Tango: l’esilio di Osvaldo Barrios

di Vittoria Maggio
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“Avverto anch’io questa sorta di esilio forzato, non suono da troppo tempo per la gente, fare musica da solo non è la stessa cosa, manca il dialogo, manca tutto, sono triste, anche se trascorro una vita serena e semplice con la mia famiglia. Ma sto male dentro, in questo esilio dell’anima, anch’io sono “cerrado”, chiuso in me stesso, non è vita felice questa…però sono convinto che la vita sarà più forte, torneremo a ballare e sarà tutto come prima!”

Mi piace immaginare l’arrivo del Bandoneon, lo strumento musicale icona del tango, sulle sponde del Rio de la Plata in una mattina silenziosa dei primi del ‘900, abbandonato sulla spiaggia e lambito dalle onde. Mi piace pensare che il silenzio sia rotto solamente dal suo nostalgico suono, mi piace pensare che sia arrivato da solo, dal mare, chissà come caduto per sbaglio o per destino da un transatlantico durante la traversata. Mi piace pensare che le persone immigrate da quei tanti dove, quella stessa mattina si riunissero al suo cospetto, ammaliati dal suo dolce, profondo e a volte straziante suono.

Mi piace pensarlo come il vero strumento dell’esilio del tango! Forse perché da solo vale un’intera orchestra! Forse perché è il cuore pulsante del tango!

Forse perché c’è un musicista, come Osvaldo Barrios, che quando lo tiene fra le sue mani, lo trasforma in un essere vivente che, vibrando, schiaccia ogni tasto di emozione che l’animo umano può provare.

Osvaldo Barrios è al di là della tecnica, la sua arte diventa il cuore di un poeta, come nelle famose parole del francese rivoluzionario André Chénier “L’art ne fait que des vers, le coeur seul est poète”.

Ci vuole un cuore rivoluzionario per riuscire a trasmettere l’anima dell’esilio quando si suona un Bandoneon.

La storia della vita e della carriera di Osvaldo Barrios è molto ben raccontata nel nuovo libro di Massimo Di Marco uscito di recente e intitolato Le coeur seul est poète: papà emigrato in Argentina dalla Calabria, Osvaldo lascia Buenos Aires per andare ad abbellire le ville delle star di Hollywood e in breve tempo con la sua anima, col suo cuore arriva a suonare anche alla Casa Bianca. Di giorno ha un lavoro per mantenersi, di notte ha la musica, finché questa diventa la sua “casa” al servizio dei più grandi artisti e ballerini che accompagnerà col suo inconfondibile suono.

La nostra rubrica ha raggiunto Osvaldo oltreoceano, un viaggio lungo, proprio come quello del Bandoneon, reso oggi veloce ed immediato dalla tecnologia. Osvaldo è ad Atlanta con la sua famiglia e ci ha aperto il suo cuore con la sua musica:

“Mi ricordo, a casa dei miei nonni a Buenos Aires, quando arrivavano musicisti da ogni dove e suonavano a lungo quasi tutti i giorni. Io ero affascinato e a 13 anni mi innamorai del Bandoneon e mio padre me ne comprò uno usato, di seconda mano, ed è lo stesso con il quale ancora oggi suono e col quale ho accompagnato tutti i grandi artisti.

Ho viaggiato tanto con questo strumento, tanta vita e tante vite, a volte è come se dormisse con me, abbiamo girato tutto il mondo, Argentina, America, Europa…con lui ho cercato di comunicare quel ventaglio di sentimenti ed emozioni che solo il tango racchiude nei suoi testi e nella sua musica.  Quando si apre il suo mantice, si apre il mondo del tango e delle emozioni. Ho suonato l’esilio che questo strumento porta con sé e oggi più che mai parla e suona di esilio, un esilio muto.

Manca la comunicazione oggi, e soprattutto manca la comunicazione che l’arte nelle sue varie forme racchiude ed evoca nelle persone.

Quando suono in un concerto, in una milonga, spesso sono solo senza accompagnamento: cerco di trasmettere il sentimento, l’emozione, guardo i ballerini, li osservo e li vedo entrare in empatia col suono di questo magico strumento.

Avverto anch’io questa sorta di esilio forzato, non suono da troppo tempo per la gente, esercitarmi da solo non è la stessa cosa, manca il dialogo, mi manca tutto, sono triste, anche se trascorro una vita serena e semplice con la mia famiglia. Ma sto male dentro, in un esilio dell’anima, anch’io sono “cerrado”, chiuso in me stesso, non è vita questa.

Certo che è possibile continuare senza tango: è dentro di me da tutta una vita e li rimane, ma quello che rende unico questo ballo è la possibilità di “compartirlo”, di condividerlo e viverlo con gli altri e per gli altri. Il suo segreto è l’ascolto reciproco. Per questo manca tutto. È come se mancasse una forma di nutrimento. Per noi musicisti soprattutto, la musica vive dell’applauso, di questa forma di riconoscimento delle persone, è il nostro cibo.

Posso dirti che “Yo me quiero morir tocando”, vorrei morire suonando, ma la vita sarà più forte, torneremo a ballare e sarà tutto come prima. “Volveremos como antes, no pasarà nada” torneremo come prima, sarà come se non fosse successo nulla e ci ritroveremo tutti dove ci siamo lasciati!”

Come si può chiedere a un musicista come Osvaldo Barrios quale è il suo tango preferito?

Si osa la domanda con un velo di timore di non avere una risposta…ma la risposta arriva, nutrita dal suo cuore che corre ai ricordi, perché tutto può succedere nella vita, tutto può andarsene via, ma non i ricordi.

Il suo brano del cuore è proprio Cuando tallan los recuerdos: quando i ricordi ti tagliano dentro, perché un ricordo ti taglia l’anima, come una lama che ti procura una profonda ferita e poi te la riapre.

È un brano struggente composto da Rafael Rossi e scritto dal “poeta del tango” Enrique Cadicamo nel 1943. Lo ascoltiamo nell’ultima interpretazione di Osvaldo del gennaio 2020 prima che tutti noi fossimo inchiodati da questo lungo esilio.

Un caro abbraccio e siate felici!

Video grazie alla Zotto Tango Academy Venezia – Gotan Club – @zottotangovenezia, Miguel Zotto y Daiana Guspero.

https://www.facebook.com/zottotangovenezia/videos/602435093909890/

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