La danza non si impara una volta per tutte. Routine? Abitudini? No grazie…

di Lia Courrier
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La neuroplasticità del cervello riguarda la capacità del nostro sistema nervoso centrale di costituire nuove relazioni neurali, di modificare la propria struttura in risposta alle attività che ognuno di noi svolge quotidianamente. Questa si manifesta quanto più riceviamo stimoli diversi e impariamo abilità, il che richiede ai neuroni di creare percorsi sempre nuovi per entrare in relazione, mantenendo giovane e funzionante il nostro cervello. Ciò significa altresì che più siamo abitudinari e più rinforzeremo connessioni già esistenti, che diverranno predominanti nella modalità in cui operiamo le nostre scelte, portandoci ad agire secondo schemi fissi anche quando avremmo la possibilità di fare altrimenti, intrappolati in un circuito chiuso. A volte anche solo percorrere una strada alternativa per tornare a casa, cercare esperienze mai fatte prima, provare a eseguire anche i gesti più apparentemente insignificanti, come cucinare o lavarsi i denti, ogni giorno in modo diverso e restando presenti in ciò che si fa, è sufficiente per rendersi conto che non esiste un solo punto di vista da cui guardare l’esistenza, ma infiniti, mentre normalmente le abitudini ci limitano in un piccolo campo, nel quale abbiamo deciso di relegarci. 

Lo yoga mi ha aiutata a raggiungere questa consapevolezza, dal momento che in molti asana (le posture sul tappetino), il corpo viene talmente arrotolato, annodato, capovolto o aperto, che ogni volta mi stupisco del panorama inedito che si può ammirare da lì, una volta entrati, e mi sorprendo di come questa ‘sensazione sentita’ di capovolgimento delle certezze abbia effetti anche sullo stato della mente, che si apre al nuovo e all’inatteso, immersa nell’osservazione lucida e stabile di ciò che c’è.  

Questo concetto si può facilmente applicare anche allo studio e alla pratica della danza. Certo, esiste la necessità di costruire innumerevoli buone abitudini, per sedimentare le quali trascorriamo tantissimi anni in sala a ripetere e ripetere i movimenti finché il nostro corpo non riesce ad accumulare una memoria adeguatamente solida e sempre disponibile, da utilizzare in modo del tutto istintivo quando poi ci troviamo nell’esecuzione di una danza. Da un altro punto di vista, però, la consapevolezza e il controllo sono abilità in continua trasformazione, così come un’abitudine acquisita può essere utile per un certo tempo, per poi dover essere soppiantata da una nuova, più giusta e in linea con il livello evolutivo in cui ci troviamo. 

La danza non si impara una volta per tutte, insomma, ma è un processo continuo e perpetuo in cui le informazioni e le competenze devono costantemente trasformarsi e aggiornarsi, per questo i danzatori continuano tutti i giorni a studiare danza anche quando diventano professionisti: in quale altro mestiere si concede uno spazio di almeno un’ora e mezza, ogni giorno, allo studio? Senza parlare del tempo trascorso per il workout, lo stretching, il potenziamento, la cura e la messa a punto dello ‘strumento corpo’.  

Tutto questo sforzo, oltre all’apprendimento di nuove competenze tecniche o espressive, dovrebbe essere mirato anche a non cadere nella routine: quando alla sbarra abbiamo quella terribile sensazione di fare per l’ennesima volta sempre le stesse cose, dovremmo considerarla come un segnale per correre subito ai ripari. Forzarsi a portare un cambiamento nelle abitudini può essere una soluzione: provare una lezione diversa da quella abituale, ad esempio, perché ogni maestro porta la sua personale versione dei fatti e questo ci pone di fronte a difficoltà diverse da quelle abituali, oppure cambiare luogo e gruppo di lavoro. A volte, stupidamente, funziona anche solo acquistare un nuovo paio di pantaloni o una nuova tuta, in cui ci vediamo belli e che ci fa sentire in qualche modo ‘nuovi’. 

Ma la cosa che più di tutte, nella mia esperienza, sta alla base del concetto di autodisciplina, nella gestione personale del danzatore, è quella di essere in grado di spostare autonomamente il punto di vista sul movimento: una nuova intenzione, un nuovo percorso per eseguire un gesto, contattare aspetti del corpo mai contemplati prima. Sperimentazione e ricerca, ecco di cosa sto parlando. Quando lavoro sulla pirouettes, ad esempio, e continuo a non ottenere risultati con le informazioni presenti fino a quel momento, trovo sia inutile e frustrante continuare ad insistere con quegli strumenti in attesa che funzionino, anche qualora si trattasse di indicazioni date da un maestro. Non credo esista una verità assoluta sulle pirouettes, poiché gli insegnanti non fanno altro che condividere la propria esperienza con la danza, che è comunque limitata e soggettiva. Lavorare per anni su indicazioni che non consentono di trovare una soluzione al problema, ci porta in quel campo limitato di cui parlavamo, e più andiamo avanti nel tempo ad applicarle, senza frutti soddisfacenti, più difficile sarà poi uscire da quel circuito chiuso, sostituendo quelle abitudini con altre più giuste per noi. La vera difficoltà, ma anche la sfida più allettante, è proprio quella di mantenere il corpo, e soprattutto la mente, aperti al nuovo, senza timore.  

Io stessa spesso mi ritrovo a creare sequenze che hanno sempre le stesse dinamiche, o la stessa musicalità, a preferire alcuni movimenti per escluderne altri. Devo fare un piccolo sforzo ogni volta, mettendomi di fronte al codice del balletto, concedendomi di assaggiare qualche nuovo dolcetto mai provato prima, per mantenere sempre vigile l’attenzione mia e degli allievi, e i loro corpi reattivi ad ogni tipo di richiesta. 

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