Lia Courrier: “E se vi raccontassi la storia della danza partendo dal bacino?”

di Lia Courrier
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Oggi vorrei cimentarmi nella più improbabile esposizione di storia del balletto mai conosciuta finora, raccontandola dal punto di vista del bacino: quella parte del corpo che più di tutte è crogiolo di condizionamenti culturali, religiosi, sociali, tabù ed emozioni variamente inconsce e oscure.  

Il balletto nasce in Italia, durante il regno di Caterina de Medici, per poi esplodere alla corte francese dove Luigi XIV, Roi Soleil creò una vera e propria accademia di balletto con lo scopo di dare una formazione professionale ai danzatori. Partecipare anche solo come comparsa ad una delle sue rappresentazioni voleva dire essere parte, risplendere della sua stessa grandezza e magnificenza. La danza divenne quindi anche uno strumento per acquisire potere, poiché per Luigi XIV essa copriva un’importanza assoluta, quasi più della politica stessa e dei suoi ministri. Dalle cronache e racconti dell’epoca, si può intuire quanto la corte fosse frivola e lasciva, dedita alle feste e al piacere, nonché al culto della persona, atteggiamento che poi nel tempo portò alla rivoluzione più famosa del mondo e alla cruenta fine della famiglia reale. Ho sempre trovato la danza barocca solenne e maestosa, specchio della regalità e dell’altezzosità nobiliare, ma con una componente di malizia e seduzione. La grazia femminile e il vigore maschile sono valorizzati da una sensualità elegante e raffinata che si emana dai movimenti, creando elettricità attorno ai corpi, che si attraggono e si respingono, si inseguono e si cercano nelle coreografie come in un perenne gioco d’amore. 

Si arriva poi al periodo del balletto romantico e tardo romantico, portandoci verso il 1800, tra Europa e Russia. La donna diventa assoluta protagonista della scena, idealizzata in una figura evanescente e biancovestita che potremmo definire una via di mezzo tra un fantasma e un angelo. L’uomo si defila e diventa quasi attributo della donna, che si solleva così in alto fino a restare in contatto con la terra solo attraverso la punta dei piedi, mentre lui, celato dietro alla matassa di tulle, provvede a sospenderla in salti e pose aeree. Bisognerà attendere l’arrivo dell’uragano Nijinsky, e poi di Rudy, per vedere gli uomini riappropriarsi del loro ruolo sulla scena.   

Le storie raccontate nei balletti di questo periodo parlano di struggenti amori mai consumati, platonici, mentali addirittura, come ne ‘la silphyde‘, in cui viene rappresentato l’amore impossibile tra un umano ed uno spettro. La sensualità lascia il posto ad un ideale di purezza aulico e candido. 

Con il passare del tempo le gonne diventano sempre più corte, fino ad arrivare al tutù a ruota piatta, che resta parallela al pavimento e lascia le gambe completamente scoperte. Indossare un tutù non è mica facile, perché la gonna si appoggia proprio sui fianchi e per portarla con eleganza è necessario mantenere sotto controllo il bacino. Energeticamente ho sempre visto il tutù come una sorta di diaframma che separa idealmente la sfera mentale da quella genitale, con il bacino costretto al silenzio, in qualche modo, relegato ad essere l’unico punto fisso attorno cui tutto si muove. Il corpo della ballerina, sempre più esile, è quasi congelato nel suo aspetto adolescenziale e le forme femminili, rotonde e accoglienti, non sono ben accette in questo contesto. Nel periodo tardo romantico le protagoniste delle storie, come Giselle, muoiono per amore e riescono ad entrare in un reale contatto con l’amato solo in forma di spettro. 

Nel ‘900 per fortuna arriva Balanchine a riportare un po’ di pepe e di sensualità nella danza, guarda caso proprio liberando il bacino, per renderlo non solo parte ma motore stesso del movimento. 

Quando studiamo balletto ci portiamo dietro tutta questa storia, poiché ogni stadio dell’evoluzione contiene in sé tutti quelli precedenti. Trovo che la questione dell’utilizzo del bacino nel balletto, sia una delle più complesse da affrontare e da trasferire nel corpo. Data la grande quantità di muscoli che si dipartono e convergono proprio qui dal tronco e dalle gambe, spesso accade che, nella ferma volontà di mantenere il controllo simultaneo di tutti i pezzi, il bacino venga totalmente bloccato, stretto nella morsa dei muscoli. Se questo atteggiamento si protrae a lungo nel tempo, continuando a cercare la forza del controllo attraverso l’immobilizzazione, allora quella parte del corpo verrà totalmente dimenticata, estromessa dalla danza e portata in giro come un oggetto inerte. Non so quante volte a lezione mi sono sentita dare dai maestri “tieni fermo il bacino”, quando invece la cosa più giusta da fare, almeno questo è quello che ho capito nella mia esperienza, è muovere il bacino con l’intenzione di stabilizzarlo, applicando quel principio preziosissimo e imprescindibile dalla danza stessa, che è l’utilizzo delle controforze. Bisogna imprimere al bacino delle spinte compensatorie che rendano il bacino un fulcro attivo e vibrante su cui possano trovare appoggio i movimenti del tronco e delle gambe. Il bacino è detentore di peso, poiché tutte le forze che provengono dall’alto e quelle che risalgono dal suolo si incontrano proprio qui, in special modo nell’articolazione sacro-iliaca, che rappresenta una porta fondamentale da molti punti di vista. Liberare il bacino nel movimento vuol dire accedere al controllo cosciente e consapevole del peso del corpo, e di conseguenza alla capacità di sfruttare questo peso come motore per il movimento, sia esso mirato al mantenimento dinamico di una posizione statica che alla conquista dello spazio attraverso il movimento. 

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