Lia Courrier: “L’occhio attento dell’insegnante esperto si posa naturalmente laddove le cose funzionano, dove c’è consapevolezza, intenzione e intensità”

di Lia Courrier
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In ogni gruppo di studenti c’è sempre quello che spicca sugli altri.

Questo accade in virtù di evidenti doti fisiche, familiarità innata con il movimento, musicalità, memoria, ma anche a seguito dell’impegno che manifesta, del suo sentirsi totalmente in carico nel ruolo dello studente.

L’insegnante esperto lo vede subito anche senza bisogno di vederli danzare. In questi decenni di insegnamento ho condotto tante audizioni per le ammissioni alle formazioni e mi basta vedere come i ragazzi entrano in sala per intuire il talento e la determinazione che li hanno portati lì. La postura dice moltissimo sul loro stato psicofisico, la si può leggere come un libro. In alcuni di loro si evidenziano dettagli che possono già anticipare come sarà la loro danza, ad esempio l’appoggio del piede, le rigidità in alcune aree del corpo, la posizione naturale delle loro spalle, la qualità dell’allineamento e soprattutto come camminano. A parlarmi c’è anche la qualità del loro sguardo, se guardano o se il loro è uno sguardo sfuggente, la luce naturale che esprimono gli occhi, la presenza. Non meno importante l’atteggiamento, l’educazione, la cura con cui hanno scelto i loro abiti, se i capelli sono in ordine, la loro attitudine disciplinata ma senza rigidità eccessive, priva di ogni manierismo.

Infine, spesso senza essere vista, li osservo mentre si riscaldano, anche questo dice molto sul grado di consapevolezza: c’è chi prova a staccarsi le gambe nel tentativo di mostrare la propria mobilità, più per impressionare gli astanti che non davvero per prepararsi, e chi invece si prende del tempo per rendere corpo e mente pronti alla danza.

Insomma: dal loro ingresso dalla porta della scuola al momento in cui inizia l’audizione ho già ricevuto tantissime informazioni che svelano la loro personalità, un’istantanea dello stato psico-fisico del momento, messaggi emanati in modo totalmente involontario e quindi sinceri.

Tutto questo per dire che l’occhio attento dell’insegnante esperto si posa naturalmente laddove le cose funzionano, dove c’è consapevolezza, intenzione e intensità. Diventa una specie di istinto in grado di vedere le pietre preziose anche quando queste non sono ancora state lavorate, nel loro stato più grezzo.

Questo non vuol dire, però, che all’insegnante sia permesso fare favoritismi, decidere chi merita di ricevere gli insegnamenti e chi no. Molto spesso sento allievi che lamentano di essere trasparenti a lezione, oppure che se non andassero a lezione l’insegnante non se ne accorgerebbe neanche. Ovviamente queste sono le persone che ai saggi, esami, lezioni dimostrative e esibizioni di qualsiasi tipo se ne stanno sempre in ultima fila, laddove vengono relegati per lasciare davanti i più bravi.
Studiare danza non è obbligatorio. Le persone che si impegnano scegliendo di seguire un corso di danza sono evidentemente lì perché provano piacere a farlo e desiderio di migliorare come qualsiasi altro partecipante. Ci sono allievi più facilitati naturalmente per la danza rispetto ad altri, con doti e talenti che li porteranno a ottenere risultati evidenti anche senza un impegno eccessivo, ed è altrettanto normale che queste persone attirino lo sguardo dell’insegnante. La tentazione di investire più energie su chi risponde velocemente e puntualmente alle indicazioni è forte, ma il ruolo di chi conduce una classe è quello di dare le stesse attenzioni a tutti, la medesima possibilità di apprendere ad ogni persona nella sala.

