Una giacca scura poggiata sulle spalle, una canotta bianca e un pantalone di tuta rosa. E poi quattro anelli sottili, uno con dei brillantini, al polso sinistro un orologio, forse vintage, con un quadrante molto garbato, a quello destro un bracciale con fili intrecciati di cui uno rosso, due catene sottili con ciondoli intorno al collo, e ai lobi due triangoli giallo e arancio fluo. A fianco, sul tavolo, una borraccia lilla per acqua e una summer lip case grigia, forse tortora. Non è la descrizione di una vetrina di Rinascente ma l’aspetto di Luca Ferrò, danzatore del San Francisco Ballet, il cui outfit è interessante perché performativo; non è descrizione della persona ma la sua stessa azione danzata, vitale perché chi ama la vita ama i colori.
Con i pastelli e attraverso una tecnica che sembra di vocazione e trasposizione, l’artista italiano nasconde la sua profondità in superficie e all’interno di questo processo rinascente ovvero, come fosse un’azione continua, così come lo intendeva il Vate pescarese, l’unico lusso che si arroga è un tempo per se stesso nel senso di un tempo risparmiato cosicché maggiore e più gradito può essere quello trascorso con amici, parenti e colleghi. Questi ultimi li osserva attentamente per migliorare la sua danza contagiosa ed entusiasmante, profondamente riconoscente e che lui sostiene non acquisti un senso fisso e irrigidito in una immobilità minerale ballettistica bensì cangiante mediante l’approccio molto personale. E da questa performatività reversibile del danzatore emergono anche zone non ancora messe a fuoco e una prospettiva d’insicurezza che comunque lasciano scorgere un’artisticità autentica, quella che convive con la paura, la gratitudine e la bramosia.
Luca ti conosciamo poco: raccontaci dell’inizio del tuo percorso artistico. Mi sembra ci fosse anche la possibilità di una carriera nel calcio come portiere su insistenza di un allenatore amico di famiglia, confermi?
Dettagli, dettagli (ride). In verità no! Ho fatto solo una lezione di calcio quando ero molto piccolo e in quell’occasione fui il portiere. Ma fu l’unica volta semplicemente perché volevo provare. Il primo vero sport al quale mi sono davvero appassionato e che ho praticato per sei anni è stato il tennis. Ho iniziato quando ne avevo sette e ho partecipato anche a dei campionati regionali. Ad oggi, ancora, gioco a tennis e ping pong.
Come si è posta la famiglia difronte al tuo talento?
La mia famiglia ha sempre visto in me un talento enorme di cui non ne sono consapevole ma sono qui quindi qualcosa c’è. I miei genitori hanno notato subito il mio reale interesse per cui mi hanno sempre sostenuto.
Da Eleonora Abbagnato hai ricevuto una borsa di studio per L’Accademia statale di coreografia di Mosca, comunemente nota come Accademia di balletto del Bol’šoj. Come ricordi quell’esperienza?
É stata una cosa davvero inaspettata. Quando avevo dodici anni partecipai al programma televisivo Io canto. Nell’edizione di quell’anno agli studenti di scuole private veniva data la possibilità di fare un’audizione e poi esibirsi insieme ai cantanti. In quest’occasione Eleonora Abbagnato mi notò. È stata una delle esperienze più belle della mia vita: la terza settimana chiamai mia mamma in lacrime perché non volevo tornare ma i miei genitori non consentirono un’eventuale prolungamento. Ci ho sofferto un po’ all’inizio perchè già allora desideravo uscire fuori dall’Italia, vivere da solo, essere autonomo. Comunque ricordo benissimo il mio arrivo a Mosca: era l’inizio dell’anno accademico ed entrati nel teatro dove c’erano gli allievi con i genitori, ci mostrarono dei filmati sulla Russia e alcuni eventi bellici e poi ci alzammo anche in piedi per cantare l’inno nazionale. Rimasi molto sorpreso da tutto questo. Feci lezioni di danza classica, danza storica, fu la mia prima volta, e poi lezione di variazione e, ovviamente, di russo perchè nessuno parlava inglese, pochissimi, e in qualche modo dovevo comunicare e comprendere le correzioni che mi venivano date.
