Angelo Greco: “Nella danza credo che tutto parta dalla testa, dalla mente. Ma poi bisogna liberarsi e danzare”

by Elio Zingarelli
2,3K views

Sulla strada, “a volte, è importante semplicemente essere, che è una cosa diversa”

Sarà che l’incontro con Angelo Greco accade durante la lettura di Sulla strada di Jack Kerouac: un libro che racconta di tappe e incontri di una storia di grande autenticità artistica ed esistenziale. Ma, sembra che la stessa qualità abbia contrassegnato, e continui a nutrire tutt’oggi, anche l’agire artistico e vitale del danzatore.

Nella sala stampa dell’edificio che ospita gli studi del San Francisco Ballet, i modi gentili e generosi del principal dancer trapelano una vulnerabilità esplorativa, che asseconda con il viaggio, e una ricerca di appartenenza, e forse consolazione, che si accompagna al sentimento di mancanza, di ritorno, di casa. Il suo è un racconto di un andare che si apre completamente all’esperienza e alle infinite opportunità del suo tempo e del suo spazio che offrono una possibilità di distacco dal livellamento dell’esistenza quotidiana.

Sicuramente, complice è la città nella quale il danzatore vive da otto anni, e che dice di averlo forgiato moltissimo, dove una libertà personale è ancora possibile perché garantita da quelle tracce mediterranee di un dolce far niente che Angelo Greco, originario della Sardegna e cresciuto a Concordia sulla Secchia in provincia di Modena, conosce e riconosce.

Durante la conversazione, ricorrenti sono i riferimenti altrui, familiari o sconosciuti, ma che denunciano, in ogni caso, un’attenzione per i prossimi. Se facile è il passo per scambiare la vita collettiva con la vita ordinata, difficile è quello che per la seconda volta il danzatore sta compiendo con determinazione e caparbietà, la cui meta è l’inizio della nostra intervista.

Ultimissima notizia: ovvero, la tua unione allo Houston Ballet come principal dancer. Quali sono le tue aspettative?

In questo momento non ho alcuna certezza. Sto preparando con Misa Kuranaga Il lago dei cigni, il mio ultimo balletto con il San Francisco Ballet dopo otto anni. Con lei abbiamo ballato insieme per sei anni consecutivi, quindi è un momento delicato anche sentimentalmente. Per questo non riesco ancora a focalizzarmi su ciò che potrà accadere a Houston. Ma una cosa è certa: non appena sono arrivato lì ho sentito che quello sarebbe stato il posto dove poter avere una nuova avventura, nuove motivazioni ed aspirazioni, e come artista ne hai sempre bisogno. Da tanto tempo non mi sentivo così carico e motivato.

Dopo molti anni in questa compagnia, con Helgi Tomasson all’inizio come direttore, la mia carriera è cambiata notevolmente. Dopo due mesi dal mio arrivo, volevo andare via sia per i ritmi di lavoro, a cui non ero abituato, sia per la lingua. Ma tutti questi anni sono stati speciali e mi hanno formato come persona e come ballerino. Ora penso anche alla possibilità di visitare nuovi luoghi degli Stati Uniti d’America di cui, ormai, mi sono innamorato, e credo che in questo Paese possa ancora crescere e raggiungere le aspettative che lo Houston Ballet ha su di me.

Con lo stesso spirito ambizioso vivi le relazioni affettive?

Si. Ma qui è come se avessi la mia seconda famiglia, non è facile salutarla. La mia, al momento, è una scelta complicata per le persone di cui mi sono innamorato, affezionato e che mi hanno sostenuto nei momenti difficili. Ma se non rischi non rosichi. Bisogna mettersi in gioco soprattutto durante una carriera come la nostra in cui vieni giudicato costantemente e che è molto breve, perciò non hai molto tempo per crescere e divertirti, anche.

In diverse occasioni hai confessato la tua volontà di tornare in Italia per condividere la tua passione con i tuoi connazionali. Valuti seriamente un tuo rientro nel Paese? Ti consideri un cervello fuggito all’estero, un ambasciatore della cultura italiana, entrambi o nessuno?

Sinceramente nessuno dei due perché ho sempre guardato l’aspetto artistico e ciò che poteva arricchirmi come persona. Quando sono arrivato qui non sapevo cosa stessi facendo. Ho capito che non è importante quello che ti si pone davanti ma come lo affronti, l’atteggiamento con cui gestisci i problemi e le vittorie. Devi continuare a motivare te stesso perché non sempre gli altri ti daranno gli stimoli per farlo. Comunque, credo che non sia ancora il momento di rientrare perché  preso un percorso bisogna percorrerlo fino alla fine. Solo giunti alla meta si può fare un bilancio. É questo ciò che sto cercando di raggiungere ma anche di ispirare nei giovani ballerini: non avere paura di sbagliare. Come un passo di danza, bisogna rischiare prima di eseguire o seguire, in questo caso, correttamente e consapevolmente il proprio obiettivo. Il mio, sinceramente, non so ancora quale sia.