Nel mio percorso di formazione ho avuto la fortuna di essere seguita da maestri che avrebbero fatto ballare anche i sassi, Barbara Geroldi e il compianto Valter Venditti in prima linea, persone che hanno insegnato alle grandi stelle della danza e anche a me con lo stesso impegno, generosità e trasporto. Mi è capitato purtroppo di partecipare alle classi di chi invece neanche per errore avrebbe mai posato lo sguardo sulle mie linee impure e sui miei movimenti imperfetti, beandosi invece di seguire soltanto gli allievi già splendidi (ai tempi mi capitava di studiare con ballerini e ballerine davvero meravigliosi). Questo nel migliore dei casi, perché a volte poteva anche capitare che l’insegnante si lasciasse andare a commenti derisori come una volta in particolare: “e questa che ci fa qui?”. Per fortuna questa frase non è stata rivolta a me ma ad un altra persona, ma quando ho sentito il maestro bofonchiare quelle parole passandomi accanto mi sono sentita morire. Ricordo comunque molto bene la sensazione di totale trasparenza, di essere lasciata sola, abbandonata a me stessa, senza il supporto e la guida di una correzione, uno sguardo d’intesa, una mano che si posasse su di me per indicarmi il movimento giusto.

Ho sempre avuto un timore reverenziale verso quelli che considero miei maestri. Nella vita ne ho conosciuti molti, ho studiato tanto e continuo a farlo ancora oggi, cambiano i contenuti, sono passata dalla danza classica alla danza contemporanea, dalle pratiche osteopatiche allo yoga. Quello che non cambia è la profonda fiducia che emerge quando sento che la persona che ho di fronte non solo ha le competenze che sto cercando, le ha elaborate, interiorizzate e incarnate, ma soprattutto mi “vede”, riconosce la mia sete di sapere ed è pronto o pronta ad estinguerla, con rispetto per la mia persona e il mio impegno.

Questa relazione per me è vitale, non potrei imparare se non ci fosse l’abbandono, l’“affidarsi” al maestro, seguendo le sue indicazioni anche quando mi sembrano bizzarre o paiono portarmi lontano da quella che pensavo fosse la mia meta. Quando ho fiducia in un maestro, quando ci scegliamo reciprocamente, formulo dentro di me la tacita promessa di seguirlo ovunque, fino a che non sentirò di poter camminare e operare le scelte da sola.

Alcuni maestri saranno per sempre i miei maestri anche se non seguo più le loro lezioni o se hanno lasciato il loro corpo terreno, perché ciò che mi hanno trasmesso rimane in me, nel mio modo di essere e di trasmettere tutto quello che da loro ho imparato.

Questa è l’importanza che ho sempre dato ai maestri, e se qualcuno di loro stesse leggendo questo articolo potrà riconoscere in queste parole il mio approccio allo studio: totale.

Certo questa magia non accade con tutti, però sento che oggi, nel ruolo di insegnante a mia volta, mi sia chiesto di essere una guida imparziale, che includa ogni allievo, in grado di dare le stesse possibilità a tutti di imparare, ognuno con i propri tempi e possibilità, nonché la stessa opportunità di mostrarsi, che sia ad un pubblico o ad una commissione d’esame. Insegnando in una formazione professionale per il danzatore contemporaneo, ho avuto tanti allievi da presentare in sede d’esame, per la prova di danza classica, che ancora non avevano raggiunto una preparazione adeguata per un simile contesto, magari in una classe in cui altri avevano diversi anni di studio alle spalle. Non ho mai sentito il bisogno di lasciare queste persone nelle ultime file, anzi, credo che a loro più di tutti serva stare davanti, essere indipendenti, prendersi lo spazio e l’attenzione che spesso pensano di non meritare. Oltre alla tecnica devo insegnare loro ad essere forti, a mostrare la propria danza senza timori, a sviluppare – oltre alle competenze tecniche – anche quell’autostima così importante per stare bene con sé stessi.

Sono certa che questo atteggiamento, se praticato da tutti, abbatterebbe il gradiente di competitività che affligge il mondo della danza, perché una persona che sta bene con sé stessa, consapevole del proprio potenziale così delle proprie aree di miglioramento e dei limiti oggettivi del proprio corpo, sia in grado anche di gioire dei successi degli altri, oltre che dei propri.

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