Lia Courrier: “I muscoli e il freddo polare”

di Lia Courrier
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Negli ultimi quattro anni ho sentito molto la mancanza dell’inverno, quella stagione che ho imparato a conoscere da quando, a 15 anni, dal sole della Sicilia sono stata catapultata in mezzo alle nebbie padane, alle mattine con dieci gradi sotto allo zero, al ghiaccio ovunque.

“Dove sei finito, inverno?”, mi dicevo, “come sarebbe bello rivedere la neve e sentire il naso pungere quando si esce di casa e si inala la prima boccata di aria gelata”. Beh, eccomi accontentata: quest’anno finalmente l’inverno è giunto come non accadeva da tanti anni, completo dell’incanto innevato che ci ha deliziati per qualche giorno.

Sono contenta, credetemi, ma il mio povero corpaccione non è proprio dello stesso parere…

Con il freddo i muscoli si contraggono, e per chi ha già di suo le articolazioni cementate e la flessibilità di un tronco di pino, questa reazione toglie quel poco spazio che faticosamente si era ricercato nel tempo, specie nelle prime ore della giornata, quando la rigidità è a livello inox. Mi manca solo di incontrare uno spaventapasseri e un leone alla ricerca del coraggio, per mettere in piedi un musical. Una prugna secca.

Madre Natura mi ha dotata di un corpo discretamente funzionante, meno che per la circolazione periferica, purtroppo, quindi anche facendo sedici ore di yoga e quattro di danza, le dita delle mani e dei piedi, e la punta del naso, restano congelati, freddi e inospitali come un gulag, scricchiolanti come una vecchia barca sfondata: sembra impossibile convincere il sangue ad avventurarsi fin lì. In questa occasione vorrei avere nel mio corredo genetico elementi nehandertaliani, perché questa linea evolutiva, così sottovalutata e soppiantata per lasciar emergere il grande cervello dei sapiens, è sopravvissuta ad un’era glaciale. Vi rendete conto? Un’era glaciale. Cosa te ne fai di un grande cervello se appena la temperatura scende sotto allo zero ti ritrovi con i geloni ad ogni singolo dito del piede? Manco un battement tendu puoi fare, senza la paura di sgretolarti come i ghiacciai sotto l’effetto del riscaldamento globale.

Vivo con profondo dualismo questo momento: da un lato la gioia di una stagione ritrovata e che mi mancava molto, dall’altra la speranza di arrivare integra alla primavera, quando finalmente potrò slanciare nuovamente un grand battement, senza temere che la gamba si stacchi e voli al centro della sala, seminando il panico tra gli astanti.

E voi? Come vivete questa stagione?

Croccanti?

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