Il nostro viaggio alla scoperta del grande mondo dell’insegnamento della danza classica ci porta oggi ad analizzare un argomento, nonché una fase del percorso formativo di un danzatore, che ritengo di straordinaria importanza: gli anni di propedeutica.
Un primo luogo comune, purtroppo molto diffuso, è quello che considera la propedeutica un ambito di insegnamento più semplice e, conseguentemente, meno importante; sulla scia di questa errata convinzione, è frequente trovare scuole in cui i corsi propedeutici sono affidati alle allieve dei corsi avanzati che affiancano le loro insegnanti in qualità di assistenti, ma che non hanno alcun percorso formativo da insegnante a supportarle nella gestione dei piccoli allievi.
Io stessa ho iniziato come assistente, sotto l’attento monitoraggio della mia insegnante storica, Marisa Caprara; grazie ai suoi preziosi consigli e spinta dall’urgenza di formarmi per arrivare preparata a lezione, ho affrontato da subito un percorso formativo approfondito, che mi ha messo nelle condizioni di relazionarmi, non solo dal punto di vista tecnico, con questa fascia d’età.
Gli allievi dei corsi propedeutici solitamente non sono soggetti a una selezione preliminare che ne valuti le attitudini fisiche e artistiche; l’insegnante di propedeutica ha a che fare con un gruppo di allievi vario ed eterogeneo, in cui ogni bambino ha la propria storia, le proprie necessità e le proprie motivazioni che lo hanno portato a iscriversi a un corso di danza classica.
Nella mia esperienza di insegnante, ho lavorato molti anni con bambini dai 5 ai 10 anni, percependone i bisogni, le paure, l’entusiasmo talvolta incontrollabile, l’energia positiva, l’affetto, ma anche la noia per una disciplina che non avevano scelto o lo sconforto per delle difficoltà tecniche apparentemente insormontabili.
L’insegnante di danza propedeutica è prima di tutto un educatore e, in questa veste, ha il dovere di capire ogni allievo, creando con lui un legame di fiducia reciproca che lo conduca a valorizzare al meglio le proprie attitudini e a migliorare le proprie carenze in modo armonioso e non forzato.
È una missione tutt’altro che semplice e che, come tale, non deve essere sottovalutata.
Ne parliamo con Letizia Fabbrucci, da anni docente dei corsi propedeutici della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, grande maestra e amica, donna di straordinaria sensibilità e preparazione.
Cara Letizia, un insegnante dei corsi propedeutici lavora con un materiale umano acerbo, impreparato fisicamente e mentalmente a una disciplina complessa come la danza classica. Quali sono le difficoltà più evidenti che un insegnante deve affrontare per riuscire a lavorare in modo proficuo con i piccoli allievi?
I piccoli allievi si approcciano al mondo della danza in modo del tutto inconsapevole. Qualcuno è spinto dai genitori, o dall’amica/o che ne parla con entusiasmo; dall’amore per la musica o per il movimento. Qualunque sia la molla iniziale, sono effettivamente impreparati a ciò che li aspetterà.
La difficoltà maggiore consiste proprio nel mantenere l’entusiasmo e la loro spontaneità e incanalarle con pazienza e destrezza nel “regno” della disciplina. Le modalità per ottenere dei risultati sono molteplici; non esiste una formula vincente per tutti. La classe è come una piccola orchestra: deve interagire e raggiungere degli obiettivi comuni, ma non dimentichiamo che ciascun “strumento” è differente dall’altro con caratteristiche e sensibilità diverse.
