A Midsummer Night’s Dream: la gravità senza peso di un sogno

Il balletto di George Balanchine in scena col San Francisco Ballet

di Elio Zingarelli
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Nella lobby del War Memorial Opera House, un’albero con i fiori rosa introduce già gli spettatori nello scenario bucolico del primo atto di A Midsummer Nights Dream di George Balanchine. Il coreografo, che amava l’opera originale e sapeva recitarne gran parte in russo, realizza il suo secondo balletto a figura intera (Lo Schiaccianoci è il primo) nel 1962 su musica di Felix Mendelssohn che comprende un’ouverture da concerto, canzoni (Ye spotted Snakes), musica con testo o puramente orchestrale come la famosa Marcia nuziale: tutte eseguite dalla SF Ballet Orchestra sotto la conduzione di Martin West.

La versione presentata dal San Francisco Ballet è quella andata in scena all’Opéra national de Paris con i costumi e le scenografie del francese Christian Lacroix che mescola opulenza e referenze storiche.

La scenografia del primo atto presenta una conchiglia che in maniera inequivocabile rimanda alla Nascita di Venere che insieme alla Primavera, entrambe opere di Sandro Botticelli, colpiscono e in parte forgiano l’immaginazione di un giovane Balanchine recatosi alla Galleria degli Uffizi su consiglio dell’impresario Djagilev.

In A Midsummer Nights Dream l’interesse del coreografo per il Rinascimento, che si manifesta soprattutto nei suoi primi balletti (Apollo, Bacco e Arianna, quest’ultimo ispirato a una poesia scritta da Lorenzo il Magnifico), si interseca ai tratti specificatamente shakespeariani, ai suoi influssi eterei che connettono macrocosmo e microcosmo. Le mitologie classiche forniscono il loro repertorio di ninfee e di driadi mentre le mitologie celtiche propongono le imagerie delle forze naturali coi loro elfi e le loro fate. Questo sfondo culturale connota l’opera di danza di una certa leggerezza qui esemplificata, oltre da tutta la fantasmagoria del Dream, soprattutto dal personaggio di Puck che sembra contemplare l’intero dramma dal di fuori, provocarlo e poi dissolverlo in malinconia e ironia.

A vestire i panni del dispettoso personaggio è Cavan Conley che con dinamicità, brio, precisione e autenticità scatena l’azione di quattro amanti perduti nei boschi, nonché di una corte reale delle fate composta dalla regina Titania e dal Re Oberon: tutto condensato nel primo atto mentre nel secondo balli e divertissement vengono eseguiti nel palazzo ducale per celebrare le triple nozze.

Di rilievo la presenza dei venticinque bambini, non inusuale nei lavori di Balanchine, che si atteggiano come insetti, introducono delle scene, consolano altri personaggi, si addormentano e poi con precisione e dimestichezza svolazzano sul palcoscenico alla presenza dorata di Oberon. Nei panni di quest’ultimo Esteban Hernández che esegue con precisione le numerose “batterie” del suo assolo, uno dei più ardui coreografati da Balanchine. Sasha De Sola, invece, che interpreta Titania, sempre con regalità e grazia danza prima con un cavaliere

Frances Chung and Isaac Hernández in Balanchine’s A Midsummer Night’s Dream // Choreography by George Balanchine © The Balanchine Trust; Photo © Lindsay Thomas

sfoggiando tutta l’eleganza delle sue linee, e poi con Bottom con la testa d’asino, mostrando una ironia misurata e contenuta.

Momento di assoluto incanto e concentrazione emotiva è il passo a due del secondo atto che se non contribuisce all’evoluzione della vicenda mostra, però, per contrasto ciò che non sembra contrassegnare le precedenti partnership: ovvero, la conciliazione. Frances Chung e Isaac Hernández si sfiorano, si sostengono e si osservano con vicendevolezza, un’espansa riservatezza e una fiducia consapevole che si rivela nell’ultimo piegamento di lei nel braccio di lui seguito da un arabesque sostenuto e poi un’ultima caduta in avanti a suggellare l’unione.

Al termine dei festeggiamenti si ritorna nel dominio di Oberon e Titania che si riconciliano, Puck spazza via i residui notturni e poi si eleva mentre le lucciole brillano alle sue spalle. Di questo sogno complicato, dopo la chiusura del sipario, solo questo ultimo luccichio rievoca ancora quel mondo magico di incantesimi e malizie in cui tutti vorremmo rimanere, allettati dalla capacità di Balanchine di evocare una gravità senza peso, la stessa che riaffiora anche nell’epoca di Shakespeare.

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