Eccoci qua, in questa manciata di giorni che sentono la responsabilità delle aspettative, dei desideri, dei progetti. Il tempo è una dimensione relativa, come ci ha insegnato Albert Einstein, eppure continuiamo a mettere segni sul calendario, investendo il tempo del potere di tirare una linea e ripartire su un nuovo foglio di carta pulito, immacolato, ma questa è solo una nostra fantasia, una proiezione della nostra mente. I primi giorni dell’anno sono giorni come altri, questo foglio di carta bianco non possiamo trovarlo all’esterno, nessuno ce ne fornirà uno. Lo spazio vuoto si può solo contattare all’interno di noi stessi, nella nostra mente e nel nostro cuore.
Ma come è difficile trovarlo, questo vuoto, in fondo ad un cassetto nella stanza segreta che dimora negli abissi di noi stessi, sommersa da un accatastamento di convinzioni, false certezze, condizionamenti sociali, religiosi e familiari, tonnellate di informazioni accumulate nel tempo, pregiudizi. Siamo accumulatori seriali, questa è la verità, ci piace tenerci tutte queste cose ammucchiate nei nostri scantinati interiori, ad accumulare strati di polvere, e ce le teniamo lì perché ci danno sicurezza. Nella nostra visione di cittadini contemporanei che vivono nel benessere capitalista, possedere tanti oggetti è sempre meglio che avere i depositi vuoti, persino se si tratta di oggetti inutili che occupano solo spazio.
Credo che invece questo tempo che stiamo vivendo ci stia invitando a rivalutare, a lavorare sul nostro attaccamento alle cose ordinarie, alle abitudini, ci stia portando a osservare ciò che diamo per scontato per capire se davvero si tratta di qualcosa di importante o di qualcosa di cui possiamo disfarci, senza rancore.
In Giappone gli ultimi giorni dell’anno sono utilizzati per fare grandi pulizie in casa, evento a cui partecipa tutta la famiglia, come un rito che si realizza insieme. Il rito di ōsōji, che vuol dire letteralmente ‘grandi pulizie’ (particolarmente praticato dagli uomini e dalle donne di teatro), seguito dal gesto di decorare la casa con ornamenti benauguranti, serve ad accogliere il nuovo anno che arriva, ma per farlo ‘entrare’ c’è bisogno di creare uno spazio che possa accoglierlo. Pulire e riorganizzare gli spazi abitativi, liberandosi degli oggetti non necessari, pare proprio abbia un potere magico, che in qualche modo aiuta a propiziare lo stesso nel paesaggio interiore, come se lo spazio interno fosse un riflesso di quello esterno (e viceversa).
Il vuoto è un concetto che ritorna spesso nella cultura asiatica, specie in Giappone, patria dello Zen. Sunyata, questo è il nome che viene dato, nel buddhismo zen, alla vacuità, a quello stato in cui nulla si condensa in una massiccia presenza, e che offre a tutto ciò che si ostina a chiudersi in sé stesso la possibilità di espandersi in una vastità. L’arte nipponica è intrisa di questi concetti, alcuni dipinti sono così rarefatti che i profili dei soggetti fluttuano in un esteso nulla, resi solo con qualche colpo di pennello.
Credo che nei prossimi mesi molti di noi si troveranno nella posizione di dover ripensare ai propri progetti, modificare le proprie abitudini, imparare a vivere in una esistenza forse più liquida di ciò che immaginavamo (citando il concetto chiave presentato da Bauman al mondo), navigando a vista in acque a volte turbolente che potranno allontanarci dalla terraferma, obbligandoci a percorsi non lineari per riuscire ad arrivare salvi alla meta, ma questo ci farà meno paura se non guardiamo al vuoto con orrore, se -anzi- troviamo in esso un riparo dall’opulenza mentale a cui siamo normalmente avvezzi.
L’universo danza parte avvantaggiato perché non abbiamo molto da perdere ormai, ma molto da guadagnare se riusciamo a disfarci di questo carrozzone polveroso che ci trasciniamo dietro da decenni, se come famiglia allargata, proviamo insieme a realizzare il rito dell’ōsōji, creando le condizioni migliori per invitare il nuovo che arriva. Finché la danza italiana, che si porta dietro anche il peso della tradizione e della storia perché, non dimentichiamolo, il balletto ha avuto proprio i suoi natali in questa terra benedetta, non riuscirà a togliersi di dosso questo pesante fardello e aprirsi ad una visione finora inimmaginabile del futuro, penso che la situazione non potrà che ristagnare sempre di più. In ogni parte della filiera produttiva della danza, dalla formazione alla scena, i vecchi schemi, i privilegi per pochi, la visibilità sempre agli stessi, la politica interna al settore, il mancato riconoscimento delle figure professionali, esiste un nucleo denso che va liberato, proprio perché presenta una ostinazione a chiudersi in sé, ad auto-riferirsi, a citarsi addosso. Non c’è ricambio di ossigeno ma solo odore di stantio e un senso di soffocamento che penso tutti voi sentiate. È giunto il momento di agire o di perire, siamo ad un bivio e l’esito di questa prova dipende solo da noi.
La cosa bella è che non c’è bisogno di aspettare una particolare data dell’anno per poter intraprendere queste azioni. Il tempo non ha il potere di agire, o di operare delle scelte, solo noi ce lo abbiamo: entriamo nella casa della danza, quindi, che si trova in uno stato di grande disordine, confusione, sporcizia, trasandatezza, e cominciamo a lavorarci su, ognuno come può. Si sposta un calzino dal divano alla lavatrice, dove troveremo dei piatti sporchi da portare nel lavello, qui si trova un vaso che possiamo usare per metterci dentro dei fiori e così via. Un gesto alla volta, ogni giorno, fino a che la casa non sarà tornata in ordine e fino a che non ci saremo liberati di tutto ciò che non solo non ci serve, ma che persino impedisce a quello spazio di essere visto e vissuto. Questa casa è nostra, e se non è accogliente è solo perché non ce ne siamo più occupati per molto, troppo tempo. Ci siamo ripetuti tante volte a parole le possibili azioni da intraprendere, ma poi la procrastinazione ha prevalso, la pigrizia, e forse anche un mancato senso di appartenenza a questo luogo.