Padroneggiare la tecnica dei giri è forse uno dei grandi scogli che ogni studente di danza classica si trova ad affrontare prima o poi. Persino chi possiede una naturale attitudine a questo tipo di movimento dovrà comunque affinare il gesto tecnico per eseguire correttamente ognuna delle quattro fasi della pirouette: preparazione, partenza, rotazione e conclusione.
Ogni tipologia di giro, dalle pirouette ai grandi giri, sia en dehors che en dedans, ha delle richieste peculiari che devono essere soddisfatte e acquisite con esercizio quotidiano e comprensione (cognitiva e somatica) fino alla costruzione di quelle memorie necessarie ad agire talmente rapidamente da non dover neanche passare attraverso il pensiero: la memoria diventa un istinto che il corpo segue senza dover pensare.
Ancora una volta è la sbarra il luogo in cui si comincia a studiare la tecnica delle pirouette, con lo studio delle varie posizioni in cui poi verrà effettuata la rotazione, certamente, ma ancora di più con l’attenzione rivolta alla postura (qui intesa come corretto allineamento di colonna vertebrale, bacino, controllo della rotazione esterna dei femori e gestione del peso), alla coordinazione e alla forza del sistema schiena-braccia. Senza comunicazione tra la parte superiore e inferiore del corpo non sarà possibile sviluppare quella dinamica necessaria per girare, anche se si rimane in equilibrio abbastanza a lungo da poter consumare una buona tazza di tè mentre si chiacchiera con un’amica.
L’equilibrio da solo non basta, è la dinamica che serve.
Un dettaglio su cui lavoro moltissimo con i miei allievi è la preparazione, quel momento che precede l’effettiva salita in posizione, perché spesso è già lì che manca la vitalità necessaria. Quando ero una piccola allieva, per studiare le pirouette en dehors dalla quinta o dalla quarta posizione, l’insegnante ci faceva eseguire un semplice retiré in relevé senza cambiare direzione nello spazio, per poi concludere nelle posizioni tradizionali in cui normalmente si chiudono questi giri: in quarta allongée o in quinta. Quindi, dopo un periodo ad esserci allenati con questa azione, ci è stato chiesto di fare “la stessa cosa” ma girando. Nel tempo mi sono resa conto che quella preparazione era molto utile forse per sviluppare controllo nella tenuta della posa, ma si dimostrava totalmente inutile per preparare alla rotazione. Spingere dal piè per eseguire un semplice relevé oppure per una rotazione non possono in alcun modo essere considerate la medesima azione: il seme della rotazione è presente già nella posizione di preparazione, in forma di potenziale, altrimenti non si sviluppa nessuna dinamica, nessuna forma a spirale, nessuna elica ascendente.
I miei studi proseguirono poi con il quarto di giro, poi il mezzo giro e poi il giro completo, ma nessuna nozione mi è stata più data riguardo quel momento così cruciale, come se fosse una fase già sufficientemente esplorata a cui non vi era altro da aggiungere. Nella mia esperienza di danzatrice e di insegnante, invece, è tutto lì, nell’azione di comprimere il pavimento, come una palla che viene non solo spinta sott’acqua ma anche avvitata e quando quella compressione viene sottratta la palla salterà su seguendo una traiettorie a spirale verso l’alto. Si tratta di creare una sorta di contro-spirale nella terra per poi in qualche modo “lasciar andare” la pirouette verso l’alto, viva e vitale per effetto di quella compressione. La consapevolezza di questo momento permetterà di dare propulsione, compiere quel primo quarto del primo giro in cui rapidamente si raggiunge la posizione da mantenere saldamente durante tutto il periodo di rotazione.
Che le pirouette si trovino in un adagio, grand battement, diagonale di giri o grande salto, l’impulso della salita è sempre lo stesso: rapido, scattante e risoluto, anche se ovviamente la qualità che possiamo dare al nostro giro può variare adattandosi al contesto, in termini di atmosfera e musicalità.
Durante la fase di rotazione ci si focalizza sul mantenimento della posizione, che continua a crescere (qui si darà fondo a tutto l’aplomb che abbiamo maturato) e sul famoso “scatto” della testa, che dona ritmo e brillantezza alla pirouette. Bisogna cercare di spingere verso il basso attraverso la gamba di sostegno e allungarsi verso l’alto attraverso la cima della testa, per arrivare ad affrontare la conclusione nelle migliori condizioni possibili, ossia nella massima espressione della posizione, in sospensione, in equilibrio.
La tecnica di chiusura del giro è diversa a seconda della tipologia e della posizione e poi ci sono anche le varianti, in cui magari si finisce su una gamba o subito attaccando un altro giro o un altro passo, ma nella maggior parte dei casi l’azione è quella di piegare le ginocchia e aprire le braccia, per avvicinarsi alla terra e esaurire la spinta rotatoria espandendo la superficie del corpo nello spazio. Trovare il pavimento con sicurezza e senza esitazione prevede aver svolto correttamente tutti i precedenti passaggi e rappresenta l’unico modo possibile di concludere una pirouette in scena (naturalmente anche in sala). Non importa quante volte il tuo corpo abbia ruotato attorno al proprio asse: se non concludi con controllo non puoi dire di aver eseguito dei buoni giri.
Dopo aver imparato la tecnica così come viene trasmessa dai maestri (parlo al plurale perché ogni maestro dona il proprio piccolo strumento e sta poi all’allievo fare di questi doni una sintesi utile per sé stesso) si è chiamati a trovare i propri piccoli rituali, a scoprire quei segreti che consentono ai ballerini di tutto il mondo di eseguire splendide pirouettes sui palcoscenici più acclamati. Ognuno di loro ha qualche trucchetto in tasca che ha sviluppato con una ricerca personale: una particolare sequenza di movimenti, un’immagine, un tocco che diventa il marchio di fabbrica di quell’artista.
Ecco quello che accade in una manciata di secondi nel corpo, nella mente e nelle memorie somatiche di chi danza. Anni di studio, ripetizioni, correzioni, destrutturazione e ricostruzione, tutto concentrato in istanti di pura maestria.
La pirouette dura un battito di ciglia ma descrivere anche solo una piccola parte della tecnica che permette di eseguirla mi ha fatto spendere più di mille parole. Questo la dice lunga su quante ore ogni ballerino abbia trascorso in sala a studiare prima di raggiungere il palcoscenico.
Credito fotografico: ANTONIO ARCOS