La danza nel cinema…Dancer racconta il tormento di Sergei Polunin e offre spunti di riflessione

di Fabiola Di Blasi
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Un uomo in ginocchio con la testa china e il corpo tatuato ciondolante è l’immagine emblematica con cui si apre “DANCER”, film documentario sulla vita del ballerino ucraino Sergei Polunin, uscito nelle sale italiane nel 2018. Il trailer, presentato due anni prima, aveva ottenuto migliaia di visualizzazioni e condivisioni nel web creando grande attesa (per cui vi rimando all’articolo: www.dancehallnews.it/dancer-e-uscito-il-trailer-del-film-documentario-sulla-vita-di-sergei-polunin/).

Sergei Polunin, classe 1989 è uno dei più grandi danzatori del nostro tempo. Personaggio controverso ed enigmatico, ha attirato spesso l’attenzione della stampa che lo ha definito “Il bad boy del balletto” ma anche “Il nuovo Rudolf Nureyev e “Il danzatore più dotato della sua generazione” (New York Times).
La realizzazione del film diretto da Steven Cantor ha richiesto quattro anni, periodo in cui la produzione ha effettuato riprese e montaggio seguendo Polunin nei suoi spostamenti. Davanti alla telecamera, l’artista si rivela completamente e porta lo spettatore non solo sul palcoscenico ma anche dietro le quinte e nel suo camerino disordinato, pieno di farmaci e antidolorifici. “Il James Dean della danza” non nasconde di aver fatto uso di alcool e droghe quali la cocaina durante un lungo periodo di depressione. Per raccontare questo mondo di perfezione e decadenza, il regista si serve anche di immagini inedite dell’infanzia di Polunin e di interviste a familiari e amici permettendo a chi guarda di scavare nella vita dell’artista e di conoscere i sacrifici che ha dovuto fare sin da bambino per raggiungere la perfezione che oggi porta in scena.

Originario dell’est Europa, precisamente di Kherson, nell’Ucraina meridionale, dove la danza classica è più popolare del calcio, Polunin ha iniziato a studiare presto. Anche se ricorda la sua infanzia come un periodo felice, la realtà che lo circondava era povera (“nessuno aveva soldi. E quando tutti sono poveri, non senti le differenze”) e la famiglia ha fatto di tutto per garantire al giovane e talentuoso Sergei un futuro brillante. Sua madre Galina, in particolare, era determinata a fare di lui una star. Da Kherson a Kiev per proseguire gli studi e poi a Londra grazie ad una borsa di studio della prestigiosa Royal Ballet School. In quegli anni, l’intera famiglia lavorava per mantenerlo: la nonna in Grecia come badante e il padre in Portogallo come muratore. La madre, sprovvista dei documenti per vivere regolarmente a Londra, è costretta a lasciarlo solo nella nuova città di cui il tredicenne non conosce neppure la lingua. Sergei è molto determinato e si impegna il doppio degli altri allievi: nel suo immaginario di bambino, raggiungere il successo rappresenta l’unica possibilità di aiutare e riunire i suoi parenti. Purtroppo, però, la famiglia non supera i periodi forzati di separazione e i genitori arrivano al divorzio, fatto che ferisce profondamente il giovane Sergei. Ad ogni modo, l’impegno quotidiano porta i risultati sperati e a soli diciannove anni Sergei Polunin diventa primo ballerino del Royal Ballet (il più giovane nella storia della compagnia inglese).
È un successo dietro l’altro fino alla crisi artistica, all’abbandono della prestigiosa compagnia (decisione accolta con sgomento dal mondo della danza) e, più tardi, passando per Mosca, dallo “Stanislavsky Ballet” dove viene ingaggiato come primo ballerino, alla collaborazione con David LaChapelle per il video “Take me to Church” sull’omonimo brano di Hozier, un successo planetario. E’ il 2015 e Sergei Polunin che ha bruciato le tappe e raggiunto i livelli più alti da giovanissimo, sente di aver perso la motivazione che lo spinge a danzare. Decide che “Take me to Church”, con le coreografie dell’amico Jade Hale-Christofi rappresenta il suo addio al mondo della danza e valuta la possibilità di avvicinarsi al cinema. Durante le riprese, però, la crisi si intensifica, Sergei piange continuamente e capisce che danzare è per lui un bisogno, che il suo corpo non può più farne a meno. Pur sentendosi prigioniero di questa necessità, decide di tornare in carreggiata, di migliorare la sua vita, cosa a cui ha contribuito anche l’amore con la stella del balletto Natalia Osipova e di mettere in piedi nuovi progetti che gli permettano sia di danzare le sue stesse creazioni che di dare opportunità ai più giovani. La storia di Sergei Polunin è una storia di incredibile tenacia in cui ogni ostacolo si trasforma in occasione di rinascita e tutto questo lo rende paragonabile ad una splendida fenice.

