Un capolavoro senza tempo: lo Schiaccianoci di Rudolf Nureyev al Teatro alla Scala

La recensione di Nives Canetti

di Nives Canetti
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Per noi che siamo cresciuti con questo Schiaccianoci negli occhi, rivederlo dopo tanti anni in questi giorni e constatare che è ancora attuale e regge splendidamente al passare del tempo è motivo di grande soddisfazione. E il motivo di questa universalità sta nell’insight che Nureyev trovò in questa storia all’apparenza molto semplice.

Tanto faticoso da concepire per Tchaikovsky, probabilmente per l’assenza di una drammaturgia vera e propria con un atto natalizio per bambini e un secondo atto solo divertissement senza una chiusura vera e propria, Schiaccianoci viene rappresentato nel mondo come una favola natalizia per bambini.

Invece Nureyev ha tolto il lato bambinesco dalla storia: inizia narrando una festa di Natale in casa in un ambiente molto realistico, a partire dalla strada piena di personaggi veri, ma poi nel secondo atto fa svanire  tutto lo zucchero del regno di Confiturembourg, e trova una chiave di lettura che vive nel sogno e non nella fiaba, dove Clara sogna i personaggi della sua vita trasfigurandoli: Drosselmeyer che si trasforma in principe, i suoi genitori trasformati in pipistrelli, i fratelli e le sue bambole che si animano nelle danze di carattere e nei Mirlitons. Per arrivare a lei stessa che alla fine si presenta come una principessa che danza un regale passo due con il suo principe. Ma poi Clara si sveglia, un po’ attonita come tutti noi quando ci svegliamo da un sogno, ci troviamo nella vita vera, più consapevoli e, nel caso di Clara, più adulti.

Facendo quest’operazione in chiave psicologica Nureyev ha reso Schiaccianoci più vero e vicino a tutti noi. E ha dato un senso ad un marshmallow facendolo diventare un capolavoro universale.

Ero giovane a metà anni 70 quando lo vidi la prima volta ballato da Nureyev con Merle Park e poi con Evelyne Desutter alla Scala: mi piacque subito ma mi sembrò sempre molto cupo al confronto delle altre versioni cui ero abituata. Ora con l’età mi è molto più comprensibile: è cupo perché è onirico ma al tempo stesso reale.

Ricordo la Scala di quei tempi e temevo di rimanere un po’ delusa oggi. Invece non è affatto successo: curata da Manuel Legris e da Aleth Francillon, la ripresa scaligera forse accusa l’assenza dell’aura e della presenza scenica immensa degli artisti degli anni passati, ma guadagna in freschezza ed è smagliante nella bravura tecnica nonostante l’estrema difficoltà di una coreografia che non fa nulla per aiutare gli interpreti, anzi. Ho visto il debutto di Agnese di Clemente e di Claudio Coviello: lei è così tanto Clara nel primo atto che all’inizio si fa fatica a distinguerla dai bambini, poi piano piano esce e diventa lo splendore che deve essere nel Grand Pas. Lo affronta con decisione nonostante la giovane età e la terribile difficoltà della coreografia, deve “solo” fare il salto per cui essere è più importante che apparire.

Claudio Coviello è un Drosselmeyer delicato, gentile, non fa paura come faceva Nureyev, un principe bellissimo, perfetto fisicamente in coppia con la Di Clemente, la guida e la sostiene sempre nel partnering. Sicuro nell’intricato stile Nureyev, sempre nella parte, danza con la leggerezza e il legato che ormai gli sono propri.

Bravi tutti i solisti, in particolare Camilla Cerulli e Domenico Di Cristo, petulanti e credibili Luisa e Fritz nel primo atto poi pieni di fuego nella danza spagnola,  Maria Celeste Losa splendida araba con gambe infinite con Gabriele Corrado. Bella Beatrice Carbone con una presenza che si nota nel ruolo della mamma e una buona vis comica nel Trepak. Continuo ad avere qualche perplessità, come in Onegin, sulle parti degli anziani che sono visibilmente ballati da ballerini non ancora senior e che rischiano di diventare un po’ troppo macchiette.

Fondamentale il Corpo di Ballo che ha un ruolo importantissimo e che balla forse le due più belle coreografie di Nureyev in assoluto: il Valzer dei Fiocchi di Neve e il Valzer dei Fiori. Rudi aveva la capacità di muovere i gruppi in scena come pochi altri: i Fiocchi hanno una potenza evocativa unica nei movimenti cristallizzati ma anche svolazzanti, e l’uscita nel manège di temp levé una a una, come i giorni che se ne vanno lenti ma inesorabili per me è da lacrime ogni volta.

Il Valzer dei Fiori ha questa intuizione geniale di far ballare dodici coppie per cui sono dodici passi a due sincroni in scena, con intrecci dinamiche e controtempi di una difficoltà incredibile. E in entrambi il corpo di ballo della Scala si è mostrato ai massimi livelli: affiatati e precisi, lo dico ogni volta e ogni volta fanno un po’ meglio. Sono un vero orgoglio.

Le scene e i costumi di Georgiadis rimangono tra i più belli visti in Scala, solo l’albero di Natale quando diventa enorme non è di effetto come quello della Royal Opera House, ma ha un ruolo decisamente di minor importanza nella storia.

La direzione di orchestra di Valery Ovsyanikov è perfetta per la danza, forse potrebbe essere più cristallina nel carattere e nei colori, ma mi è sembrata giusta nel contesto generale dello spettacolo.

Anche se lo hanno detto in tanti, rivedere dopo sedici anni, e per me qualcuno di più, questo capolavoro di nuovo alla Scala è stato commovente: e come ogni teatro ha un suo Schiaccianoci di repertorio, la Scala dovrebbe mantenere sempre questa versione. Si sente che appartiene profondamente al Teatro e che con Schiaccianoci l’anima di Nureyev Drosselmeyer è ancora un po’ qui, nelle sue quinte.

Lo spettacolo verrà trasmesso il 5 gennaio su Rai5 alle 21.15 e continuerà in teatro fino all’11 gennaio con altri tre cast: Mariani Turnbull, Arduino Tissi, Toppi Del Freo.

https://www.teatroallascala.org/it/stagione/2022-2023/balletto/lo-schiaccianoci.html

Foto Teatro alla Scala / Brescia – Amisano

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