Lia Courrier: “Il dolore è amico del danzatore perché funge da campanello d’allarme e va affrontato con coraggio e consapevolezza”

di Lia Courrier
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È ricominciato l’anno scolastico da quasi due mesi ed ecco che già l’intenso lavoro quotidiano mostra i suoi effetti sul corpo degli allievi. Non mi stancherò mai di parlare loro dell’importanza di mantenere il dialogo interiore, di imparare ad ascoltare il racconto del corpo, anche quando manifesta necessità in opposizione rispetto a quelli che sono i nostri programmi e desideri.

Contrariamente a quanto si possa immaginare lo studio e la pratica della danza non sempre vanno nella direzione della consapevolezza e dell’ascolto dello strumento, si tratta più di un processo di “addomesticamento” o “asservimento”, con l’aspettativa che lo strumento risponda sempre positivamente ad ogni richiesta del momento.

Esiste una sorta di aura che aleggia attorno alla danza e ai danzatori, creature al di sopra della materia, martiri votati al sacrificio, salvatori del mondo grazie alla propria arte, portatori di bellezza. Questo pensiero intorno alla danza non fa che accrescere (oltre il proprio ego) l’idea che per conquistarla si debba sopportare qualsiasi dolore fisico o emotivo. I film e le serie che parlano di danza ormai hanno sempre lo stesso plot: il/la protagonista con tutti i pianeti contro, annichilito/a da famiglia, povertà o malattia, deve affrontare una lunga serie di durissime prove iniziatiche ma alla fine arriva sempre il successo, coronato dagli applausi in palcoscenico.

La realtà è ben diversa e potremmo stare qui a smontare ogni singolo punto di queste sceneggiature mediocri, mi limiterò a evidenziare l’aspetto importante per l’argomentazione di oggi, ossia che in questa vita ci è stato dato un solo corpo e dobbiamo trattarlo bene affinché possa dare il meglio e il più a lungo possibile.

Un danzatore che sente da tempo dolore ad una parte del corpo e continua a danzare cercando di cacciare quel dolore sotto al tappeto perché crede di dover compiere un atto eroico e salvifico, non dimostra inflessibile forza di volontà ma solo incoscienza. Quando si è giovani si ha quella sensazione di potenza che fa credere di essere invincibili, praticamente immortali, che permette di fare serata scatenata con gli amici per poi dormire qualche ora e risvegliarsi pronti a cominciare la giornata come se niente fosse. I dolori arrivano e scompaiono velocemente e questo può dare l’illusione che il corpo manterrà per sempre questa capacità di rigenerarsi velocemente. Chi studia danza con costanza, specialmente chi si sta formando per la professione deve sapere che il corpo è uno strumento efficiente e miracolosamente reattivo ma questa qualità intrinseca va preservata e mantenuta con cura attraverso un’etica che è necessario sviluppare fin da subito.

Questo non vuol dire che al primo dolorino bisogna fermarsi o spaventarsi, ci fa paura quello che non conosciamo o che non riusciamo ad interpretare ma se insieme allo studio delle tecniche alimentiamo anche chiarezza in questo dialogo interiore, allora saremo in grado di discernere tra i segnali e le qualità di sofferenza che possono manifestarsi: dinanzi ad alcune possiamo continuare a muoverci, anzi, spesso per chi danza il movimento è l’unica cura possibile ma a volte può capitare di trovarsi davanti a un disturbo che reclama la nostra attenzione, di cui siamo chiamati a prenderci carico, da soli (solo per esperti) o con l’aiuto di un professionista, prima di peggiorare la situazione. Questo non riguarda solo il corpo fisico ma anche quello psichico ed emotivo perché quando la danza smette di darci gioia dovremmo essere in grado di accorgercene e di agire di conseguenza.

Il dolore è amico del danzatore perché funge da campanello d’allarme e guida, per questo non andrebbe mai inibito con l’aiuto dei farmaci (salvo rarissime eccezioni) ma affrontato con coraggio e consapevolezza.

