La lezione di danza classica ha mediamente la durata di un’ora e mezza.
Se si tratta di una classe professionale in sede lavorativa, che quindi ha come obiettivo quello di prepararsi alla giornata, può anche durare meno, con spiegazioni ridotte al minimo e un ritmo costante e sostenuto che consenta ai danzatori di accendere i motori.
Ma se si parla di lezioni di formazione, invece, si potrebbe manifestare l’esigenza di un tempo più lungo a disposizione, per dare spazio a spiegazioni importanti, alla trasmissione di strumenti indispensabili per consentire all’allievo un progresso consapevole e duraturo nell’apprendimento della danza.
Personalmente non sono tanto dell’idea che basti ripetere un movimento fino a che non si riesce ad eseguirlo alla perfezione (un concetto-chimera, per quanto mi riguarda, quello della perfezione, ma magari ne scriverò un’altra volta), o meglio, questa può essere una delle strade possibili, ma non credo sia la più efficace. Penso invece che essere a conoscenza dei principi che muovono il corpo umano, dei muscoli necessari per effettuare una data azione con precisione e la consapevolezza delle peculiarità del proprio strumento, siano elementi che sostengono il danzatore nell’acquisizione di abilità specifiche, in modo permanente e anche in un tempo più breve rispetto alla mera ripetizione.
La ripetizione per imitazione di un modello è un apprendimento che prova ad andare dalla superficie (ci si mette addosso una forma prestabilita) verso la profondità, ma che raramente ci arriva davvero, mentre l’approccio di cui parlo è un processo che parte dall’interno e affiora alla superficie con qualità, impeto ed efficacia, perché si basa su comprensione, digestione e assimilazione delle informazioni.
Per questo motivo, la lezione di novanta minuti mi sta un po’ stretta, ho come la sensazione di dover sempre correre nel tentativo di portare gli allievi ad eseguire tutti gli elementi previsti in questo tipo di training (dal pre-sbarra ai grandi salti, per intenderci), cercando di ricavare anche momenti utili per trasmettere queste importanti informazioni in modo chiaro ed esaustivo. Ad ogni lezione mi sento come se fossi alla finale olimpica dei centro metri, anche le volte in cui magari abbiamo la lezione già pronta e si cammina su strade già battute: una corsa folle nel tentativo di trovare un momento per esplorare la partenza delle pirouette, ad esempio, o la loro conclusione, dare chiarimenti riguardo alla sintassi e al syllabus, acquisire la tecnica migliore per spingere il corpo nel salto e atterrare in sicurezza o – infine – tutto ciò che ha a che fare con la coordinazione e che spesso viene lasciato alla ripetizione coatta del movimento, in attesa che magicamente qualcosa ad un certo punto accada. Noto spesso, invece, che ci sono ambiti in cui non accade nulla se non c’è analisi e comprensione, persino una semplice coordinazione di un braccio nel grand plié, nonostante le tante volte in cui abbiamo preso del tempo per osservare questo movimento, diventa un dettaglio difficile da eseguire correttamente.
Ebbene, ogni volta che mi concedo di spendere un momento da dedicare a questa preziosa pratica di analisi i minuti sembrano volare, un po’ perché per dare spiegazioni complete occorre tempo, ma anche perché ad ogni spiegazione è come aprire un vaso di pandora e cominciano a fioccare domande. Questa è una ulteriore conferma della necessità di questo tipo di lavoro, che non può sostituire la lezione, ovviamente, ma che andrebbe portato avanti parallelamente nella gestione del programma. Purtroppo, però, quando lo faccio alla fine mi devo rassegnare a sacrificare qualcosa, rinunciare ad uno o più esercizi, creando una frattura in quella sequenza di elementi che ha senso solo se attraversata nella sua interezza, dall’inizio alla fine. Come potrei giungere al grande salto senza prima aver assegnato gli esercizi preparatori per poterlo eseguire con la giusta energia esplosiva e le gambe pronte per accogliere il pavimento negli atterraggi?
Allora a volte mi tappo gli occhi e le orecchie e lascio correre anche su questioni per me basilari, lo devo fare per consentire continuità alla lezione, specie nei mesi freddi dove fermarsi anche per poco rende difficoltoso poi spingersi oltre. Li lascio sbagliare, sia dettagli tecnici che coreografici, senza concedere loro un secondo tentativo, se per quel giorno l’obiettivo è completare la classe, e ogni volta sento uscire dalla mia bocca frasi come: “uhm, non era come avrei voluto, ma andiamo avanti, ci riproverete la prossima volta”. Ho dovuto imparare negli anni a gestire questi conflitti interiori e dare spazio solo a ciò di cui loro hanno bisogno in quel momento.
Non so se anche tra voi lettori e lettrici c’è qualcuno che prova le stesse sensazioni, il tempo è come una coperta troppo corta con la quale bisogna solo decidere cosa coprire, ed ogni minuto diventa una preziosa occasione da non sprecare e utilizzare con intelligenza e prontezza.
Personalmente credo che un buon tempo per una lezione formativa di balletto sia un’ora e tre quarti, con quel quarto d’ora in più che darebbe un po’ di respiro e lo spazio per introdurre dei momenti di approfondimento, ma anche per dare la possibilità di ripetere la stessa sequenza una seconda volta, per aggiungere qualche virtuosismo finale in coda o affrontare lo studio di elementi nuovi dedicando loro abbastanza tempo da sedimentare qualcosa nel corpo.
Al momento, nella mia ora e mezza a disposizione, alleno la mia capacità di dare un ritmo e mi tengo questa sensazione di incompletezza che mi pervade ogni volta che arriviamo all’applauso finale, come se non fossi riuscita a dare loro tutto ciò che avrei voluto. Cerco di dare valore a ciò che facciamo anziché guardare a quello che non siamo riusciti ad affrontare, e ogni tanto decido di fare qualche passo indietro nel programma per verificare che tutto ciò che è stato fatto fino a quel momento sia stato metabolizzato.
E voi? Qual è il vostro segreto per riuscire a fare tutto?