Novara, Mosca, poi Montecarlo e ora San Francisco? Differenze, affinità, pregi e difetti?
A Novara sono stato molto fortunato perché ho frequentato una scuola molto buona che mi ha preparato soprattutto a stare sul palcoscenico, facevamo tre o quattro competizioni al mese. Ho studiato anche passo a due ma il lavoro si concentrava soprattutto sul moderno e sul contemporaneo. Penso, comunque, che il ruolo della scuola privata sia individuare il talento, nutrirlo e dare la possibilità di fare un’audizione in una scuola più professionale. In Russia studiavo e vivevo nello stesso edificio dove c’erano le sale prove e il dormitorio. Montecarlo, invece, è una città bellissima, estremamente sicura e dal punto di vista climatico più vivibile. Poi la Princesse Grace Academy ha una terrazza dalla quale si può ammirare tutto il porto, è un luogo meraviglioso. Qui a San Francisco ho iniziato a lavorare quindi è completamente un’altra esperienza e vivo la città in maniera differente.
Il viaggio che vorresti fare?
Ce ne sono tanti: forse Hawaii
Subito dopo il tuo diploma sei entrato nel SF Ballet: In Europa non ci sono state occasioni o la decisione di fare un’esperienza in un altro continente?
Entrambe. In Europa molte compagnie richiedono il requisito minimo di 180 cm di altezza per una maggiore omogeneità. Quindi già solo questo criterio fisico è stato per me motivo di esclusione. Certo, ci sono delle compagnie europee in cui mi sarebbe piaciuto entrare ma in verità ho avuto sempre il sogno americano. Mi chiedevo : “Cosa si prova ad andare a lavoro con il caffè acquistato da Starbucks?” Qui ci sono molte meno restrizioni, sotto tanti punti di vista, e si abbraccia il talento che si ha davanti. Perlomeno questa è stata la mia esperienza. Ho fatto anche altre audizioni negli Stati Uniti ma poi ho scelto il SF Ballet.
Pensi di concludere qui il tuo percorso artistico?
L’obiettivo fin da quando ero piccolo è sempre stato andare il più lontano possibile e poi magari avvicinarsi all’Italia. Ora devo dirti che dopo aver compreso tutte le difficoltà del lavoro di un danzatore professionista cambiare compagnia rappresenta un punto di domanda. Ogni anno non so mai se sarà il mio ultimo o no. Qui sto talmente bene che i posti in cui vorrei andare sono davvero pochi; credo che resterò con questa compagnia ancora per molto tempo.
Sei membro del corpo di ballo ma spesso danzi ruoli solistici. Rappresentano per te occasioni di speranza per una promozione professionale?
Onestamente si! Spesso ballerini con maggiore esperienza commentano negativamente l’eccessiva premura dei giovani danzatori per la promozione senza cogliere, a loro dire, tutta l’esperienza che la danza può dare. A me sinceramente interessa perché sono molto ambizioso e sto lavorando anche per questo. Sarebbe una soddisfazione estremamente personale ma rappresenterebbe anche la dedica più grande che io possa fare ai miei genitore che hanno fatto di tutto per rendere la mia vita la più bella che io potessi avere. E ancora, sarebbe anche un’occasione per liberarmi delle tante insicurezze che ho.
Sono stato fortunato perché già dai primi anni in compagnia ho avuto modo di studiare ruoli al di sopra del mio contratto. Sognavo di fare una variazione classica con una compagnia importante e durante la mia seconda stagione ho danzato il passo a cinque in Giselle nella versione di Helgi Tomasson. Sto danzando tanto e avendo molte opportunità, mi viene spesso detto che il risultato è ottimo ma sembra ci sia un blocco per lo step successivo. Avvolte è frustrante: dalla mia esperienza qui posso dire che se la direzione crede che qualcuno debba ricevere la promozione questa viene fatta ma da quest’anno ho davvero smesso di pensarci.
