Lia Courrier: “i disturbi alimentari e il cuore delle allieve”

di Lia Courrier
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E’ già il secondo Natale che parlo di disturbi dell’alimentazione. Non ho pianificato che accadesse di nuovo, ma credo che questo sia un momento dell’anno in cui riemergono memorie (dolorose) della mia storia personale, legate alla relazione (travagliata) con il cibo. Oppure accade perché ancora oggi, nonostante tutto ciò che sappiamo sull’argomento, mi ritrovo a dover sostenere giovani allieve che si muovono sull’orlo di un confine pericoloso, verso il quale sono state spinte da chi nel mondo della danza non comprende quanto delicata e complessa sia la questione, di cui ancora viene inspiegabilmente negata l’esistenza nonostante sia sotto gli occhi di tutti.

Verso la metà degli anni trenta del secolo scorso, si è cominciato a parlare del concetto di immagine corporea, ossia di quella rappresentazione che ognuno di noi si fa del proprio corpo: una struttura multidimensionale che comprende la sfera cognitiva, quella affettiva e percettiva, nonché gli aspetti peculiari del carattere di ognuno di noi. A questo si vanno ad aggiungere altri fattori storici, legati alle esperienze vissute, i condizionamenti sociali e culturali, le relazioni familiari, che agiscono profondamente sulla modalità con la quale l’individuo si costruisce la propria immagine di sé. Infine esiste la possibilità che si presentino degli eventi scatenanti, molto specifici, che possono accendere una patologica attenzione e preoccupazione per il proprio aspetto, in particolare per il peso e le dimensioni del proprio corpo. Restando nell’ambito che ci riguarda più da vicino, nella danza sono presenti molteplici sollecitazioni di questo tipo: esposizione costante allo specchio, indossare abiti aderenti, confronto continuo con gli altri, un modello di magrezza obiettivamente eccessivo, almeno per i miei gusti, tutti fattori che possono concorrere ad avviare un dialogo interno, ossessivo e monotematico, con caratteristiche energetiche discendenti, che ha per oggetto il proprio aspetto. Non solo, spesso accade che questa ossessione crei aspettative irreali su un possibile cambiamento, che la persona creda di poter ottenere il corpo che desidera perdendo peso. Ma non è così perché la struttura genetica del nostro corpo non può essere trasformata, così si entra in un circolo vizioso per cui ad ogni chilo perso si pensa già al prossimo da eliminare. Non basta mai.

Ecco come si giunge ad un dimorfismo corporeo, ossia l’incapacità di percepirsi in modo oggettivo, una distorsione nella percezione di sé che porta a esasperare quelli che si considerano essere i propri difetti e minimizzare le risorse. Questo è un segno che rimane per sempre in chi ha vissuto questo tipo di esperienza, io stessa non ho mai più recuperato un’immagine di me che possa considerare attendibile, nonostante siano passati tanti anni dalla mia guarigione fisica e spirituale. La mente mi inganna ancora. La persona intrappolata in questi meccanismi si muove in balia della vergogna e di sensi di colpa legati alla propria condotta, con una sensazione di impotenza di fondo, per far fronte alla quale di solito sceglie (la maggior parte delle volte, almeno all’inizio, inconsapevolmente) di attuare strategie evitanti che portano lentamente all’isolamento o allo sviluppo di comportamenti compulsivi, come i rituali compulsivi di controllo del proprio aspetto o del proprio peso.

Proprio qualche giorno fa leggevo un interessante articolo nel quale Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, sostiene che “la competizione non è per tutti, e soprattutto non seleziona i migliori ma i meno sensibili”. Il mondo della danza chiede anche ai giovanissimi di rispondere ad una richiesta di competitività, ma allo stesso tempo l’atteggiamento spesso giudicante che si riscontra in maestri e compagni di corso, può aumentare lo stress e la sensazione di dover soddisfare a tutti i costi delle aspettative per poter essere accettati, spegnendo l’autostima nei soggetti più sensibili, che magari stanno già vivendo una stagione delicata dell’esistenza come quella dell’adolescenza.

Tutto questo indotto emotivo e psicologico si può presentare anche in assenza di un conclamato disturbo dell’alimentazione. Non dobbiamo attendere che la persona manifesti un dimagrimento eccessivo per destare preoccupazione, noi insegnanti abbiamo un ruolo decisivo in questo ambito, bisogna restare vigili e accoglienti con chi sta vivendo un simile conflitto interno. Sappiamo tutti che per danzare bisogna avere un corpo allenato e tonico, ma ci sono innumerevoli modi in cui queste caratteristiche sono presenti in una persona. Chiedo soprattutto ai maestri di danza classica di fare attenzione ai commenti e a come comunicate le cose ai vostri allievi, poiché non tutti diventeranno danzatori, e pochissimi saranno ballerini classici, ma tutti, proprio tutti, sono persone, e nulla al mondo è più importante di dare loro la possibilità di fare ciò che amano con una gioia che poi si possa infondere anche nella vita quotidiana.

Sappiamo tutti che non è facile per una persona che non ha le caratteristiche fisiche dei modelli di riferimento (che tra l’altro, ci tengo a dirlo, non sono uguali ovunque), trovare il proprio posto nelle professioni della danza, ma noi siamo chiamati ad insegnare loro l’arte del movimento e ad accendere in loro la passione per la danza, a rispettarli come persone e sostenerli nel difficile compito che si sono scelti, il resto è solo la loro storia e noi non c’entriamo nulla. Non dovremmo giudicare. Non dovremmo entrare nella loro sfera privata, a meno che non ci invitino loro stessi, per ricevere un aiuto da parte nostra.

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