“La classe è come una piccola orchestra” in cui ogni componente dà un apporto fondamentale e personale alla realizzazione di un obiettivo comune. Mi capita talvolta di lavorare con dei corsi di bambini in cui tutto funziona, in cui ogni allievo, indipendentemente dal proprio livello tecnico, rema nella stessa direzione degli altri e, conseguentemente, i risultati dell’intera classe e dei suoi componenti non tardano ad arrivare. In questi casi, il piacere di essere a lezione è reciproco e si percepisce vivo anche solo mettendo piede nell’aula: a migliorare non sono solo gli allievi, ma siamo anche noi insegnanti, che cresciamo con loro e che da loro traiamo nuovi stimoli e motivazioni. Quando si ottiene questo allineamento perfetto di condizioni, il nostro lavoro sembra quasi semplice.
Sembra, perché in realtà dietro ogni obiettivo si nasconde un lavoro approfondito e minuzioso, che necessita attenzione e cura per i dettagli.
Pensando alla programmazione di un anno accademico, gli obiettivi da raggiungere sono numerosi e spesso il tempo non è sufficiente ad affrontarli tutti; cosa non può mancare all’interno di una lezione di propedeutica?
Spesso si entra in sala con un progetto ben preciso, ma dopo pochi minuti si decide di stravolgerlo; potrebbe essere successo qualche episodio che ci fa optare per un piano B. Ciò non toglie che bisogna avere le idee molto chiare: una griglia dentro la quale muoversi con fluidità, ma ben definita.
Sicuramente è necessario svolgere almeno un esercizio per ciascun campo di lavoro: Spazialità, Ritmica, Tecnica e qualche elemento Espressivo/Creativo. Nel corso della lezione si può dare più spazio a un campo piuttosto che a un altro, non c’è una regola precisa. Saranno l’esperienza e la sensibilità dell’insegnante a fare le scelte più opportune.
Quali sono i giusti canali di comunicazione per creare un rapporto di fiducia reciproca con i bambini?
Anche i canali di comunicazione sono molteplici: il Canale Verbale e quelli Non Verbali. Ci si osserva reciprocamente (insegnante/allievi-allievi/insegnante), sia lo sguardo di un bambino che quello della maestra possono essere molto eloquenti. Il tono della voce, il tatto, la distanza che si interpone tra allievo e insegnante fanno parte di un rituale personalizzato volto a ottimizzare i risultati. Il “tocco” per esempio, deve essere sempre rassicurante e fornire indicazioni precise; in questo periodo particolare è venuto meno tutto questo. Abbiamo dovuto solo verbalizzare, ma la nostra verbalizzazione deve essere incoraggiante, chiara ed efficace. Siamo stati privati della maggior parte dei nostri strumenti, ma come sempre succede, si sviluppano capacità alternative.
Quanto è importante il legame affettivo che si crea tra maestra e bambino ai fini della sua crescita tecnico-artistica? Come deve essere gestito questo legame?
Il legame tra le parti è inevitabile e sacrosanto; non deve però diventare iperprotettivo o esclusivo. Con gli occhi lucidi e l’emozione nel cuore, un buon insegnante lascia volare fuori dal nido i propri allievi. La consapevolezza che abbiamo piantato un piccolo semino dentro di loro è già una grande soddisfazione (e un’immensa responsabilità!!!).
Insegnare non è un lavoro, è un atto di generosità, si è strumenti di crescita. Anni fa, si iscrisse a un mio corso una bambina che aveva fatto uno stage con me; quando mi vide, disse: ”Io ti ho già usata!” Come darle torto!
Con questo simpatico e verissimo aneddoto, ringraziamo Letizia per la disponibilità e la ricchezza dei suoi consigli.
È, quindi, compito di ogni buon insegnante farsi “usare” dai propri allievi, cercando di offrire tutto quel bagaglio tecnico, artistico e umano necessario a consentire loro di spiccare il volo verso nuove difficoltà e nuovi traguardi.
Personalmente, ho sempre vissuto con un filo di malinconia il momento del distacco, del passaggio dei miei allievi ai corsi accademici; lasciar andare quelle che da stupende pietre grezze erano diventate veri gioielli, è sempre stato difficile. Allo stesso tempo, la consapevolezza di aver dato loro le basi per brillare è sempre stata la più grande delle gratificazioni.