Francesco, sei da un anno il Direttore dell’Alberta Ballet in Canada. Perché hai scelto una favola per la prima nuova produzione della compagnia?
Amo da sempre le favole, a prescindere dal linguaggio utilizzato per raccontarle. Arrivato in Canada ho dovuto creare la mia prima stagione rifacendomi a un assioma ben chiaro: tradizione e innovazione. Da qui la proposizione di balletti di repertorio come Schiaccianoci o Sylphide. Conosco Stefania dai tempi della scuola, eravamo allievi dell’accademia Teatro alla Scala, e lei ha ballato le mie prime coreografie. Quando ho lasciato la Scala, Stefania ha iniziato a creare i suoi primi lavori, peraltro molto belli e io, da lontano, l’ho osservata apprezzandone la qualità.
Nel pensare alla nuova stagione avevo necessità di proporre un balletto che andasse in scena prima di Halloween e che avesse caratteristiche un po’ dark e contemporanee. Avevo da tempo tra le mani questo soggetto sulle favole dei fratelli Grimm, già a Sidney avevo creato un balletto ispirato alle loro fiabe, e ho immediatamente pensato a Stefania per la sua realizzazione. Così, l’ho chiamata e le ho proposto il lavoro.
Stefania, Francesco ti ha regalato la possibilità di creare la tua prima coreografia per una serata intera e all’interno di una grande compagnia e con bravissimi danzatori. Com’è avvenuta la proposta?
La proposta è letteralmente piovuta dal cielo. Ero appena rientrata dall’Asia dopo un tour con la Scala e mi trovavo a cena da un’amica. Mi arriva un messaggio di Francesco con scritto: “Ho bisogno di parlarti, preparati”. Mi ha chiamato subito dopo raccontandomi il progetto e proponendomi il lavoro. Io risposi: “Sei pazzo” ma lui disse che aveva fiducia in me e che voleva essere il primo a darmi questa possibilità. Seppure tra mille paure, ho accettato, consapevole che avrei avuto Francesco al mio fianco in qualunque momento della creazione. Trattandosi di una data molto vicina, il 17 ottobre, l’indomani mi sono recata subito da Manuel Legris per domandare il permesso e dalla Direzione del teatro per richiedere un’aspettativa formale. Devo dire che son stati tutti felicissimi per me, per l’opportunità che mi si era presentata e mi hanno appoggiata da subito.
Francesco, in quella telefonata, dunque, scorre una favola veloce fatta prima di tutto di amicizia e stima.
Si è vero, ho conosciuto Stefania quando aveva 15 anni e io 17. Dopo la scuola siamo entrati in compagnia e abbiam ballato insieme tantissime volte. Io ho iniziato a fare coreografie molto presto, a 25 anni avevo già creato per l’Arena di Verona, Il Bolshoi, il Teatro Marinsky. E contemporaneamente avevo la mia compagnia con la quale feci per prima cosa la Biennale di Venezia. Stefania faceva parte di quell’ensemble; un gruppo di amici e colleghi che dalle 17.30 in poi, finito di lavorare per il teatro, restava in sala consentendomi di creare e scoprirmi come coreografo. Poi a 31 anni ottenni la mia prima direzione. Voglio molto bene a Stefania, ma non le avrei mai affidato un compito così importante se non avessi avuto immensa stima per il suo lavoro e le sue capacità.
Posto ciò, ho lasciato Stefania libera di scrivere il suo balletto, fermo restando il soggetto che avevo già utilizzato. Da subito si è adoperata per lavorare alla sua visione, creando un team creativo completamente nuovo ed elaborando una nuova drammaturgia, nuove musiche e una nuova idea di costumi.
Stefania, che cosa racconta il tuo “Grimm”, qual è stato il processo creativo che ha portato alla realizzazione di ciò che vedremo in scena il 17 ottobre?
Il primo passo è stato affiancarmi ad una drammaturga metà polacca e metà tedesca conosciuta grazie a Demis Volpi, Carmen Kovacs. Dopo lunghe conversazioni telefoniche è venuta a Milano e abbiamo ideato assieme una storia principale che prende spunto da Sleeping Beauty, ma totalmente rivisitata. E la storia di una fanciulla, Aura, figlia di una strega buona che vive nella foresta e che è riuscita a rimanere incinta grazie all’aiuto di alcune streghe buone, sue amiche. Al momento del parto, però, la madre muore e la piccola viene allevata dalle streghe. Al compimento dei 12 anni, la piccola Aura comincia un lungo viaggio nella foresta, durante il quale incontra i personaggi delle favole dei fratelli Grimm: i musicanti di Bremen, il Principe Henry The Frog, Biancaneve, Rapunzel, I sette corvi e le tre filatrici con le quali la protagonista viene a contatto fino a pungersi col fuso e infine, addormentarsi. Si conclude così il primo atto, quello maggiormente narrativo. Nel secondo si entra nel mondo onirico, dove le esperienze vissute nel reale, così come gli incontri, amplificano il proprio senso e la protagonista rivive storie e personaggi in maniera anche inquietante, fino al risveglio e al lieto fine. Racconto l’amore, che trionfa sempre e di cui, sempre, abbiamo bisogno.
