Nei giorni scorsi il governo Meloni ha varato il decreto-legge 162 del 31 ottobre 2022, che punta, tra le varie misure, a contrastare i rave party. In realtà, questa parola non compare da nessuna parte nel decreto che punisce qualsiasi manifestazione o occupazione di suolo pubblico o privato di più di 50 persone che ha il potenziale di arrecare pericolo all’ordine pubblico. La norma sta suscitando dibattiti e polemiche proprio perché ritenuta da alcuni troppo generica. Al di là di cosa questo decreto dimostri o nasconda, quasi ogni giorno ci sono dei rave che non arrecano pericolo all’ordine pubblico tanto che la gente non sa nemmeno quando avvengono. Invece ha fatto ben presto il giro la notizia di rave cristiani organizzati dall’ex dj don Michele Madonna, parroco del quartiere di Montesanto di Napoli. Durante le feste che hanno magnetizzato anche l’attenzione di Papa Francesco, le musiche cristiane, remixate in chiave disco e rock e alternate a preghiere, vengono ballate fino a tarda notte. Forse ora anche questi incontri potrebbero essere censurati, seppure in nessun punto del testo si parla nello specifico di “festa”, di “musica” e tantomeno di “danza”. Don Michele Madonna afferma:
“È una serata nella quale vogliamo divertirci, ballare, cantare e stare insieme. Sarà una vera e propria discoteca all’aperto nell’Istituto Bianchi nel centro di Montesanto. Tutto gratuito, compresa la consumazione (panino e bibita). Ne vale veramente la pena, vogliamo per una volta, lasciare i pensieri e lo stress che accompagnano questo periodo, e dedicare del tempo alla gioia di stare insieme e al divertimento.”
Le misure previste dal decreto potrebbero trattenere e inibire la gioia della condivisione e dello stare insieme che spesso la danza garantisce o di cui ne determina soltanto le condizioni. La break-dance, l’hip-hop, la disco dance trasformano piazze deserte o quartieri periferici in luoghi teatralizzati, palcoscenici di una ritualità giovanile che si nutre proprio dei ritmi martellanti di queste danze, dove si va alla ricerca di un’estasi raggiunta senza l’assunzione si sostanze stupefacenti, ci si augura. Ritrovarsi insieme in un luogo, quasi ipnotizzati dalla musica ad alto volume, è la condizione perché possa verificarsi, anche senza il contatto fisico, una sintonia fisica, intellettuale o emotiva fra i corpi in movimento, coinvolti nel ballo che genera nuove forme di coinvolgimento sociale seppure, a volte, ancora legato ai suoi riti di competizione. Tutt’oggi, le danze di strada odierne – hip-hop, funky, break – “cercano di perpetuare l’originario ingrediente di protesta sociale e razziale, che ha dato vita a queste danze, come elemento di coesione ‘gruppale’ nella giunga delle megalopoli post-moderne.”
Tra le strade, oltre che in palcoscenico, la danza assume una funzione di pacificazione sociale e diviene espressione di esigenze morali o pratiche, strumento di educazione, codice di comportamento e mezzo di comunicazione sociale, rappresentando un documento di civiltà pregno di valori umani. La scrittura di questo foglio potrebbe essere obliterata, se anche indirettamente, dal primo documento che usa i rave, forse, per uno scopo più sinistro. Non sappiamo quali saranno gli esiti dell’applicazione di questa norma sulla quale, in questa sede, non vogliamo interrogarci più di quanto abbiamo già fatto. Pertanto, di queste occasioni di incontro “limitiamoci” a cogliere il loro potenziale di fratellanza, tanto propugnata da Papa Francesco durante tutto il suo pontificato, di socializzazione e di empatia a cui la danza contribuisce sicuramente per le sue capacità originarie di aggregazione e di regolazione del nostro andare autonomo, tenendo presente i limiti della nostra libertà, porgendoci in una posizione di continua e rapida negoziazione con le scelte dell’altro, rendendoci responsabili del nostro libero agire danzante, in un tempo di dissipazione della comunità e di individualismo sfrenato.