“Show must go on”. Ma solo per pochi eletti

di Giada Feraudo
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Navigando sui social in questi giorni ci si rende conto di quanta rabbia la gente abbia represso negli ultimi mesi. Basta aprire Facebook o Instagram per sentirsi proprio esplodere in faccia una bomba di rabbia appena si carica la pagina. Così, sbam, in pieno viso. Fa male al cuore e all’anima. Verrebbe voglia di chiudere subito il maledetto PC per cercare di non sentirsi lo stomaco sottosopra, almeno per qualche minuto. Ma no, perché anche se uno volesse cercare di trovare una soluzione, non dico una via d’uscita ma un barlume in fondo al tunnel nero senza fine, un gancio a cui appigliarsi per non cadere nel vuoto, subito qualcuno o qualcosa interviene a schiacciarti la mano che sta cercando di sorreggerti.

Le misure adottate penalizzano una serie di settori, e moltissime persone. Sono state adottate a rigor di logica? Non lo so, e sinceramente sono stremata e non ho più voglia di arrovellarmici sopra. Ma impari lo sono di sicuro. Possiamo discutere all’infinito se sia stato un provvedimento oculato chiudere i teatri oppure no, ma non è questa la sede, non vogliamo che lo sia.

Quello che viene da chiedersi è: ma perché per alcuni valgono le restrizioni e per altri no? In particolare, la polemica è scoppiata, soprattutto sui social, in relazione alla puntata del Maurizio Costanzo Show registrata lunedì 26 ottobre, dunque dopo la pubblicazione e l’entrata in vigore dell’ultimo DPCM (25 ottobre). Nella foto si vede uno studio televisivo gremito di pubblico, con tutte le sedute occupate, separate dal plexiglass, ma molte persone fra gli spettatori non indossavano nemmeno la mascherina. Ora, se teatri con una capienza di oltre 1600 posti non possono ospitare nemmeno 200 spettatori in quanto troppo rischioso, allora la domanda è: ci prendete in giro? Il teatro è un luogo ad altissimo rischio di contagio mentre uno studio televisivo pieno di gente no?

Maurizio Costanzo apre la serata specificando che il pubblico è “in sicurezza”: test sierologici, plexiglass e distanziamento sociale.
E se quei soldi li usassimo per sostenere chi non ha più un lavoro, dato che il resto dei teatri, salvo pochi eletti, devono restare chiusi?
Ovviamente entrano nel novero anche altre trasmissioni televisive, vedasi Ballando con le stelle e tanti altri talk show che sinceramente ci hanno proprio stufato. I ballerini del seguitissimo programma del sabato sera sono sempre uno in braccio all’altro e ci sono più sbaciucchiamenti che coreografie. Sono anche loro in sicurezza, sissignori, tamponi ogni 48 ore. Invece noi siamo tutti a casa, e la gente fa le file davanti agli ospedali (correndo il rischio di infettarsi) perché i tamponi li facciamo a tutti tranne a chi ne ha davvero bisogno.
Il Ministro della Cultura Franceschini, che evidentemente perpetua l’antico concetto romano del “panem et circensem” ha dichiarato, negli scorsi giorni, che la gente non ha capito la gravità della situazione. L’abbiamo capita benissimo, onorevole Ministro (chi la vuole capire ovviamente, non stiamo parlando di negazionismo o di complottismo), ma quello che non abbiamo capito sono queste differenze di metro e di giudizio. Ci erudisca lei per cortesia, perché noi comuni lavoratori dello spettacolo, quelli che “vi fanno tanto divertire”, una spiegazione logica e sensata non riusciamo a darcela.
Se ci sono delle regole devono (o meglio, dovrebbero!) valere per tutti.

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge” recita l’incipit dell’art. 3 della Costituzione italiana.

Evidentemente non proprio tutti.

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