, poiché un artista dovrebbe sbattersene delle etichette, dal momento che la sua attenzione è convogliata in direzione dell’esigenza espressiva. La maggior parte delle volte quella etichetta viene posta dagli altri, come riconoscimento della propria opera, ma siamo al cospetto di casi rari in cui la creatività libera e selvaggia si impone all’attenzione di un gruppo di persone o di una comunità, ed è questo che fa assurgere quell’opera, quella ricerca, e l’artista che vi sta dietro, allo status di ‘Arte’. Come riporta anche la Treccani, artista è colui che opera nel settore delle belle arti, ma il termine implica anche una componente di valore, ossia viene utilizzato per indicare colui che ha raggiunto livelli di eccellenza nell’arte che professa, per la forza dell’ispirazione, per il sentimento e la fantasia. Io preferisco questo secondo significato, e questo è il motivo per cui uso con molta parsimonia questo termine.

2.Ricordiamoci sempre che non stiamo salvando il mondo con il nostro lavoro. La presenza della danza, della creatività e di quella bellezza che questa porta con sé è molto importante per una società, ma comunque non siamo il centro attorno cui ruota l’universo. Ogni volta che il danzatore calca la scena, cosa che in Italia purtroppo avviene fin troppo di rado, invitiamo l’intero cosmo ad essere presente alla rappresentazione, stalkerando amici e parenti come se quella performance fosse l’ultima cosa che faremo in vita nostra, la più importante, quella proprio imperdibile che se non la vedrete tutti non potrete continuare a vivere da esseri umani  dotati di intelletto, e offendendosi a morte con chi alla fine non si prenota la prima fila. Anche mia nonna si offendeva così quando non riuscivo a finire i manicaretti che aveva preparato per la domenica. Era proprio una cosa personale per lei e non importava se avevo fatto fuori due primi, tre secondi e il contorno: un cannolo a fine pasto era d’obbligo e se non lo mangiavo era convinta che fosse perché stavo male o perché avevo mangiato troppo a colazione. Allo stesso modo il danzatore interrompe i contatti con chiunque non risponda all’invito di assistere alle sue imprese sceniche, pensando che quella persona lo abbia fatto apposta per offenderlo o umiliarlo con la propria indifferenza.

3.Smettiamola di sovrapporre quello che facciamo con quello che siamo. Il danzatore tendenzialmente seleziona le persone con cui avere una relazione di amicizia o di conoscenza, in base alla bravura o alla bellezza del soggetto. In pratica esegue una audizione mentale e rivolge la parola solo a chi ritiene idoneo: no collo del piede? No scambio di numeri di telefono. Sei una scarpa a fare floor work? Non ti concedo l’amicizia su facebook. Sei bellissimo, magari straniero, un po’ stravagante e danzi bene? Allora ti ospito a casa mia per un mese tutto pagato. Sei un danzatore della compagnia di William Forsythe o di Wayne Mc Gregor? Te la regalo proprio casa mia, andiamo dal notaio a fare la donazione.

Ne ho conosciuti tanti di danzatori nella mia vita, una parte di umanità con tendenze fortemente egoriferite,   il più delle volte persone che non parlano di altro che della danza, dei propri impegni con la danza, del proprio parere sulla danza e su come gli altri la eseguono. Eh si, siamo abbastanza noiosi per chi non è affetto da questa sindrome maniacale. Credo dipenda dalla presenza di una forte passione unita ad un ‘IO’ piuttosto ingombrante, ma posso dire, nella mia esperienza, di aver incontrato ben poche persone abbastanza equilibrate da non nominare mai l’argomento ‘danza’ in una intera serata. Me compresa.

4.Quando si lavora insieme, nel giro di una giornata di prove si diventa intimi come se ci si conoscesse da dieci anni o dalla nascita, a volte la sensazione è quella di essere stati concepiti nello stesso istante e nello stesso utero. Questo perché si usa il corpo per entrare in contatto e instaurare un dialogo, e il corpo non mente, rivela molto di se, soprattutto attraverso la danza. Così in una sola prova ci si possono raccontare molte cose, la maggior parte delle quali non esprimibili attraverso la verbalizzazione. Nel giro di una settimana ognuno conosce l’intera vita dell’altro: punti di forza, debolezze, relazioni iniziate e finite, del perché questo è successo, paure infantili, ritmi intestinali, qualità del sonno, cibi preferiti e molto altro che qui non è lecito raccontare. In un mese ci si promette eterna fedeltà come Odette e Sigfried. Peccato che poi, finito il lavoro, molto spesso questa persona si volatilizzi, disperdendosi come una nuvoletta bianca al passaggio del vento, e tu rimani lì a chiederti a chi mai andrà a raccontare le tue confidenze.

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