“Danza o muori”. Quando ballare rende liberi: il potere salvifico dell’arte tersicorea nel libro di Ahmad Joudeh

di Giada Feraudo
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È uscita in libreria negli scorsi giorni a Milano, durante la settima edizione di Book City, la biografia del ballerino siriano Ahmad Joudeh, dal titolo Danza o muori, edita da De Agostini.

Ahmad, ormai ribattezzato “il Billy Elliot siriano”, sta diventando un personaggio fortemente mediatico con un seguito sempre maggiore, che lo ha portato a duettare con Roberto Bolle, con accompagnamento della musica dal vivo di Sting, nel corso della fortunata serata del programma Danza con me, andato in onda lo scorso 1 gennaio 2018, ad apparire più volte sui giornali e le televisioni di tutto il mondo e ad essere protagonista di un documentario olandese a lui interamente dedicato.

I sogni già realizzati sono tanti, ma per questo ragazzo di 28 anni, che ha imparato a sognare in grande, il desiderio più forte è quello di fondare e dirigere, un giorno, un’Accademia di ballo siriana a Damasco, e una compagnia nazionale, che si chiamerà Syrian National Ballet, e che spera si possa esibire nell’anfiteatro romano di Palmira. Un progetto lungimirante, senza dubbio, dal momento che la cultura islamica disapprova la danza.

Ahmad ha voluto narrare la propria storia con le sue parole: particolarmente intenso è il significato del titolo del suo libro, Danza o muori, le parole che il danzatore ha tatuate sulla nuca, proprio nel punto in cui i tagliatori di teste dell’Isis affondano la lama. Il suo racconto è fatto di battaglie, rifiuti, violenza e paura, ma anche di sogni, che aiutano a sopravvivere e a superare le difficoltà. Figlio di un palestinese e di una siriana, cresciuto nel campo profughi palestinese di Yarmouk, a Damasco, Ahmad scopre fin da bambino una crescente passione per la danza, a cui non riesce a sottrarsi. Ma non è semplice diventare un ballerino vivendo in una delle periferie più difficili della capitale siriana, dovendo lottare, fin dalla più giovane età, contro l’opposizione drastica del padre, che non ritiene la danza sufficientemente virile per un maschio, e che arriva a bastonare sulle gambe il proprio figlio per farlo smettere di ballare. A tutto ciò si aggiungono gli strazi e le violenze della guerra civile che devasta il paese ma nulla ferma il ragazzo: Ahmad continua a frequentare in segreto le lezioni di danza, anche se intorno a lui la città crolla sotto i bombardamenti e le minacce dei terroristi. Non solo, insegna a danzare anche ai bambini di Damasco, perché la danza è vita, è libertà, quindi “danza o muori”.

Nel 2014 partecipa alla versione araba del reality “So You Think You Can Dance”, arrivando in semifinale, ma non vince perché senza nazionalità. L’apparizione in questo programma lo rende celebre sia in Siria sia all’estero ma gli procura l’opposizione degli estremisti. Dal 2016 Ahmad vive in Europa, ad Amsterdam, dove è libero di seguire la sua passione, il suo sogno, e dal 2019 andrà a Kristiansand, una cittadina a sud della Norvegia, dove farà il coreografo e il ballerino con la compagnia norvegese del Kilden Theatre.

«Quando sono arrivato in Europa» racconta «ho vissuto uno shock culturale. Ho avuto bisogno di sei mesi per elaborare quello che stavo vivendo. Lasciare la propria casa significa tornare bambini perché bisogna ripetere tutto il processo di apprendimento: imparare di nuovo ad amare, a capire chi ti vuole bene, una nuova lingua. Chi arriva deve imparare tutto da zero». In questi ultimi anni è stato possibile anche il riavvicinamento con il padre, che finalmente ha capito e accettato la vocazione del figlio, un rapporto che entrambi cercano di ricucire dopo il violento strappo avvenuto anni fa. La madre di Ahmad, invece, vive ancora in Siria, ma è felice di sentire le buone notizie che le riferisce il figlio, purtroppo le uniche positive, ammette tristemente.

È proprio grazie alla danza e alla propria determinazione che Ahmad ha potuto cominciare una nuova vita in Europa, arrivando a realizzare il sogno di esibirsi in un passo a due con il suo idolo di sempre, Roberto Bolle, autore della prefazione del suo libro. « … anche in una situazione tanto disumana la danza ha dimostrato di essere una forza salvifica, perché l’arte ha davvero il potere di elevare l’animo – allontanandolo dalle brutture e dalle sofferenze – e di aiutarci a ritrovare la nostra dimensione più umana e luminosa, la parte migliore di noi stessi e di tutta l’umanità» afferma Bolle.

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