Tony Lofaro: “Raccontare Anna Frank è stato un viaggio profondo e speciale”

di Francesco Borelli
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Da Mercoledì 27 Gennaio 2021, Giornata della Memoria, “Anna, Diario figlio della Shoah – La Tempesta Devastante” il Docufilm, figlio amato dello spettacolo teatrale sarà disponibile sulla piattaforma Vimeo. Ne parliamo con Tony Lofaro, regista e coreografo e dello spettacolo teatro e del docufilm.

Com’è nata l’idea dello spettacolo? E come ci si approccia a un tema così delicato?

Lo spettacolo “Anna, Diario figlio della Shoah – La tempesta devastante”, nasce da una richiesta di Colisseum, Dimensione Movimento, nella persona del vice presidente Franco Campanella, che mi ha espressamente invitato a pensare a una messinscena che ricordasse le vittime dell’olocausto. Ho riflettuto a lungo e ho proposto come soggetto il personaggio di Anna Frank: agli occhi di tanti la scelta sarà sembrata scontata ma ritenevo di avere tra le mani una chiave di letture nuova, originale ma fedele.

In un momento in cui è impossibile andare a teatro si è pensato di realizzare un docufilm, di cui sono regista e coreografo, che uscirà il 27 gennaio, il giorno della memoria, sulla piattaforma Vimeo in modo gratuito.

Mi sono approcciato al tema con molto rispetto, in ascolto e spesso facendo un passo indietro perché ci fosse verità e desiderio di non dimenticare ciò che è stato.

Raccontare la Shoah è un banco di prova per chiunque, anche per i registi e i coreografi più navigati. Il rischio è scegliere una chiave di lettura che possa risultare banale. Come hai ovviato a questo problema?

Credo esistano centinaia di spettacoli dedicati al personaggio di Anna. Personalmente, rileggendo il libro e realizzando lo spettacolo, ho cercato di ascoltare, prima di tutto, me stesso. Capita che anche la lettura di un libro, a seconda del momento della vita in cui lo si legge, proponga riflessioni differenti, più profonde o, semplicemente nuovi spunti. Si scoprono così significati che magari, precedentemente non si erano colti.

Il rapporto di Anna col padre era un rapporto speciale. Ed è questa la chiave attraverso cui ho raccontato la sua storia. La figura del papà di Anna mi ha ricordato mio padre, che, nonostante il passare del tempo, e nonostante io sia ormai un uomo adulto, rimane il mio eroe.

Generalmente cosa ritieni definisca la tua poetica coreografica?

Ѐ una domanda davvero complicata. Credo che spetti ai danzatori che lavorano con me o al pubblico che guarda i miei spettacoli, fare una considerazione in tal senso. Di certo so di essere una persona istintiva che ama comunicare messaggi chiari. E per Anna mi sono circondato di un team creativo fortissimo che ha soddisfatto e supportato ogni mia scelta. Hanno fatto sì che la mia visione vera e cinematografica al contempo, potesse rappresentare, nelle immagini, nei colori e nell’atmosfera, ciò che io sentivo dentro di me e che ho cercato di portare in palcoscenico.

Si dice che la storia debba insegnare all’uomo a non commettere gli stessi errori, Così, quantomeno, dovrebbe essere. Qual è invece la funzione dello spettacolo?

Nel caso specifico, sia dello spettacolo che del docufilm, l’obiettivo è continuare con forza a ricordare ciò che è stato. Uno spettacolo è solo una piccola goccia nel mare ma desidero, con tutta la forza che ho, che questa semplice goccia diventi un oceano. Ciò è quello che promesso a me stesso e in particolare a Sami Modiano,  sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz, con cui ho avuto, nelle ultime settimane colloqui costanti e di grande impatto emotivo. Dobbiamo, attraverso il ricordo, combattere affinché così tremendi errori non si commettano ancora. Le piccole e grandi discriminazioni sono da condannare, sempre.

E di questo in particolare?

Rispetto a tante cose fatte nella mia vita, questo spettacolo ha un significato speciale. Al di là dell’obiettivo di portare in scena, una, dieci, cento repliche, c’è un pensiero di fondo che, mi auguro, venga recepito, Un messaggio pieno di speranza, un insegnamento che sono certo, toccherà l’animo delle persone.

Che cosa ti è rimasto dopo aver lavorato e portato in scena un tema così delicato, e difficile?

Mi è rimasta una grande forza interiore, uno spettacolo che mi ha profondamente cambiato e che mi ha portato a riflettere sul significato più profondo della vita. E sono felice di aver affrontato questo lavoro adesso, a quasi 43 anni, e non prima. Un tempo non avrei avuto la maturità e la compassione per comprendere, realmente, la portata di ciò che è accaduto. E sono fortunato, perché è stata la danza lo strumento attraverso cui questo processo di comprensione, profondo e bellissimo, è potuto avvenire

L’emergenza sanitaria ha totalmente devastato il nostro settore. Come hai vissuto quest’ultimo anno e che cosa ti aspetti dai mesi avvenire?

Mi spiace constatare, ahimè tutti i giorni, quanto siamo invisibili agli occhi delle istituzioni. Parlo dei danzatori ma anche delle scuole di danza, delle maestranze, dei teatri, dell’intero settore dello spettacolo dal vivo. Credo di essere riuscito a mantenere un grande equilibrio e, di certo, non mollo mai, anche se ci sono giorni davvero difficile. Questo periodo, però, ha evidenziato le lacune di un settore che necessita di linfa nuova. Di considerazione, e rispetto. In fondo l’Italia è la culla dell’arte e della bellezza. Giusto?

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