Tra i titoli della nuova stagione del SF Ballet, quali attendi con maggior entusiasmo e/o curiosità?
Frankenstein di Liam Scarlett per tanti motivi: sono primo cast in uno dei ruoli principali e per me è davvero strano perché generalmente studio ruoli importanti ma come cover. Oltre alla storia toccante del balletto c’è anche la fiducia riposta in me affidandomi questo ruolo. Per quella opening night sarò estremamente stressato ed emozionato. Anche Chroma di Wayne McGregor con uno stile pazzesco. Molte cose mi vengono naturali altre no e questo è motivo di forte stimolo. In questo balletto, poi, sono secondo cast ma accanto alla prima ballerina Wona Park, con la quale ho sempre voluto danzare. Infine la Raymonda di Tamara Rojo che è estremamente challenching, tanti aspetti e dettagli su cui lavorare e che ho provato direttamente con la direttrice in sala.
Come già da te ricordato ti sei esibito giovanissimo anche in TV. Ti piacerebbe lavorare di nuovo per il piccolo schermo?
Non penso, semplicemente perché ciò che viene fatto in televisione viene registrato e rivedermi ballare non mi piace e l’idea che possano farlo altri ancora meno. Non sembra ma sono una persona molto insicura, non credo mi sentirei a mio agio sottoponendomi a una tale esposizione.
Cosa non ti convince della danza, o meglio del sistema danza di oggi, e cosa, invece, apprezzi di quello passato?
Un’opinione estremamente personale: nonostante il repertorio molto vasto si continuano a creare sempre nuove opere per i ballerini. Questo è un bene ma spesso richiede molto tempo e ciò ci impedisce di danzare titoli di repertorio che ho sempre voluto affrontare ed esplorare e di cui ho solamente visto i filmati. La creazione è sempre stimolante ma a volte è eccessiva e a discapito di quanto è stato già fatto.
Come ti approcci a una critica, un commento, un’opinione?
Negli anni sono molto cambiato. Oggi dipende tanto dai modi in cui viene espressa: spesso la critica è fatta da qualcuno che crede in me ma in altre situazione percepisco la volontà di non riconoscermi il merito e quindi la soddisfazione che io possa provare. Ascolto tutto, sempre, ma conta molto la mia sensazione.
Quale ritieni sia la principale responsabilità di un artista in questo momento e cosa credi che il pubblico si aspetti da lui?
La danza è un mix di tante cose e il ballerino deve avere tante qualità. Un artista deve essere attore-esecutore e rispettare il balletto che sta danzando sempre con un approccio personale. Deve essere in grado di raccontare chiaramente la storia e quello che accade ma anche mostrare tutto ciò che la danza richiede, la tecnica. Poi per me è molto estetica: voglio vedere una danza esteticamente bella e che esprima qualcosa. L’artista deve avere la capacità di rispettare ciò che è stato già creato ma esprimendo se stesso. Non so esattamente quale sia la sua responsabilità.
Cosa vorresti far vedere di te a chi non ti conosce?
Non lo so. Quando davanti ho qualcuno molto aperto mi rivelo molto liberamente. Ma non so esattamente cosa vorrei che gli altri notino di me. Forse desidererei che si colga quanto a me piace questo mestiere. Mi farebbe molto piacere perché vedere qualcuno lavorare con felicità, passione e divertimento può rendere tutto più bello.
Dai tuoi profili social traspare una passione per l’abbigliamento. Dopo la danza, la moda?
Lo spero vivamente ma non so come. Non penso di rimanere nel mondo della danza dopo la conclusione del mio percorso di ballerino perché ci sono talmente tante cose che vorrei provare. Voglio vivere a fondo la mia carriera e dopo fare qualcosa di diverso.