Cosa ti ha maggiormente affascinato del San Francisco Ballet sicché hai deciso di costruire qui una parte importante della tua carriera?

Quando sono venuto a San Francisco in vacanza per vedere la compagnia, prima di fare l’audizione, rimasi completamente scioccato. Fui molto colpito dalla danza di questi artisti, di come si ponevano sulla scena, il loro movimento, la velocità, come trasmettevano in maniera non scolastica. Questa compagnia è molto efficace ed è geniale come i suoi danzatori riescano a cambiare movimento e stile in pochissimo tempo.

In altre occasioni, quando ti è stato chiesto di dare la tua definizione di danza hai utilizzato molte metafore legate alla natura. Qual è il tuo rapporto con essa e come influisce nel tuo mestiere?

Qui a San Francisco, in spiaggia, davanti all’oceano, o passeggiando nei parchi ci sono dei paesaggi esagerati, meravigliosi che ti arricchiscono anche come ballerino perché quando sei in scena esprimi quello che hai dentro attraverso le cose che vedi. Quando fai un salto vorresti essere come un gatto, per esempio. Nella danza, come nella altre arti, credo, tutto parte dalla testa, dalla mente, ma bisogna anche essere in grado di liberarsi, di non lasciarsi sopraffare da tutte l’esperienze. Il mio insegnate, Patrick Armand, durante le prove e le lezioni, ogni tanto mi dice: “Angelo basta pensare, balla. Non pensare, quando pensi non balli.” É vero. A volte quando pensi troppo non riesci ad esprimere. E come se la scena ti mangiasse, invece devi tu avere padronanza del palcoscenico e sentirti a tuo agio.

Invece, qual è il rapporto tra musica e danza, considerando anche la tua passione per il pianoforte e per il canto?

Non sono né un pianista né un cantante, ma mi piace moltissimo. Ho preso delle lezioni di canto che sono andate molto bene ma il mio main focus è la danza. Di sicuro non mi mancano passioni: il golf, il calcio, le moto. Però il canto, la musica e la danza mi fanno sentire speciale, anche per pochi secondi.

Ritieni che per essere un vero artista bisogna conoscere profondamente se stessi.  Oggi, a quale grado di conoscenza sei giunto? L’infortunio dal quale sei guarito recentemente ha contributo ad approfondire e consolidare la consapevolezza che hai di te stesso?

I problemi che ho avuto sono dovuti anche a delle problematiche che ho trascurato e che con il tempo sono peggiorate. Il mio plié è diventato più rigido e ho subito due operazioni alle caviglie. Questi momenti di solitudine mi hanno consentito di mettermi in discussione con me stesso e pormi delle domande. Durante la fase di riabilitazione mi sono rimesso alla sbarra con un’ottica diversa, ovvero tornare alla base dello studio, come all’inizio, e correggere gli errori che sono stati fatti prima. Ora, con la maggior esperienza ho capito che non serve spingere troppo per essere sempre al 100%. A volte, è importante semplicemente essere, che è una cosa diversa.

Rituali prima di uno spettacolo?

Dormire per terra in camerino perché sono talmente nervoso che ho timore di tornare a casa e non svegliarmi. Poi, come mi ha insegnato il mio carissimo amico, Riccardo Massimi, mangio un pezzo di Parmigiano Reggiano, miele e cioccolato: energia pura. Prima della recita, eseguo esercizi di respirazione perchè mi aiutano a controllare l’ansia, lo stress e la paura; questo l’ho migliorato durante le lezioni di canto. Ovviamente faccio la sbarra e il trucco per il quale mi affido a dei fantastici professionisti. Quando indosso il costume inizia a salirmi l’ansia; allora, penso ai miei cari. Questo mi ha sempre aiutato fin dal primo giorno, mi calma immediatamente prima di entrare in scena.

Cosa non sopporti dei ballerini?

Tutto (ride). Però sono persone straordinarie. Ho conosciute danzatori e danzatrici con i quali siamo diventati amici e che mi hanno cambiato la vita. Forse, più con le ballerine: per esempio con Misa Kuranaga il rapporto, talvolta, è stato eccessivamente intimo da innescare anche delle discussioni in sala. In realtà chiedevamo entrambi il meglio da se stessi e dall’altro dovendo ballare in coppia e non da soli. Sono molto testardo ma quando ho una partner accanto a me devo mettere in discussione le mie idee per andare incontro alle sue e garantire la resa migliore possibile. Credo anche che l’arte non possa esserci senza discussioni nel senso di mettersi in discussione, avere dei punti di domanda senza i quali si ottiene ben poco, soprattutto nella danza classica.