L’intero balletto poi si apre con un prologo attraverso cui ho voluto rendere omaggio all’immenso lavoro che i fratelli Grimm hanno realizzato sulla lingua tedesca, trascrivendo l’oralità del linguaggio e creando un patrimonio di cui tutti possiamo godere. La traccia musicale è composta da frasi che raccontano, in ogni lingua del mondo, le favole dei Grimm.
Chi sono i componenti del Team da te creato? Oltre a Carmen Kovacs.
Un tassello fondamentale è stato Taketo Gohara, musicista di origine giapponese col quale già avevo collaborato Milano Oltre. Un amico prima di tutto e un grandissimo artista che si è gettato a capofitto in questa avventura. Abbiamo lavorato a strettissimo contatto e ha creato una partitura musicale che ricorda la struttura del grande balletto e che, essendo creata a pari passo con la drammaturgia, già racconta la storia. Poi la costumista, Eleonora Peronetti, già collaboratrice di Angelin Preljocaj, che ha realizzato bozzetti bellissimi. Infine i video designer, entrambi austriaci, Peter Venus e Judith Selenko, davvero in gamba e con una splendida carriera.
Francesco, quando Stefania ti ha proposto il lavoro finito, comprensivo di drammaturgia, musiche, costumi, video, che cosa hai pensato? E se hai suggerito dei cambiamenti, quali sono stati?
Tendenzialmente lascio liberi i coreografi di agire in maniera assolutamente personale. Certamente da Direttore sono intervenuto nella fase creativa per dare delle direttive che fossero consone al lavoro della compagnia e alle mie precise richieste. Non volevo un balletto solo contemporaneo, né una creazione che fosse solo “movimento”, volevo che venisse raccontata una storia e che la proposta coreografica avesse la struttura del balletto narrativo. E così è stato!!
Altro elemento fondamentale, per me, era la sostenibilità. Ho fatto un attento inventario del lavoro della compagnia e ho chiesto a Stefania e alla costumista Eleonora di tenere conto del materiale esistente. Tanto di nuovo è stato fatto ma molto altro è stato recuperato regalandogli un nuovo design e una nuova vita.
Infine, altro aspetto da non sottovalutare, è il pubblico del Nord America. Era necessario creare un balletto che fosse immediatamente fruibile e di intrattenimento, non eccessivamente introspettivo e comprensibile solo al coreografo. Qui il box office regna sovrano ed il balletto, seppure nuovo, deve incuriosire il pubblico e portarlo a teatro. Desideravo, infine, che lo spettacolo fosse allineato con la mia visione artistica e con la nuova direzione della compagnia.
Insomma, ho dato dei suggerimenti, spunti di riflessione su alcuni aspetti, ma mai soluzioni. Stefania è stata libera di agire e creare.
Stefania, il primo e il secondo atto si differenziano per il linguaggio coreografico utilizzato: il primo atto più neoclassico, il secondo più contemporaneo. Questa scelta è stata dettata da una necessità narrativa o piuttosto da un tuo vezzo?
L’uso dei due differenti stili è certamente in linea con la drammaturgia. Il primo atto più narrativo, poteva perfettamente legarsi a una struttura classica, il secondo, che è l’atto dell’inconscio, più viscerale, ad un linguaggio più contemporaneo. Mi piaceva poi, mettere a disposizione di questa nuova creazione tutto il mio personale bagaglio. Io sono figlia del Teatro alla Scala, la mia matrice è fortemente classica, e la tecnica accademica è stata uno strumento fondamentale per poter esplorare e approfondire il mondo contemporaneo. Non solo, il background scaligero e classico è stato di supporto alla creazione della musica e della drammaturgia. Il repertorio è nel mio DNA: io sono La bella addormentata, Lago dei cigni, Giselle, ma anche Kyliàn e Forsythe. In Grimm ho utilizzato due vocabolari differenti e credo che il risultato sia molto molto interessante.
Francesco, Stefania, il 17 ottobre andrà in scena la prima dello spettacolo: Che cosa vi aspettate dal debutto, che cosa sperate per lo spettacolo?
Francesco: auguro a Grimm un grande successo e una vita futura lunga e colma di riconoscimento. Lo spettacolo è stato ufficialmente acquisito, entrando a far parte del repertorio del repertorio della compagnia. Spero in lunghi e trionfali tours. E poi mi piacerebbe che fosse per Stefania un importante trampolino di lancio per una carriera ricca e piena di grandi soddisfazioni. Le merita!
Stefania: al momento non penso al futuro. Sono totalmente concentrata sullo spettacolo e sulla sua riuscita. Non vedo l’ora di vederlo in scena e spero che i danzatori possano esprimere al meglio le proprie capacità performative e artistiche e si sentano confortevoli dentro al linguaggio, dentro la storia, nel processo creativo. E poi che Francesco sia contento del risultato finale. Questo è fondamentale per me. Quest’esperienza mi sta consentendo di crescere e conoscere maggiormente me stessa e dovrò ringraziarlo per sempre.