Colore preferito?
Non ho un colore preferito, dipende da tanti fattori. A volte sono fissato con l’azzurro, altre volte con il rosa ma anche il giallo pastello. Dipende dai momenti. Ma se devo dirne uno è l’azzurro.
“Quando non ti vesti come chiunque altro, non devi pensare come tutti gli altri”, sosteneva Iris Apfel. Ritiene di pensare in maniera differente da altri o questa ricerca e passione stilistica non ti risparmia dall’omologazione, sembra, divagante?
Penso di sì! È qualcosa che condivido molto anche con gli altri. Quando mi sveglio la mattina mi piace indossare quello che voglio. Pur essendo, ripeto, molto insicuro, per quando riguarda il mio modo di vestire non ho alcun limite, mi piace osare. Spesso, alcune delle mie scelte all’inizio non condivise da nessuno sono state rivalutate a posteriori. Posso capire i limiti di ognuno però se ti piace perché limitarti, soprattutto qui a San Francisco, la città con la mentalità più aperta che io conosca.
Quale altro talento vorresti avere?
Mi piacerebbe davvero essere bravo a cantare. Non penso di prendere lezioni perché ritengo che per il canto sia necessario nascere con una bella voce. Certo si può lavorare sul controllo, per esempio, ma non credo si possa arrivare comunque a un risultato di livello .
Il lato di te che fai più fatica ad accettare?
Vorrei credere un po’ di più in me stesso ma faccio davvero tanta fatica. Se mi guardo allo specchio il mio occhio cade immediatamente sul difetto e non sul pregio. Forse perché trascorro molte ore a guardarmi e cercare di correggere tutto ciò che non va bene. Mi piacerebbe iniziare a pensare che i miei difetti, in realtà, siano anche pregi o comunque segni distintivi della mia persona, del mio carattere e della mia estetica ma in maniera istintiva questo non accade.
La tua più grande stravaganza e il tuo più grande timore?
Credo che soltanto i miei amici più stretti possano dirti la mia più grande stravaganza. Per quando riguarda il timore, direi la solitudine. Amo avere tempo per me stesso ma quando sono a contatto con le persone. Nutro la necessità di stare da solo sapendo di poter essere anche con altri, di avere gente intorno a me.
Chi ti ha ispirato o ti ispira di più?
In realtà non mi sono mai ispirato a nessuno in particolar modo, a parte i grandissimi, Mikhail Baryshnikov, Rudolf Nureyev, Leonid Sarafanov, Irek Mukhamedov, però mai niente di ossessivo. Cerco soltanto di diventare la miglior versione di me stesso e non qualcun altro. E poi mi ispiro quotidianamente ai miei colleghi che osservo mentre danzano cercando di apprendere ciò che mi piace, un dettaglio, e portarlo nella mia danza.
In cosa o in chi credi?
L’amicizia. Durante l’esperienza a Montecarlo ho incontrato due persone estremamente importanti nella mia vita che ormai considero fratelli e senza i quali non potrei vivere. Ho capito che l’amicizia è più forte dell’amore.
Cosa ti insegna o ti ha insegnato questo lavoro?
Se hai degli obiettivi soltanto con il duro lavoro e la forza di volontà puoi raggiungerli. Ogni giorno alle dieci devo essere qui per la lezione. Bisogna lavorare ma capire quando è il momento di fermarsi e non strafare senza alcun profitto. Quindi lavorare giornalmente ma in maniera intelligente.
C’è qualcosa che ti manca e di cui avverti la necessità?
Una cosa che mi manca, ma a cui sono stato sempre abituato, è la distanza. Sto perdendo compleanni e ricorrenze senza alcuna possibilità di poter recuperare.
Credi che la danza possa sopperire a questa mancanza?
In realtà non credo che la danza possa sopperire a questa mancanza.