In questi giorni vedo passare sulle mie bacheche social diversi annunci pubblicitari che recitano: “dimagrisci con lo yoga” oppure “perdi peso con la dieta vegana”. Sorvolando sul fatto che in entrambi i casi si stratta di filosofie di vita, nel caso dello yoga di insegnamenti antichi e preziosi a tal punto da essere rimasti segreti per molto tempo, accessibili solo agli iniziati, credo che in questa parte di mondo si sia proprio perso il senso della bussola riguardo alla narrazione del corpo.
L’aumento esponenziale di questo tipo di annunci evidentemente è dovuto al momento post natalizio, in cui tutti hanno smesso di preoccuparsi di cosa mangiare al cenone e cominciano a rivolgere le proprie attenzioni alla prova costume, ma già questo ce la dice lunga su quanto la nostra società viva in un costante sbilanciamento verso una polarità o l’altra. Ci si abbuffa fino a scoppiare e poi si digiuna per recuperare, ma per il corpo questo non ha alcun senso, anzi, è solo una enorme fonte di stress.
Magrezza oggi è sinonimo di bellezza, forse perché in questa parte di mondo così opulenta e benestante, in cui possiamo mangiare quando vogliamo e cosa vogliamo, una società afflitta da obesità infantile, e anoressia adolescenziale, essere magri ha acquistato un valore estetico assoluto, una caratteristica che ci viene proposta costantemente da media. Così come, per contro, vedo modelli alternativi, che si propongono come rivoluzionari rispetto a questa tendenza, giovani donne oversize che praticano yoga o danza, oppure che si mostrano all’occhio indiscreto della camera in abiti succinti, in articoli corredati da titoloni in cui dichiarano di amare il proprio corpo così com’è.
Sono ovviamente felice di saperlo, e spero sia davvero così per loro, ma ho come la sensazione che la faccenda sia un po’ più complessa di così, che abbia a che fare con la dissociazione tipica dell’uomo contemporaneo, che tratta il corpo come un orpello estetico e non come la casa, il tempio in cui dimorare. Si è perso il senso del sacro per tutto ciò che riguarda il nostro corpo, per questo si è giunti al paradosso tra chi lo considera nulla, o peggio, qualcosa di impuro di cui non parlare e da non esplorare; mentre dall’altra parte c’è chi lo venera, ma come un feticcio, quindi via libera a uomini di acciaio con addominali scolpiti da mostrare nelle foto, a costo di farsi scoppiare le palle degli occhi dallo sforzo, e donne filiformi con le ossa che affiorano come dei levrieri.
Siamo ossessionati dal corpo, perché abbiamo perso il nostro dialogo interiore, e quindi ci affanniamo alla ricerca di qualcosa che ci faccia sentire lì, che ci confermi in ogni momento che il nostro corpo esiste davvero, che è parte di noi, e la strada più facile è quella di omologarsi al gusto, di anelare per l’approvazione dell’altro e temerne il giudizio. È molto più importante piacere che non piacersi, insomma, usando questa specie di claim.
Il concetto di bellezza è qualcosa di molto liquido, che muta, cambia da territorio in territorio e nel corso delle epoche. Tempo fa è stato fatto un esperimento secondo me molto interessante: è stata inviata l’immagine di una ragazza, in una posa semplice, neutra, a diversi artisti del foto ritocco in giro per il mondo, chiedendo loro di lavorarci per renderla più attraente. Il risultato è stato un caleidoscopio variopinto di forme e colori, da cui si evince che il concetto di bellezza non è universale, ma ogni cultura ha la sua idea a riguardo. Aggiungo anche che la bellezza comprende anche altri fattori che esulano dall’aspetto puramente estetico, come ad esempio il tono della voce, le movenze, la brillantezza del pensiero.
Ad ogni modo, se di sola estetica vogliamo parlare, basta entrare in una qualsiasi collezione museale per rendersi conto quanto nel tempo la bellezza abbia mutato forma: da Rubens a Picasso, da Botticelli a Michelangelo, la bellezza ha mille forme, e pure resta sempre fedele a sé stessa. Se non siete amanti dell’arte potete sfogliare le vecchie foto di moda per ammirare le prosperose curve delle modelle del passato, con quelle vite così sottili da poterle avvolgere con un braccio, i seni e i fianchi rotondi, per poi osservare l’arrivo di Audrey Hepburn, o Twiggie, modificare totalmente la tendenza, fino ad arrivare a Kate Moss e alla sua magrezza un po’ malata che ha aperto la strada a quello che vediamo oggi.
Il mio pensiero a riguardo è che tutto questo non ha niente a che fare con la bellezza del nostro corpo, quella profonda, che è data dal mantenimento di questo dialogo interiore, dall’integrità della persona, dell’accettazione di sé. La bellezza di un corpo riguarda anche la salute, l’efficienza, la sua sacralità, la connessione spirituale che abbiamo con esso, e tutto questo nel modo in cui il corpo viene ascoltato, utilizzato consapevolmente nella comunicazione con l’altro, e tutto ciò è totalmente assente, tagliato fuori. Una omissione che ci costa cara, che ci fa rimanere sulla superficie delle cose, curando la confezione e non il contenuto di ciò che siamo.
Credo non sia retorico il mio pensiero, non è soltanto la vecchia sfida tra ‘essere’ e ‘apparire’, perché noi appariamo per ciò che siamo, se siamo vuoti dentro allora appariremo così anche all’esterno, persino nella migliore delle confezioni possibile.
Riprendiamoci la maestosità dei nostri corpi, amiamoli, curiamoli, manteniamoli al meglio, perché questo è il solo strumento che abbiamo per agire nel mondo, per portare il nostro messaggio e le nostre azioni, abbiamo bisogno di sentirci integri, potenti, vitali. Abbiamo bisogno di amarci, non di piacerci ma di amarci, anche per impedire che qualcuno dall’esterno ci imponga la sua visione rispetto a quanto dovremmo pesare o quanti centimetri di circonferenza le nostre cosce dovrebbero avere.
Non si tratta di un facile percorso, neanche lineare, ma credo sia necessario, per tutti e specialmente per le nuove generazioni. Se non torniamo ‘dentro’ ai nostri corpi, subito, quella che verrà per la nostra specie sarà una evoluzione molto difficile e probabilmente il suo esito non sarà brillante