È necessario che ogni danzatore, in qualunque fase del proprio cammino si trovi, sia responsabile per la propria salute e il proprio benessere. Capita che gli allievi, dopo un breve resoconto dei sintomi, mi chiedano se secondo me possono fare o no lezione quel dato giorno ma queste sono domande a cui soltanto loro stessi possono rispondere, non si può delegare un valore così importante come la propria salute a qualcun altro. Persino quando andiamo da un professionista e ci affidiamo alle sue cure spetta comunque a noi decidere quale percorso intraprendere tra i tanti possibili, rifiutare le proposte o cambiare operatore se sentiamo che non è la situazione giusta per noi, non c’è niente di personale, si tratta del proprio corpo e soltanto noi possiamo decidere per esso. Per acquisire questa presenza e capacità di ascolto, però,  bisogna dedicarsi, sviluppare strumenti, approcciarsi con cura, attenzione, amore e mai violenza.

Non esiste secondo me il concetto di “occasione della vita”, non ci sono audizioni, spettacoli o lezioni la cui importanza supera quella della salute del corpo, le opportunità sono tante e se non si riesce a partecipare ad una altre ne seguiranno e magari, inaspettatamente, saranno proprio quelle vincenti. Quando il corpo chiede di fermarsi bisogna fermarsi, no matter what.

Fare prevenzione aiuta ad abbassare notevolmente i rischi che la necessità di uno stop si presenti e questo passa anche per la comprensione profonda dei principi che muovono il corpo, la conoscenza della fisiologia e dell’anatomia, l’abbracciare una qualità di movimento che non sia asservita all’estetica ma che parta dal sentito in emersione dall’interno. Quando parlo di queste cose ai miei studenti vedo una serie di teste ciondolanti che sembrano assentire ma poi davanti agli occhi ogni anno assisto alla reiterazione di strategie di procrastinazione delle cattive abitudini che non aiutano di certo a preservare la salute: dal consumo di caffè, sigarette, alcolici, alimentazione poco attenta alla qualità dei cibi, all’indossare tacchi molto alti stressando piedi e caviglie già stanche, dormire poco, inibire i sintomi con gli antidolorifici, rimandare o evitare di andare da un professionista della cura.

Non è che i danzatori debbano condurre una vita monastica ma se consideriamo la questione del corpo come lo strumento, va da sé che più riusciamo ad eliminare i fattori di rischio e meglio riusciremo a mantenerlo reattivo e prestante. La cosa che mi fa sempre un po’ sorridere dei ballerini è proprio l’attenzione maniacale alla linea di una gamba, alla forma della caviglia, alla chiusura perfetta di una quinta posizione per poi magari nei momenti di pausa intossicarsi con caffè e sigaretta (in passato anche io lo facevo). Si cura molto il contenitore e meno il contenuto, per così dire, behind the scene e che proprio per questo è percepito come meno importante.

Chi lavora in teatro dovrebbe sapere, invece, quanto ciò che si mostra al pubblico possa avvenire soltanto grazie al silenzioso lavoro di chi opera dietro alle quinte, un piccolo esercito di professionisti che permettono agli accadimenti scenici di avvenire secondo i programmi, sostenendo lo spettacolo con un contributo importante quanto quello di chi si trova sotto ai riflettori.

Cari ragazzi, quindi, accogliete i consigli dei vecchi lupi del mestiere perché la gioventù non è eterna e un corpo che ha lavorato così tanto e per lungo tempo ha bisogno di un approccio conservativo fin dai primissimi momenti, anzi, specialmente all’inizio perché è proprio nella prima fase di apprendimento che, in assenza di una consapevolezza ancora non sviluppata, i rischi sono più alti. Affidatevi a dei buoni maestri, praticate discipline somatiche e fidatevi del vostro corpo, ascoltando gli insight che ne sgorgano costantemente

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