Il film parla anche dell’abbinamento di talento e lavoro. Sergei Polunin, come vediamo, è un bambino con grandi doti per la danza ma per tutta la vita deve lavorare duramente per raggiungere la perfezione tecnica che richiede oggi l’impietoso mondo del balletto. Una riflessione sul prezzo da pagare per raggiungere il successo che purtroppo, però, non restituisce i rapporti umani sacrificati come quelli importantissimi che riguardano la famiglia.

Alla prima del film, avvenuta al Palladium di Londra nel 2017, Sergei Polunin ha dichiarato che ognuno può identificarsi nella sua storia in modo diverso. Per gli artisti “DANCER” potrebbe essere una fonte di ispirazione ma oltre al lato artistico c’è quello umano e quella raccontata è una storia sulla famiglia. Polunin spera che il film possa avere un impatto sul mondo della danza nel quale è impegnato anche con altri progetti perché si ottengano più attenzione sui problemi dei performer, più rispetto per la categoria e affinché si dia più libertà di scelta ai danzatori sulla possibilità di collaborare con altri artisti, come lui stesso ha fatto con LaChapelle. È importante uscire dalle sale di danza e fare più esperienze, sperimentare.

A chi gli ha chiesto cosa significhi danzare ha risposto “Ho speso anni ponendomi questa domanda e sono giunto alla conclusione che semplicemente danzare sia il senso della vita. Balliamo da bambini, balliamo nei locali, balliamo quando incontriamo il primo amore…la danza è un linguaggio dell’anima e tutti lo capiscono.” Un messaggio molto forte che conferisce alla danza un ruolo fondamentale nella vita di ogni essere umano.

Il film è stato nominato come miglior documentario ai British Independent film Awards 2016 ed è stato il film di apertura del 58° Festival dei Popoli 2017 a Firenze.

Genere: documentario, biografico
Anno: 2016
Regia: Steven Cantor
Interpreti: 
Sergei Polunin
Fotografia: Mark Wolf
Montaggio: Federico Rosenzvit
Musica: Ilan Eshkeri
Produzione: 
USA
Distribuzione: Wanted Cinema
Paese: Gran Bretagna, Russia, Ucraina, USA
Lingua originale: Inglese, russo, ucraino.
Colore: colore
Durata:  
85 min
Link al trailer: www.youtube.com/watch?v=YXsP-AAL-7M
Curiosità: Il fotografo e artista David LaChapelle, autore del video di “Take Me to Church”, figura tra coloro che hanno contribuito alla realizzazione del film. Il compositore Ilan Eshkeri, ha accolto con entusiasmo la proposta della produzione: sua madre era ballerina e lui aveva sempre desiderato comporre per la danza. Inizialmente, Sergei Polunin non voleva vedere il film in quanto non gli piace guardare sé stesso danzare. Convinto da un amico coinvolto nella realizzazione del documentario, ha trovato di avere un buon senso del ritmo e una buona musicalità ma è rimasto teso durante tutta la proiezione del film.

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