Nell’ambito del Romaeuropa Festival 2022, lo scorso 19 novembre, presso la Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica “Ennio Morricone” è andato in scena New Creation, il nuovo lavoro di Bruno Beltrão con la sua compagnia Grupo de Rua de Niterói. Una danza impulsiva, compulsiva, frenetica, energica si propaga su un palcoscenico vuoto, delimitato soltanto da un fondale nero, dal paesaggio sonoro costruito da Lucas Marcier/ARPX e da Jonathan Uliel Saldanha e dai tagli di luce di Renato Machado.
Un minimalismo scenico che rende ancor più incisivi i movimenti di protesta e di resistenza che non descrivono ma commentano con mutevoli citazioni la realtà politica del Brasile martoriata dalla violenza delle pratiche repressive adottate dalla destra brasiliana. Fremiti di timore, collassi di corpi che sembrano non sostenere il proprio peso o forse quello della realtà in cui vivono, capi sostenuti da altre mani, acrobazie di gambe che tendono verso l’alto per poi cadere al suolo con violenza, aneliti di speranza soffocati dall’inevitabilità di una situazione angosciosa che concede poche via di scampo. Questi sono i momenti che maggiormente contraddistinguono la coreografia che fonde il vocabolario della danza contemporanea con quello dell’Urban Dance.
I corpi degli otto danzatori e delle due danzatrici compongono immagini fugaci che non manifestano un significato unico ma lasciano allo spettatore la libera scelta: decifrare ogni momento oppure abbandonarsi a questo gioco di costruzione e decostruzione che nella sua vaga contestualizzazione non si configura come un momento ludico ma di assoluta precarietà. Forse, l’eccessiva indeterminatezza e la brevità della pièce costringono lo spettatore a una paralisi “intellettuale” che impedisce nell’immediato la formulazione di un pensiero, ma che rispecchia anche l’immobilismo della situazione evocata sul palcoscenico e sulla quale il coreografo si interroga:
«Come rimanere in movimento quando la situazione sociale e politica di un paese sembra paralizzare tutto come una nebbia velenosa; quando la persecuzione e l’odio sembrano dividere e soffocare la libertà e la solidarietà, l’uguaglianza e la democrazia?»
Nessun rimedio, nessun riparo per i dieci danzatori che vestiti prevalentemente di nero (solo una danzatrice indossa una canotta e un pantalone trasparente rosso e un altro danzatore una tunica bianca) si fermano al lati del palcoscenico, schiene contro schiene e con i volti e gli occhi contro i teli neri. Non sembra una danza di lutto, piuttosto un movimento che si attesta come atto politico non privo di tenerezze e carezze. New Creation richiama sentimenti contrastanti in sintonia con le ambiguità di qualsiasi situazione instabile che grida l’urgenza necessaria di essere disinnescata e per cui, però, serve prenderne consapevolezza, anche attraverso la danza.
Crediti fotografici: Wonge Bergmann