Come pensi possa cambiare la danza e la sua ricezione in questi scenari precari e allarmanti in cui viviamo, considerando la diffidenza che talvolta la infiacchisce?

No idea. Però penso che se fossi nato trenta anni fa avrei avuto una carriera diversa e avrei fatto cose differenti. Sicuramente penso che il teatro necessiti di maggiore attenzione. Tutto dipende dalla scuola, dalla preparazione e da come ognuno affronta questa carriera che non è un gioco ma una passione, un lavoro, un amore. Bisogna avere sempre gli occhi aperti per individuare il posto in cui pensi ci possano essere delle persone giuste e disposte ad aiutarti a crescere in quel momento. Adesso, poi, il classico, che è il mio vero amore, si fa sempre meno, nonostante sia molto importante studiare tutto. Manca un pubblico giovane che faccia esperienza di una bellezza di cui non si dispone quotidianamente. Anche solo entrare nel teatro è magia, tu spettatore puoi emozionarti. Spero che si comprenda tutto questo e che qualcosa possa cambiare: pertanto, non mi fermo mai.

C’è spazio per essere ottimisti?

Assolutamente si. Devi credere in quello che fai altrimenti nessuno lo fa e non puoi aspettarti un pubblico diverso.

Che cosa ti fa stare bene?

Direi tutto. Sono una persona molto positiva con dei pensieri negativi, naturalmente. Mi rende felice guidare, stare con la mia famiglia, vivere semplicemente il momento, guardare l’oceano e godere di quel suono che ti riconduce ai tuoi ricordi. Ho detto tutto perché dipende molto da come vivi le cose. Sono molto sensibile, mi piace mettermi in gioco e talvolta ci rimango male.

Qual è il tuo interrogativo del momento?

Dopo i due interventi, durante la fase di riabilitazione mi chiedevo se fossi riuscito a tornare sul palcoscenico, per quando tempo e come. Ora mi chiedo cosa potrò fare dopo la mia carriera da danzatore e sinceramente mi piacerebbe provare altro.

Ti commuovi di più davanti a un balletto, un film, un tramonto?

Davanti al balletto non riesco perché ho l’occhio critico. Davanti ai film, anche quelli più leggeri, mi commuovo sempre, come mio padre. Un tramonto può essere commovente ma dipende dallo stato d’animo del momento.

Qualcuno ha definito la vita come l’arte degli incontri? Quali ricordi e consideri più importanti?

Una persona importantissima è Riccardo Massimi, una figura ormai famigliare che mi ha guidato tantissimo e mi ha sostenuto quando ho deciso di trasferirmi a San Francisco. Poi Patrick Armand, Misa Kuranaga e tantissime altre persone di luoghi diversi che ho incontrato e mi hanno dato tantissimo, ognuno a suo modo. Alla fine sono giunto a una conclusione: ovvero, non importa dove vai ma le persone di cui ti circondi. Il vero scopo della vita è circondarsi delle persone giuste per te. Bisogna essere pronti anche ad accogliere le persone che ti vogliono perchè si ha sempre bisogno di qualcuno. Accanto ai momenti di solitudine, utili per crescere, ci devono essere quelli dell’appoggio e del sostegno di qualcun altro a cui tu, al contempo, puoi dare supporto. Ecco, il mio primo insegnante mi disse: “Angelo, la danza è così: tu dai con due mani e forse ricevi con una. Tu dai tutto ciò che hai e forse ricevi un applauso, un complimento.” La danza è generosità. Penso che sia lo stesso per gli insegnanti che danno costantemente degli input, poi sta a noi danzatori coglierli. Spesso vengono sprecati.

C’è qualcosa che ti manca e di cui avverti la necessità? Credi che la danza possa sopperire a questa mancanza?

Si, mi sono sempre mancati i miei cari e la danza mi ha aiutato a sentirmi vicino a loro, sia nei momenti più brutti ma anche in quelli belli, per renderli più speciali. Poi, in verità, non lo so, perché come persona non arrivi mai, ha sempre dei sentimenti e delle sensazioni. La mancanza della famiglia mi spinge ad andare avanti ma soprattutto mi esorta a ringraziare più spesso i miei genitori. Talvolta, ci dimentichiamo di tutte le persone che ci hanno aiutato. Quando si finge di essere qualcuno, in quel momento sei nessuno. È importante essere e rimanere coi piedi per terra.

Grazie

Credits-Nicholas-Mackay and Chris Hardy

Articoli Correlati

Leave a Comment