La vita con la danza viene spesso presentata come un’ardua impresa che richiede il coraggio di un leone, un’esistenza di sacrificio e di rinunce in nome di un sacro fuoco che arde incessantemente, di cui ogni danzatore è meticolosa e amorevole badessa, attenta a curare quella fiamma preziosa, senza la quale il senso stesso della vita cadrebbe inesorabilmente come una foglia d’autunno.
Provate a guardare un qualsiasi film che parla della danza, osservate come i personaggi vengono intrisi di quell’eroismo che non sarebbe giustificato neanche se fossero eroi di guerra, in una suspence densa e tagliente in cui c’è sempre qualcuno da stracciare a colpi di grand battement o qualche coreografo a cui dimostrare di che stoffa si è fatti. Di solito il finale vede l’eroe o l’eroina di turno riuscire a vincere la propria sfida, qualunque essa sia, lasciando credere che basta volere qualcosa davvero affinché essa si realizzi, ma a patto di mettere in gioco la posta più alta possibile. Una sorta di racconto iniziatico quasi archetipico.
La realtà è ben diversa da questi racconti d’appendice. A me non piace questa immagine epica del danzatore come creatura superiore per resistenza fisica, prestanza, intelligenza, senso del sacrificio e forza di volontà. Ho sempre vissuto quello della danza come un mestiere tra tanti, che richiede sicuramente impegno, amore e dedizione, che pone sicuramente davanti a molti ostacoli, ma infine pensateci un momento: credete davvero che un artigiano, un contadino o un muratore non possa amare profondamente il proprio lavoro? Credete che questi mestieri non richiedano sacrifici e forza fisica? Che non sia necessario un esercizio lungo una vita per modellare con maestria il legno con le mani o per comprendere la terra e i ritmi delle coltivazioni? Io trovo persino che per fare questo tipo di mestieri ci sia bisogno della stessa poetica e capacità creativa che la danza richiede. Ridimensionare, senza sminuire, riportare tutto alla terra e all’essenza: questa è la cosa importante per chi studia e lavora con la danza. Viverla con semplicità ed essere consapevoli di voler stare con lei ogni giorno perché la si ama e non per qualsiasi altra ragione: non per abitudine, non per fame di successo, non perché qualcun altro ha scelto al posto mio, non per sentirsi superiori a chicchessia, non per apparire.
Essere. Essere con la danza sempre.
Ritrovare questo equilibrio in ogni istante vissuto con Lei, ci permette anche di stemperare le altalene emotive a cui spesso i danzatori cedono in seguito a successi, insuccessi, parti non assegnate, esibizioni sbagliate, audizioni andate bene, audizioni andate male. La danza è una compagna fedele quanto noi lo siamo per lei, non pretende nulla di più di quello che possiamo darle e niente ci promette, se non concederci il piacere nell’eseguirla. Chiederle di più porta solo sofferenza e frustrazione.
Sfidarsi ogni giorno con intelligenza, vuol dire prima di tutto conoscersi, individuare i propri punti di forza e i limiti, rispettandoli e osservandoli, in attesa che si presenti l’occasione per oltrepassarli e incontrarne di nuovi. Il lavoro con il limite non dovrebbe essere vissuto come un drammatico conflitto ma come un’opportunità che rende più saporito e articolato il nostro processo di apprendimento. In questo territorio il supporto dell’insegnante è fondamentale, ma solo se lui per primo ha trovato un suo personale equilibrio con il mestiere della danza. Così come è sbagliato lodare a tutti i costi un allievo spingendolo a compiere imprese che sono al di là della propria portata, fomentando i suoi sogni anche quando sono evidentemente irrealizzabili, solo per soddisfare il proprio personale ego, anche essere eccessivamente rudi nel comunicare le difficoltà dell’allievo, le sue lacune tecniche e fisiche e i suoi limiti, può essere estremamente dannoso e umiliante.
A tutti sarà capitato di avere allievi molto dotati che però hanno altri progetti nella vita, oppure allievi con cui la natura non è stata altrettanto generosa, ma che hanno una motivazione molto forte e desiderano fare della danza una professione. Comunicare in modo onesto e sincero in questi casi è necessario ma bisogna farlo con estrema cautela, perché ciò che diremo potrebbe potenzialmente provocare profonde ferite se non si scelgono le parole e i modi giusti. L’insegnante di danza dovrebbe essere in grado di vedere nell’allievo quel talento che lui stesso non sa di avere, aiutandolo a sviluppare quel potenziale nella direzione più giusta, anche facendogli conoscere delle strade e dei punti di vista mai presi in considerazione prima di quel momento. Per fare questo ovviamente è necessario mettere da parte le proprie ambizioni, le proiezioni, bisogna lasciare fuori dalla porta il proprio ego e soprattutto è necessario non avere paura di perdere un allievo, lasciandolo andare altrove se è quello che vuole fare o se si sente che i tempi sono maturi per questo importante passaggio. Lasciamo che nelle quotidiane sfide con la danza i ragazzi non siano portati a mettere in gioco sempre la più alta posta di cui dispongono, come accade nei film, altrimenti si rischia di farli rinunciare in partenza. Non spingiamoli a sfidare sé stessi con sete di risultati e con competitività, ma lasciamo che la vera sfida sia quella di essere capaci di danzare con gioia ogni giorno, anche nei momenti in cui la danza non ci ricopre di doni preziosi.