Lia Courrier: “Le dichiarazioni di Sala sui tagli alla cultura e il silenzio assordante della categoria”

di Lia Courrier
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Siamo prossimi alla fine di quest’anno e quindi si comincia a fare bilanci.

In queste settimane la mia attenzione è stata richiamata dall’annuncio di nuovi tagli alla cultura operati sia dalla Regione Lombardia che dal Comune di Milano, che andranno a colpire pesantemente le realtà più importanti e di prestigio, come ad esempio Teatro alla Scala e Piccolo.

Sono consapevole che questi colossi non siano rappresentativi del panorama culturale enormemente vasto e variegato che popola l’offerta culturale del territorio, ma sarete d’accordo tutti che se tolgono a loro, figuratevi agli altri che già da tempo ricevevano solo le briciole di questi fondi.

Riporto da La Stampa:

“Il Teatro alla Scala di Milano passa da un finanziamento di 3.308.000 euro a 1.838.600, pari a -45%. Sempre restando in ambito milanese, – 55% di fondi anche al Piccolo Teatro da 1.891.000 euro a 850.950. Oltre al Teatro alla Scala, sono colpiti dalla mannaia anche l’Associazione Centro Teatrale Bresciano che passa da 200.000 euro a 90.000, -55%, la Fondazione Teatro Grandi di Brescia, da 120.000 euro 108.000 (-10%), Accademia d’arti e mestieri dello spettacolo del Teatro alla Scala, da 100.000 euro a 92.000 (-8%).”

Beppe Sala, sui pesanti tagli previsti per il Teatro alla Scala che si vanno ad aggiungere agli altri sopra citati, dichiara:

“Ho sentito i sindacati dire della Scala: ‘la cultura non si tocca’. Ma invece il problema è che dovremo toccare un po’ tutto. Non ci sarà alcuna sperequazione nei tagli ma ai sindacati che dicono la cultura non si tocca, io rispondo: allora tocco il trasporto pubblico per i disabili, tocco gli asili? Sostengono i sindacati che sia meglio fare quello per non toccare la Scala?”.

Come si può fare un simile paragone intriso di falso pietismo? I cittadini hanno bisogno sia degli asili che della cultura, sia dei trasporti che del teatro, che discorsi! Perché non tagliare sul costo della politica, piuttosto? Se proprio dobbiamo stringere la cinghia dovremmo farlo tutti, non sempre i soliti, che si decurtino gli stipendi, se siamo in emergenza!

Continua Sala:

“Però questi atteggiamenti per cui ognuno guarda sempre il suo orticello sono sbagliati, perché non è che possiamo sederci ai tavoli in cui uno ha un problema generale e gli altri vedono il loro micro cosmo”.

Orticello, dice lui (sorvolando sul suo eloquio incerto e infantile), quando noi per le mani abbiamo ormai soltanto una miserabile zolla di terra secca e arida, che non possiamo più usare neanche per piantarci i cardi, persino le piante infestanti non riuscirebbero a radicare, di quale orticello parla? Mi pare sia rimasto indietro di qualche decennio, caro Beppe Sala, la situazione del settore è ormai al collasso da diverso tempo e te ne accorgi solo ora che sei costretto a fare dei tagli al Pantheon degli dei, quando sono anni che i teatri più importanti della tua città hanno chiuso.

La cosa che mi lascia attonita di fronte a queste notizie – al di là dei politici dai quali non mi aspetto nulla perché se hanno nicchiato negli ultimi 40 anni non credo possa accadere un miracolo solo perché siamo a Natale – è il silenzio assordante della categoria: a parte qualche sparuta voce che si alza puntuale e precisa, cercando di portare all’attenzione pubblica le istanze che contano (senza troppo successo perché servirebbero molte più voci per fare massa critica, e proposte serie e percorribili) per il resto sembra proprio che agli addetti ai lavori non interessi questo tipo di notizia. Mi piacerebbe sapere da chi oggi si paga le bollette e l’affitto danzando, sempre che esistano ancora di persone con un simile profilo in Italia, il perché questo totale disinteresse a riguardo, non è una faccenda che tocca tutti?
Perché i danzatori non sono tutti in piazza ogni giorno?

Ma la cosa che lacera ancora di più è vedere l’atteggiamento delle celebrità del settore, gli unici ad avere un peso politico e mediatico, far finta di niente: non una dichiarazione, non un’azione degna di nota, nessuno che voglia esporsi per il bene di quell’arte che li ha portati alla fama. A quei pochi che nel recente passato hanno abbaiato come cani rabbiosi, con poche idee e anche confuse, è bastato allungare qualche avanzo per vederli ritornare silenziosi come agnellini.

Qualche giorno fa discutevo con un collega di questa tendenza poco virtuosa di chi molto potrebbe fare e ciò che è emerso da questo scambio è che probabilmente il mestiere della scena fa sviluppare l’ego in modo direttamente proporzionale alla fama (qualcuno lo sviluppa anche senza bisogno di essere famoso, ma questa è un’altra storia) così, quando si assurge alle copertine dei giornali o alle prime serate in televisione, può diventare inconcepibile considerare la causa collettiva più importante dei vantaggi e del prestigio personali. Fatto sta che non esiste una sola personalità influente che in questo momento stia portando avanti una decisa azione di critica nei confronti delle azioni realizzate da Stato, Regioni e Comuni, che potrebbero portare a ennesimi lutti nel panorama artistico e culturale.

Nell’apparente indifferenza dei più, colpo dopo colpo la danza italiana deve incassare queste ferite da cui onestamente non credo si riprenderà (perché diciamolo: se dei tagli saranno fatti dalle Direzioni dei Teatri, indovinate un po’ chi andranno a colpire?), la legge Delega sullo spettacolo dal vivo è stata approvata e rimessa nel cassetto almeno tre volte, ad ogni nuovo governo è come beccare la casella “torna al punto di partenza” al gioco dell’oca, ministri che si succedono facendo solo promesse che ad oggi non sono mai state mantenute.

Confesso che per la causa della danza sto gettando la spugna.
Mi sento come Don Chisciotte con i mulini a vento.

Dopo decenni di comitati, coordinamenti, tavole rotonde, manifestazioni, azioni, flash mob, posso dire con certezza che quello che manca davvero è una coscienza di categoria e un senso di appartenenza ad essa, una volontà di affrancarsi dalle derive narcisistiche che non ci permettono di avere la forza che potremmo nelle richieste legittime che da anni i più consapevoli di noi hanno già messo sul tavolo.

Nel momento in cui scrivo i corpi di ballo rimasti in tutto il territorio sono solo quattro.

Rileggerò questo articolo a dicembre 2023 e spero proprio di non dover aggiornare questo numero con uno più basso.

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