Lia Courrier: “Che cosa si intende per monocultura della danza?”

di Lia Courrier
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L’apprendimento dell’arte coreutica è un lungo processo che non riguarda soltanto le tecniche ma anche la scoperta di sé, del proprio gusto, dei propri talenti, delle urgenze e dei bisogni che spingono a scegliere una forma di comunicazione non verbale come quella della danza per portare le proprie essenze e fragranze nel mondo.

Gli anni di formazione sono totalizzanti per la persona, richiedono una piena focalizzazione verso gli obiettivi, ogni energia è dedicata allo studio meticoloso del movimento, che non si consuma solo in sala con i maestri ma continua in ogni momento della normale routine quotidiana, persino lavarsi i denti può diventare un momento in cui osservare il movimento.
Sul fertile terreno originario della persona viene praticata la monocoltura intensiva della danza, una pratica che garantisce un cospicuo raccolto ogni anno, con notevole incremento della produzione stagione dopo stagione. Il problema della monocoltura intensiva, però, è che sul lungo termine tende a rendere la terra sempre meno fertile fino al punto in cui senza l’utilizzo di concime chimico non è più possibile produrre neanche un filo d’erba.

Investire così tante energie psichiche e fisiche in una sola direzione a volte tende a rendere il nostro approccio estremamente specializzato un ambito e molto carente in altri. Questo significa che, nel migliore dei casi, il danzatore conosce ogni dettaglio dell’ambito coreutico di cui diventa maestro (in questo caso uso la parola non nell’accezione di chi ha allievi, ma nel senso di essere maestri di un’arte) ma non si dimostra interessato ad altre forme d’arte, neanche ad altri linguaggi della danza che esulano dal proprio. Una cultura molto limitata e fortemente settoriale che porta nel tempo a chiusura mentale e una ristrettezza di vedute che purtroppo percepisco troppo spesso attorno a me.
Ovviamente esiste anche chi è dotato di una particolare qualità di talento multiforme, talmente libero e vorace che non riesce a starsene chiuso dentro i limiti di un solo linguaggio creativo che quindi istintivamente si muove spinto da questa appassionata esigenza espressiva, esplorando varie strade. Bisogna dire che questo tipo di approccio è più raro e il motivo sta proprio nella complessità della tecnica della danza che, per essere appresa e padroneggiata ad un livello professionale, richiede davvero tanto impegno, tempo e una mente con un profilo quasi ossessivo-compulsivo. Ho visto anche tanti musicisti professionisti mostrare questo tipo di attitudine mentale, trascorrere ore e ore incollati al proprio strumento, con la musica a scorrere nella testa anche mentre si lavano i denti, come dicevamo.

Nella mia esperienza di vita con la danza anche io ho operato per anni la monocoltura, ho vissuto per tanto tempo con questo chiodo fisso nella testa, mi sembrava che ogni momento e ogni luogo mi invitassero a ballare, guardavo ossessivamente i video dei balletti, ne ascoltavo la musica, andavo a lezione di danza e a casa rifacevo tutta la lezione da sola, era come una droga per me. Quando poi sono tornata al mondo, dopo la formazione professionale, ho ricominciato a interagire con persone che non facevano parte del mondo della danza e lì mi sono resa conto di essere estremamente ignorante in molti ambiti: letteratura, politica, società, storia, musica, arte visiva, cinema. Avrei potuto tenere conferenze sul balletto ma non riuscivo a intavolare una discussione sensata su qualsiasi cosa esulasse da questo argomento. Inoltre non avevo nessuna cultura sulla danza contemporanea, sul senso di quella ricerca, non perché all’interno del programma formativo non fossi stata sollecitata in quella direzione ma perché in tutti quegli anni non avevo mai percepito una qualche forma di interesse verso quel mondo.

La monocoltura aveva reso la mia terra sempre meno viva e vitale, eppure oggi so di essere una persona che  ha molti interessi e a cui piace studiare, stare col naso nei libri, imparare sempre cose nuove, posso dirlo dopo essermi dedicata a colmare questo profondo vuoto culturale che mi faceva vedere il mondo solo attraverso la lente della danza. Ho cominciato leggendo tantissimi romanzi di scrittori di tutto il mondo, assaporando il gusto di ogni cultura attraverso le loro opere, dalla Russia all’America, dalla Germania al mio adorato Giappone, ho viaggiato senza muovermi dal mio divano, attraverso lo spazio e il tempo, grazie a questi valenti letterati. Poi la mia passione per il corpo umano in modo mi ha portata ad approfondire e quindi saggi, manuali, trattati. Ho trascorso anni a leggere per ore ogni giorno, immersa nel puro piacere di nutrire la mia anima. Ho visitato tantissimi musei, in ogni città in cui sono andata, mostre, installazioni, qualsiasi evento abbia attirato la mia attenzione o fosse di grande interesse personale per l’artista esposto: è sempre stato per me un grande piacere stare in mezzo alle opere d’arte e lo è tutt’ora. Negli stessi anni ho scoperto in me una profonda passione per il cinema d’autore, quando non leggevo ero seduta davanti allo schermo per assorbire quelle storie, quelle atmosfere, guidata dallo sguardo di registi immortali e grandiosi da cui ho imparato molto. Ho cominciato ad informarmi sulle cose del mondo, sulla politica del nostro paese e quella internazionale, insomma: nel giro di qualche anno ho lavorato la mia terra per farla tornare fertile.
Quando il nostro sguardo è diretto sempre nella stessa direzione ci perdiamo tutto il resto e persino ciò in cui ci siamo impegnati tanto, che rappresenta la nostra “specialità”, perde di brillantezza, di profondità, di coerenza se non è supportato da un sapere più vasto che comprenda anche altri ambiti.

Concepisco l’artista come colui che ha qualcosa da dire, una visione sul mondo che esprime attraverso sua opera e che può – a seconda della sua maestria e della sua capacità narrativa – ridestare, toccare, far riflettere lo spettatore. L’artista non è un narciso che produce per essere ammirato e compiaciuto, ma qualcuno che si sceglie un ruolo e custodisce in sé una missione, altrimenti rischia di agire solo per appagare il proprio ego e la danza diventa una ginnastica fine a sé stessa. Per mantenere un obiettivo così alto è necessario essere curiosi, interessarsi di ogni forma d’arte, interessarsi al mondo in ogni sua sfaccettatura e manifestazione, anche quella più lontana da ciò che è il nostro ambito di specializzazione. L’artista è quindi colui che esercita con chiarezza il proprio discernimento e mostra una chiarezza nella lungimiranza datagli proprio dal suo essere allo stesso tempo fruitore, attore e creatore del mondo in cui vive e opera.

L’articolo di oggi vuole essere un invito per tutti i danzatori, allievi e colleghi ad aprire la propria mente e il cuore a tutto ciò che sta fuori dai confini della danza, sempre che non lo stiate già facendo, anche per consentire alla danza di scendere dal piedistallo su cui spesso viene messa,  come una principessa chiusa nella torre d’avorio, permettendole di interagire, mescolarsi, confrontarsi con tutte le altre realtà espressive di questa multiforme umanità che ha un gran bisogno di comunicare.

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